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Agguato diabolico nella Silva Litàna

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L’episodio che racconto (1) non riguarda immediatamente la montagna reggiana, però la interessa indirettamente per le conseguenze. Pochi decenni dopo questi fatti, con la campagna contro i Ligures montani (187 - 176 a. C.), Roma cancellerà questo popolo dal nostro territorio.

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Seconda guerra punica: i Galli Boi e i Galli Insubri si ribellano a Roma e si schierano con Annibale

Dai tempi di Romolo fino alla disgregazione dell’impero penso che l’umiliazione del 216 a. C. sia la batosta che ha lasciato maggiormente il segno per l’esercito romano, e di cui Roma ha cercato di parlare il meno possibile.

Annibale, arrivato dalla Spagna, ha temerariamente scavalcato le Alpi portandosi dietro addirittura degli elefanti, oltre ad un esercito agguerrito e compatto, e si è dimostrato invincibile in ogni scontro, fino alle battaglie vicino al Trasimeno, a due passi da Roma, e a quella di Canne.

Hannibal ad portas! è un passaparola sussurrato che fa rabbrividire, paralizza, e, come un’ombra nera, incombe sulla la gente. Roma è stremata. Ha perso un numero incalcolabile di guerrieri, i propri figli. Teme il colpo di grazia, che fortunatamente non arriva. Perché Annibale, contro ogni logica, si ritira a Capua in attesa non si capisce di che cosa. Tanto che quella pausa gli storici la definirono “Ozi di Capua”. Ozio è una parola a doppio taglio. Oggi indica soprattutto perdere tempo, rimandare i problemi, poltrire. Per gli antichi Romani significava, si, riposare, ma anche riflettere, ragionare, impegnarsi nello studio.

Quello che è certo è che lungo il cammino verso Roma Annibale ha fatto in modo che i Galli Insubri e i Galli Boi, (da poco assoggettati da Roma), si ribellassero e si alleassero con i cartaginesi.

Come mai Annibale non ha marciato su Roma nel momento in cui questa si mostrava maggiormente vulnerabile? Errore strategico o esigenze di forza maggiore? Tutti gli storici se lo sono chiesto e propendono per la seconda opzione. È vero che Annibale ha vinto ogni scontro dal Ticino al Trebbia, al Trasimeno, è giù fino a Canne senza che lo si potesse fermare, ma è altrettanto vero che le battaglie, seppur vinte, hanno lasciato un segno pesante nell’esercito cartaginese come perdita di uomini. Infatti non era riuscito ad espugnare Piacenza né Spoleto, ed aveva anche rinunciato a conquistare Napoli. Gli occorrevano rinforzi. E questi non arrivavano. Per mare li intercettava la flotta di Gneo Servilio Gemino, e da lì non si passava. Per terra i rinforzi potevano arrivare solo dalla Spagna, ma là operavano Gneo e Publio Cornelio, il padre e lo zio di colui che, in seguito, sconfiggerà Annibale, Scipione l’Africano, e la loro azione è determinante. In seguito sarà proprio Scipione ad escogitare la mossa vincente portando lo scontro non in campo aperto contro Annibale, ma direttamente a Cartagine, indifesa perché l’esercito cartaginese era in Italia.

Roma vuol costringere i Galli a sganciarsi da Annibale

Nella disperazione seguita a tante batoste Roma non si arrende. Come prima mossa tenta di sottomettere nuovamente le tribù galliche padane portando la guerra in casa loro per costringerle ad abbandonare Annibale. I soldati romani disponibili sono pochi. Le nuove leve ancora troppo giovani. Si tenta allora di rimediare arruolando schiavi e galeotti pur di arginare il pericolo. Nella riconquista della Padania Roma dispone solo di 4/5.000 militari, però ha convinto le popolazione che non si erano alleate con Annibale a partecipare alla campagna, per cui riesce a mettere assieme 25.000 uomini circa.

La Pianura Padana allora era costituita da acquitrini e boscaglie immense, una vera giungla all’interno della quale vivevano tribù di Galli. La via Emilia non esisteva ancora (2). C’erano delle piste che attraversavano le foreste, usate dai mercanti e dai predoni, quindi pericolose. L’esercito romano, al comando di Lucio Postumio Albino, avanza da Est verso Ovest. Tutto sembra filare liscio, ma il pericolo è in agguato. E dove non arriva la forza arriva l’astuzia. Affrontare 25.000 uomini non è impresa facile neppure per i bellicosi Galli. Questi allora escogitano un tranello, una imboscata micidiale.

