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Una città che cerca di risvegliarsi

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Ristorante nel quartiere di Skadarlija

Matteo Manfredini ci scrive un breve resoconto di un viaggio compiuto in Serbia lo scorso mese di novembre. Ringraziando l'autore, ve lo proponiamo insieme ad una piccola raccolta di immagini, per la quale ringraziamo anche Cinzia Tegoni.

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Chi viene dal mondo occidentale non può fare a meno di provare una profonda sensazione di vertigini, mista a stupore, di fronte a quello che resta dell'enorme palazzo una volta sede del Ministero della difesa serba.

Il taxista che mi sta conducendo a visitare il Mausoleo di Tito - misero orgoglio del tempo che fu, riproposto tristemente in tutti i paesi ex comunisti- deve essersi accorto della mia espressione sorpresa dallo specchietto retrovisore. Rallenta e abbassa il finestrino. Parla solo serbo, ma, indicando le pareti sventrate dai missili, dice: Aviano, Nato bombing.

Tracce tangibili di una delle guerre più recenti, combattute in suolo europeo, l'ultima a pochi chilometri dalle nostre case.

Senza esprimere giudizi sulla guerra in Kosovo, quei palazzi semidistrutti da bombe che non cadevano dal cielo ma entravano dalla finestra (l'ex Ministero della difesa non é l'unico) sono ferite ancora aperte nella storia d'Europa, che fanno riflettere e forse sono il ricordo più marcato che chi visita Belgrado si porta a casa.

Accanto ai fumi della guerra (peraltro ancora tossici), la capitale della Serbia é una città che sta cercando di risvegliarsi. Dopo anni di conflitti e tensioni prova pigramente di uscire dal letargo. Se l'alone del comunismo ha lasciato alti palazzi fatiscenti che si confondono con strutture neoclassiche dal profumo mitteleuropeo, nuovi negozi e ristoranti di lusso iniziano ad affacciarsi sulle strade del centro.

Nel cuore antico della città la fortezza di Kalemegdan, per lungo tempo la roccaforte più avanzata in Europa dell'impero Ottomano, osserva dalla sommità di una collina il Danubio nel punto in cui accoglie nel suo letto la Sava, uno dei maggiori affluenti. Il grande fiume scorre placido sfiorando silenziosamente la città; prima di arrivare qui ha già raccolto le acque di cinque paesi diversi e diventerà dopo pochi chilometri egli stesso il confine tra Serbia e Romania.

Non lontano dalla fortezza si incontra l’antico quartiere di Kosancicev Venac. Alla fine del 1800 questa zona diventò la più ricca della città, abitata dall’alta borghesia e dalla nobiltà. Tra nuovi palazzoni di cemento si possono ancora osservare edifici storici degni di nota come la casa della Contessa Ljubica.

Ma sono le stradine che scendono lungo il quartiere di Skadarlija che nascondono l’autenticità di Belgrado. Alla sera, passeggiando sui ciottoli sconnessi, quando le porte dei fumosi caffe e ristoranti bohémien si aprono per fare entrare e uscire i clienti, si viene raggiunti dalle note suonate da piccoli complessi locali. La confusione che regna entrando in questi posti è avvolgente, un rumore assordante, accozzaglia di risate urla e stoviglie, ma non disturba.

La maggior parte dei ristoranti offre piatti della cucina locale. Menù a base di carne grigliata, tradizionali salsicce composte da carni diverse chiamate cevapi accompagnate con salse kajmak (una sorta di crema di formaggio) e ajvar (salsa a base di peperoncino), tutto annaffiato da un’ampia gamma di vini locali.

Belgrado è un misto di fatiscenza e bellezza, di ricostruzione post-bellica e post-comunista assieme. Romantica ma spigolosa, affascinante e disordinata, un microcosmo unico a poche ore d’aereo che merita una visita.

(Matteo Manfredini)

1 COMMENT

  1. Ogni cosa che avviene sulla terra ha una causa. Lo sosteneva il filosofo Bertrand Russell e ne condivido il pensiero. Qualsiasi italiano che si rechi in Serbia o nella ex Jugoslavia non deve dimenticare mai che Belgrado fu bombardata dalla Nato (nel 1999) dall’Alleanza atlantica che comprendeva americani, francesi, tedeschi e italiani. Per 78 giorni gli aerei distrussero ogni cosa viva di quei luoghi, utilizzando proiettili all’uranio impoverito che le conseguenze ancora oggi paga quel popolo. Dalla fine della guerra sono morti per tumore 42 soldati italiani, qualche migliaio di serbi o albanesi kosovari, causa i metalli pesanti. Ancora oggi (24/12/2013) nascono bimbi deformi, che lo scrivente ha incontrato il 14/12/2013 in un ospedale di Bologna. Per un italiano la responsabilità di questo scempio senza precedenti ha solo due nomi: On. Massimo D’Alema e generale Clark, comandante forse Nato nel 1999 in Kosovo. Buon Natale e buona fortuna.

    (Vincenzo Solli)

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