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Una manciata di proverbi

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In occasioni delle Fiere di Ottobre, a Sassuolo, ogni anno ci sono manifestazioni di ogni genere, compresa la divulgazione del dialetto. Quest’anno la “lingua dei poveri” ha avuto particolare attenzione. Gli organizzatori delle kermesse vi hanno dedicato diversi momenti di attenzione.

In una domenica di Ottobre sotto la splendida cornice del Fontanazzo, si è parlato di tradizioni, si sono lette poesie e zirudêle, si è cercato, insomma, di far gustare il dialetto locale alla gente presente e interessata..

 

Hanno chiamato anche me e io  ho pensato di proporre  una breve raccolta di proverbi della montagna reggiana.

Il dialetto è quello del luogo dove sono nato, Castellaro di Vetto (RE):

 

 

Mazzaperlini, autore di un’opera ponderosa sui proverbi della zona a Nord di Reggio (A s’ fa’ per môd éd  dîr)  ci assicura che

I pruvêrbi, cun pasiênsa,/ i’ ên sta fàt da l’esperiênsa!

 

Veniamo al pratico.                              

 

Ma a chi non piacerebbe fare la VITA DI MICHELACCIO?  Allora ecco una costatazione: Sôd e capûn / i’ ên semper bûn!  Ma la prudenza ci ammaestra che è meglio non esagerare. Perché Carnevâl l’é un bûn cumpàgn / perché ‘l vên ‘na vôlta a l’àn; / che s’al gnìsa tú-c i mêš / al srê l’arvîna dal paêš!

 

C’è chi dice che Gennaio è un mese ruffiano. È triste scoprirne il perché: Cul rufiân dal mêš da Šnâr / tú-c i vè-c a i fa termâr (per il freddo e per le malattie): / e po’ quand al dîš da bûn / a i’ töš via dai cujûn. E aggiungiamo che  D’i šûvne  a n’in mör un quercadûn, / ma di vè-c a ‘n s’in sâlva ansûn!

 

Esiste l’ONESTÀ?   Metastasio ci insegna che È come l’araba fenice: / che ci sia ciascun lo dice, / dove sia nessun lo sa. Ormai dubito che esista davvero. C’è bisogno di dimostrarlo? Cùl ch’ l’ha rubâ la vàca / al rubarà ânch al vdèl! Oppure: ‘Na vôta amîgh dal cân l’é fàcil prêr rubâr!

 

È stata inventata la PAR CONDICIO. Ditemi voi se può essere questa: Chî ch’ lavûra al mangia; / chi ch’a n’ lavûra al màngia e al bèv!

 

E che dire poi di certi politici? Mi “sovviene” (direbbe il Manzoni) una strofetta che ci serviva per giocare quando avevamo... cent’anni di meno:

Òm, bèl òm, fûrb e lâdre e galantòm.

Qui occorre una digressione per spiegare l’origine della strofetta. Ricordate gli abiti attillati del ‘700, con quelle lunghe e fitte file di bottoni sul davanti? Il gioco consisteva nel toccare un bottone dopo l’altro: al primo si diceva Òm, al secondo Bèl òm, al terzo Fûrb, al quarto Lâdre, al quinto Galantòm. Non occorre spiegare che un minimo di furbizia esigeva un numero di bottoni non corrispondenti a quattro. Meglio se erano cinque (o un suo multiplo), in modo da terminare sempre la conta su galantòm.

 

Vogliamo parlare di SAGGEZZA?  Ma quanti sproloqui si sentono in suo nome? E spesso, dopo sofisticate allocuzioni, viene da pensare che l’oratore parla bene ma, poi,  razzola male, e che la saggezza tanto invocata proprio non abita da quelle parti. Anche perché non si finisce mai d’imparare, come dice lo scioglilingua: Cùl ch’i’ sò l’é ch’i’ sò ch’i’ n’ sò! (ciò che so è che sono consapevole di non sapere nulla), che traduce il motto latino: Unum scio, quod nescio (So una cosa sola: che non so nulla!).

Vi interessa un esempio di saggezza pratica? Cúl ch’ l’imprèsta i sôd / al pêrd l’amicìsia e i sôd!

 

RISPARMIARE, mettere da parte va bene, ma occhio, perché La richèsa l’ê cme ‘l  ledàm: / muciâda la púsa, sternîda la rènd!

 

INGORDIGIA si, ma poi cosa resta? Cušîna gràsa – testamênt mâgher.

 

La miglior VENDETTA? Una volta, (ma erano altri tempi!), si diceva: Se ûn t’ róba la majêra / la pu’ bèla vendèta l’ê lasâgla!

 

LAVORARE? Stanca! E allora come rimediare? La giurnâda la vrê d’ sìnch ûr: / trê d’arpôš e dû d’ lavûr, / e che la pâga l’ardupièsa / e ‘l lavûr al seguitèsa!

 

Chi ha circa la mia età ricorderà che erano TEMPI DURI quelli quando I fasìsta e i socialìsta / i’ šughêvne a scupûn: / e l’ha vînt i fasìsta / cûn l’às ad bastûn!

 

Oggi si parla tanto di  SOLIDARIETÀ. In passato si diceva semplicemente: Un tòch ed pân dā a un purèt / l’é imprestā a Noster Sgnûr!  sottintendendo che (Vangelo alla mano) avrebbe reso il cento per cento.

 

Vi siete annoiati? Se così è, beh, vuol dire che mi sono guadagnato l’immortalità, perché: A mör la pégra, a mör l’agnèl, / a mör la vàca cun al v-dèl, / a mör la gênta piêna d’ guài: / ma i rumpabàl in mörne mai!

 

Per concludere, Vi ricordo le preoccupazioni di una mamma per la figlia testarda.  Costei voleva sposare un giovane bello, brillante, ma, come dicono in Toscana, un poco “scapato” (senza testa). Mentre la mamma prova a dissuaderla si fa sera e la campana suona l’angelus. E la figlia, pronta: Màma, sentî la campana cùša la dîš: Tölle, tölle, tölle”. Poi la giovane poi sposa il ragazzo. Passano alcuni mesi e la figlia va in visita dalla mamma, lamentando tutto quello che le era stato predetto. Mentre parlano scende il crepuscolo e suona la campana. E la mamma: ”Pîna, sênt mo’ cùša a dîš la campâna: Tînle, tînle, tînle”! [Testimonianza di Dino Fracassi di Gombio].