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L’agguato

Lungo le piste della Silva Litàna, dove l’esercito romano è costretto ad entrare per raggiungere il caposaldo Tannètum, accade l’imprevedibile. Ce lo racconta Tito Livio; « C’era un’enorme foresta, i Galli la chiamano Litana, attraverso la quale Postumio Albino voleva far passare l’esercito. Negli alberi di quella foresta, a destra e sinistra della strada, i Galli praticarono tagli in modo che essi alberi, se lasciati stare rimanessero diritti, se spinti da un lieve urto cadessero», e quando l’esercito era completamente all’interno del bosco fecero cadere gli alberi, e « ...fecero d'ambo i lati un tale eccidio di uomini, di cavalli, di armi che appena dieci uomini scamparono. Gran parte, infatti era rimasta uccisa dai tronchi e dai rami degli alberi... ». « ... gli altri, sbigottiti per l'inattesa sciagura, furono sterminati dai Galli appostati intorno; e di sì gran numero restarono prigionieri soltanto in pochi, i quali, mentre si dirigevano a un ponte sul fiume, lo trovarono già occupato dai nemici e vi furono presi. E là Postumio morì, combattendo con sommo furore per non essere fatto prigioniero». [Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXIII].

Ma dove si trovava la Silva Litàna?

Tito Livio, che scriveva stando a Roma e oltre 160 anni dopo i fatti, non ce lo spiega. Tacito invece dice che si trovava Apud Regium, cioè vicino a Reggio (3). Nei secoli più vicini a noi si è cercato di individuare il luogo, ma ogni studioso, si sa, tira l’acqua al proprio mulino e il problema non è stato risolto. Chi poneva la selva in Toscana, chi verso Rimini o vicino a Ravenna, chi a Lizzano di Bologna (giocando sull’assonanza Lizzano-Litàna), chi tra Bologna e Modena. Dio trifronte

Il dio gallico con tre teste La divinità può scrutare  il passato, il presente, il futuro.

C’è però, e già da tempo, chi sostiene che la Silva Litàna si trovasse vicino a Taneto, verso cui era diretto l’esercito di Postumio. Ultimamente sono state rese pubbliche delle ricerche di Nicola Cassone, ricerche “che hanno il merito di integrare in un quadro coerente diverse fonti antiche, ma che possono essere confermate e ulteriormente definite alla luce di un’analisi toponomastica e linguistica sulla base delle ampliate conoscenze sul celtico cisalpino, localizzando la Silva Litana e il luogo della battaglia con buona probabilità nelle vicinanze dell’attuale S. Ilario d’Enza[Cfr. Dubini Rolando. Antikitera.net].

Gioielli celtici 1

 gioielli

 Prodotti di oreficeria gallo-celtica

 Miti e leggende

Che i Celti avessero un culto speciale per i boschi, le selve, in particolare per le grandi querce, è risaputo. E anche per il loro parassita, il vischio. Racconta Plinio il vecchio: “I Druidi (così si chiamano i maghi di quei paesi) non considerano niente più sacro del vischio e dell’albero su cui esso cresce, purché si tratti di un rovere (Quercus petræa). Già scelgono come sacri i boschi di rovere in quanto tali, e non compiono alcun rito religioso se non hanno fronde di questo albero”.

Nel nostro Appennino ci sono località che conservano la memoria di riti celtici o di frequentazioni di quel popolo. La stessa Reggio pare fosse, prima dei Romani, un luogo rialzato, una collinetta, ove i Celti si riunivano per i riti sacri e le decisioni importanti (4). A Borzano di Canossa ci sono rocce ofiolitiche che emergono dai campi sulle quali sono incise delle coppelle. Pare si tratti di basi ove far ardere resine in onore delle divinità (5). Il nome stesso (Borrètum Jani), come quello di Boretto, indica un bosco sacro. Anche il nome di Toano, secondo alcuni, deriverebbe da una voce celtica, Twan, (sopravvissuta nel dialetto Tuân), che indica la quercia o un grosso albero.

