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Disagiati. E ci va bene

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Gentile redazione, ho letto ieri su "Repubblica Bologna" (sono al momento fuori regione e non trovo il quotidiano locale di Reggio) una notizia sulla chiusura dei reparti maternità che cita anche il nostro ospedale di Castelnovo ma in senso positivo, poichè ne conferma il mantenimento in quanto in zona disagiata. Credo sia opportuno ribadire ancora che queste operazioni di legame sempre più stretto con Reggio sono l'unica salvezza per la nostra struttura, che solo così può contare su personale capace e motivato per garantire la nostra salute. Di seguito invio copia dell'articolo.
Grazie.

(Tonino Fornesi)

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Regione, spending review in sala parto, cinque maternità a rischio chiusura

Non solo Porretta. Ci sono altri cinque ospedali, in Emilia-Romagna, dove nei reparti di maternità si fanno meno di 500 parti all’anno, come nella struttura sull’Appennino chiusa pochi giorni fa dall’Ausl di Bologna. Entro luglio, la Regione dovrà elaborare un piano per chiudere alcuni di questi centri, come previsto da un accordo con lo Stato che risale al 2010. E che, se fosse ancora disatteso, si tradurrebbe in un taglio dei finanziamenti nelle casse di viale Aldo Moro tra i 70 e i 150 milioni di euro.

Secondo i numeri dell’Agenas (agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) tra gli ospedali che non raggiungono il limite di 500 nati l’anno ci sono la clinica privata accreditata Villa Regina di Bologna (40 parti nel 2012), il Sant’Anna a Castelnovo ne’ Monti, nel reggiano (194), l’ospedale di Pavullo (407), la Casa di cura Città di Parma (370) e il Santa Maria di Borgo Val di Taro (200), sempre nel parmense. Non rientra in questo elenco Mirandola (226 parti nel 2012), che sconta gli effetti del terremoto mentre prima superava gli standard richiesti.

L’Emilia-Romagna è stata definita «inadempiente con impegno» dallo Stato perché, come la maggior parte delle altre Regioni italiane, entro il 2013 non ha chiuso queste strutture. Per questo l’assessorato alla Sanità si è impegnato, entro luglio, a correre ai ripari. Nelle prossime settimane, assieme alle aziende sanitarie, si individueranno i punti da chiudere.

È importante sottolineare che lo stesso accordo del 2010 prevede delle eccezioni alla chiusura di un punto nascita con meno di 500 parti l’anno. Ad esempio, per quegli ospedali che sono in territori disagiati (tecnicamente, quelli per i quali non si può attivare il “trasporto medico assistito” per le partorienti). È il caso del centro a Castelnovo ne' Monti.

L’assessore regionale alla Sanità Carlo Lusenti ha ricordato ieri in Consiglio regionale l’esistenza di leggi nazionali «cogenti, il cui mancato adempimento potrebbe comportare la decurtazione del finanziamento alle Regioni per un importo che in Emilia-Romagna ammonterebbe tra i 70 e i 150 milioni di euro», cioè tra l’1 e il 2% dell’intero fondo a disposizione.

Si tratta di una buona notizia per Ezio Bergamini, medico e segretario regionale dell’Aogoi, associazione che rappresenta i ginecologi. Un’organizzazione che da tempo si batte perché i punti nascita più piccoli (che in Italia sono in tutto 128) vengano chiusi. «Il punto non è soltanto il numero di parti che si fanno in ogni struttura ma la sicurezza che ogni ospedale deve garantire. Perché quando arriva una causa, siamo noi medici a pagare il conto». Bergamini spiega che in Emilia-Romagna «ci sono in tutto 30 punti nascita, se escludiamo quello appena chiuso di Porretta. Appena 9 centri garantiscono il 60% di tutti i parti fatti ogni anno nel nostro territorio». Significa che gli altri 21 garantirebbero solo il 40% «e quindi alcuni si possono accorpare».

Intanto ieri in Consiglio regionale è stata approvata una risoluzione del Pd che assicura come la chiusura della maternità a Porretta «non significa che l’ospedale sarà smantellato. «I servizi sanitari dedicati a donne e bambini verranno mantenuti», ha detto Paola Marani, prima firmataria del testo. Mentre il consigliere di Forza Italia Galeazzo Bignami ha attaccato Errani per l’ormai famoso video (che ha pure cercato di “mandare in onda”) in cui il presidente della Regione assicurava, nel 2012, che i servizi in montagna non sarebbero stati toccati.