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Qualcuno va via

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In questo paese sguaiato e scomposto i più sensibili soccombono. In mezzo a tutte queste urla, chi sente di non aver voce rinuncia, si fa da parte.

Quando qualcuno sceglie di andarsene dà retta a un pensiero. Un pensiero che urla un no a qualcosa che c'è. O non c'è.

Mi sono chiesta se in questo mondo creato da noi adulti ci sia spazio per tutti.  E mi sono detta che noi grandi non lasciamo spazio a un sacco di cose. Non permettiamo la non omologazione. Diamo per scontato che bisogna stare allineati a un modello comune. Così bisogna fare, così si fa. E se invece qualcuno non ci sta dentro, non rientra in un cliché comune, è portatore di malessere esistenziale, si sente fuori. Teme il giudizio, si percepisce estraneo, schiacciato da questa non omologazione ai più. Siamo governati dal dover essere in un certo modo, o niente.  Siamo dentro a cerchi concentrici, in cui la famiglia è solo un cerchio inserito come micro sistema in cerchi maggiori. Accanto a quello della famiglia ci sono il cerchio degli amici e il cerchio della scuola, inseriti nel cerchio più ampio della società che spesso è crudele.

O stai alle regole o sei ai margini. E chi non si sente parte di qualcuno di questi cerchi resta  in cerca di una direzione. Che a volte non trova e se ne va altrove.  Lasciandoci qui a chiederci, senza risposte.

Chi va via lascia un messaggio a tutti.

Nel rispetto della scelta e del dolore di ognuno, giovane o meno giovane che sia,  ci dobbiamo fare una domanda. Tutti. Per capire l'insegnamento che c'è in questo messaggio. Perché c'è.

Riflettiamo sull'accoglienza che pratichiamo ogni giorno, se siamo comunità che accoglie anche chi non urla, chi non sfoggia, ma che ascolta invece anche chi parla piano, e magari dentro nasconde un dolore. La nostra generazione reprime il disagio. Lo maschera. Non c'è posto per la sofferenza, che va nascosta, scartata. Salvo poi esplodere e lasciare tutti attoniti. 

Come genitore non ho certezze, e penso a tutti noi genitori che ce la mettiamo tutta per dare serenità ai figli.
Spesso l'amore della famiglia non basta. La pressione sociale, il proprio temperamento schivo, una difficoltà individuale a volte hanno il sopravvento. E di fronte a questo dato di fatto ci sentiamo impotenti.

Io non ce l'ho una ricetta.
Penso che come genitori possiamo solo essere presenti, in ascolto.

Come adulti, docenti e educatori siamo responsabili nel contribuire a coltivare la resilienza, parlandone a scuola, nei contesti sociali, per trovare strategie su come affrontare e non soccombere alle difficoltà, di qualsiasi genere siano. Apriamo gli occhi e proteggiamo i nostri adolescenti dalla loro e dalla nostra paura di vivere.

Promuovere una cultura della resilienza significa riflettere ed opporsi in modo critico a come ti vogliono gli altri, a non farsi stritolare dagli eventi esterni, ma resistere invece, con coraggio e forza d'animo a qualunque rito di passaggio siamo chiamati ad affrontare. In barba al pensiero dominante.
Incoraggiamo gli adolescenti nella ricerca di loro stessi, forti o fragili che siano, a prescindere dal volere sociale. Se ci ricordiamo l'accettazione gli uni agli altri, forse anche chi si sente scomodo troverà uno spazio suo, e potremo farci sponda sicura per chi ancora sta crescendo.

Sta a noi creare un posto per tutti, perché se qualcuno sente di non trovarlo si toglie, come soluzione estrema e atroce.
Coltivare la resilienza significa cercare il sole nonostante la tempesta. Ma per poterlo fare dobbiamo esserne capaci noi adulti per primi.
Altrimenti non saremo in grado di lasciare un modello buono per chi viene dopo.
Facciamo in modo di contribuire a creare un mondo dove l'alba arrivi, per tutti, indistintamente.

Ameya Gabriella Canovi

3 COMMENTS

  1. Non è vero, sono sicuro che chi scrive queste parole mette anche in pratica le sue convinzioni. Il problema è che sono troppo pochi quelli che lo fanno e magari, a volte e secondo me spesso, si ha bisogno di essere “svegliati”, anche con un articolo o uno scritto. Il rispetto e il volere fare veramente la strada insieme, quando ci si incontra o solo ci si sfiora, è la carta vincente per stare tutti molto meglio in questo mondo. Si soffre già abbastanza, senza avere un aiuto dai propri simili.

    (LG Basket C. Monti)

    • Firma - LGBasketC.Monti
  2. Comprendo la sua rabbia, “C.R.”. Come avrà sicuramente letto, non ho purtroppo ricette. Sull’onda delle sue parole facciamo in modo quindi, ora, che questo sia un prima. A cui non succeda mai un dopo.

    (Ameya)

    • Firma - Ameya