Ma nella storia della Silva Litàna vi è un aspetto che va oltre il concetto di sacralità del bosco per sconfinare nella leggenda e nel mistero. È un dato presente in molte leggende nordiche, particolarmente in Scozia: interi boschi si muovano come soldati in battaglia. Oltre al trucco della Silva Litàna già visto sopra, vi sono saghe e leggende che riportano il fenomeno dei boschi che camminano. Logicamente non si tratta di miracoli ma di stratagemmi usati dai militi per mimetizzarsi e avvicinarsi all’accampamento nemico. Del resto ancora oggi, negli eserciti supertecnologici attuali, ci sono dei momenti in cui i soldati si sporcano il volto e si coprono con fronde per simulare un cespuglio e non farsi individuare. La più nota di quelle leggende è quella riportata da Shakespeare nel Macbeth [Atto V, scena Vª] (6):

Messaggero: Mentre montavo la guardia sulla collina ho guardato verso Birnam ed ecco che il bosco ha  cominciato a muoversi.

Macbeth:    Schiavo mentitore!

Messaggero: Possa io subire la vostra ira, se non è così. Si può vederlo avanzare nel raggio di tre miglia. Un bosco che si muove, dico.

Macbeth: Se dici il falso penderai vivo dall’albero più vicino finché la fame non ti dissecchi: se le tue parole sono vere non mi importa che tu faccia altrettanto di me. La mia risolutezza viene meno, ed io comincio a dubitare degli equivoci del demonio, che dice la menzogna come se fosse verità: “Non temere finché il bosco di Birnam non venga a Dunsinane”. Ed ora un bosco avanza su Dunsinane.  [Da: Teatro completo di Willian Shakespeare, vol. IV, pag. 1025, Mondadori 2005].

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 NOTE: 

1) Oltre alle informazioni reperibili sui Media su questo argomento segnalo un articolo di Glauco Bertolini, corrispondente del Carlino Reggio, apparso su La Strenna del Pio Istituto Artigianelli del 2014, a pag. 41, dal titolo Quando gli alberi combattevano.

2) Per facilitare gli spostamenti delle proprie truppe Roma predispone una rete viaria di tutto rispetto. Con la Via Flaminia scavalca l’Appennino e raggiunge Rimini. Superato il momento critico delle guerre puniche si traccia la strada che unisce Rimini a Piacenza (e a Milano), la via Æmilia (dal nome del console Marco Emilio Lepido che la progettò e la realizzò). A Piacenza la via Emilia si intersecava con la Via Postumia, che collegava Genova ad Aquileja, lo scalo romano più importante dell'alto Adriatico. La Via Æmilia venne completata nel 187 a. C. quasi trenta anni dopo i fatti narrati.

3)Il bosco citato da Tacito è quasi certamente quello dei Galli Boi, la Silva Litàna. Il bosco sacro è stato in seguito individuato tra S. Polo e Montecchio. Secondo Nicola Cassone il nome Litàna deriva da Litàbos = sacro, consacrato; per cui non dovrebbero esserci dubbi: la battaglia dove perse la vita Postumio Albino con le sue legioni è proprio collocabile in provincia di Reggio: "Apud Regium", e in un celebre bosco sacro. E quale se non quello citato sopra, sacro ai Galli”?

 4)  Cfr. l’articolo di Luciano Serra su Reggiostoria. Anno IV, n. 3 del 1981, pg. 8.

 5)  Cfr.: G. Cervi – M. Iotti Percorsi Canossiani, vol. II, 1999, pag. 50.

 6) “Questa battaglia di alberi si ricollega a un motivo leggendario e narrativo tipico del mondo celtico, che riecheggia ancora nel poema gallese Cad Goddeu (“La battaglia degli alberi”) del Libro di Taliesin, (c. 534–c. 599), il primo poeta a scrivere in lingua gallese, anche se l’opera, in realtà, risulta scritta nel X secolo. Analogamente si ritrova nella leggenda scozzese di Macbeth cui attinge Shakespeare”.

3 COMMENTS

  1. Accattivante e suggestivo, il racconto. Ho qualche dubbio invece sulle immagini inserite come oreficeria gallo-celtica, penso che siano artigianato prettamente romano. Soprattutto per quel monile con l’aureo di Commodo.

    (Sergio F.)

    • Firma - sergiof.
  2. Mi sono fidato di Google. Avevo chiesto monili celtici e mi ha presentato un certo numero di lavori, compresi i due riportati, definendoli opere di artigianato gallico. E io mi sono ingenuamente fidato.

    (Savino Rabotti)

    • Firma - Savino Rabotti
    • Beh, sì, molte volte le indicazioni reperibili in rete non sono corrette. Dopo aver visto meglio la moneta in immagine, per completezza di informazioni, si tratta di Marco Aurelio (non di Commodo). Me ne scuso.

      (Sergio F.)

      • Firma - sergiof.