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Agricoltura e turismo in appennino e il ruolo degli enti comprensoriali. Il giudizio di Enrico Bussi dei Rurali Reggiani

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Enrico Bussi
Enrico Bussi

Redacon e il sito della CCIAA di Reggio Emilia spiegano l’accordo siglato il 3 agosto 2016 tra Camera di Commercio, Unione Montana e Parco Nazionale per coordinare le loro azioni verso il turismo nell’Appennino reggiano designato come area-pilota per i nuovi programmi nazionali di sviluppo delle zone interne. L’iniziativa lodevole merita una riflessione sui bilanci cupi di 50 anni d’investimenti pubblici e privati su impianti, alberghi e residenze nei punti di maggiore vocazione a Civago, Ospitaletto, Febbio, Cerreto lago, Gabellina, lago del Ventasso. Nei centri maggiori si svuotano i locali o la gestione degli esercizi passa ai cinesi, ad altri popoli. Ai giovani non interessa la seconda casa e sul grande numero di edifici vuoti in ogni punto fiorisce il cartello VENDESI. L’utenza turistica sconta la crisi epocale e gli operatori non reggono il regime italiano di prelievi sulla gestione che supera il 70% e l’aumento di costo per energia, acqua, rifiuti.

Gli enti locali non possono rimediare all’impostazione italiana che giustifica gli apparati, comprime la domanda di turismo e azzoppa le imprese, dunque fanno bene a riorganizzare i loro uffici e compiere un primo passo per poi coinvolgere altri soggetti, dal Comune di Viano (stessa zona di Baiso, Vezzano, Canossa), al GAL, l’organismo privato che gestisce tutte le risorse pubbliche per il turismo previste nel PSR (Programma di Sviluppo Rurale finanziato da UE-Stato-Regione). L’identità del territorio è importante dato che la scelta turistica può preferire l’Appennino reggiano, non altri luoghi nello stesso tempo e, se Reggio-Castelnovo faticano a sostenere questo Appennino, di sicuro non riescono a servire anche quelli di Modena e Parma.

Gli enti locali hanno la possibilità di rendere più attrattivo l’Appennino reggiano se considerano che la scelta come area pilota dipende dal fatto che il settore primario è rimasto attivo e l’esperienza internazionale dimostra lo stretto rapporto tra presenza agricola, tenuta complessiva della zona interna e possibilità turistiche. Le aziende contadine tengono splendida e attraente la Romagna, mentre il flusso di turisti verso le Cinque Terre subisce i crolli delle terrazze abbandonate. Il Trentino-Alto Adige tiene le vacche sui pascoli (come Svizzera, Austria, Baviera, ecc.) e con l’azienda famigliare sviluppa un’accoglienza competitiva. Sui nostri monti sono cessate tante produzioni, ma il sistema foraggio-formaggio genera valore per tutti gli abitanti grazie ai caseifici artigianali del Parmigiano Reggiano. La loro modernizzazione è stata fatta, se chiude uno dei 20 rimasti muoiono intere vallate ed è quasi impossibile farle rinascere. L’utilizzo di campi e boschi mantiene attività collaterali e paesaggio, se vive l’azienda contadina ha un futuro anche il turismo.

L’esigenza generale di rimediare al cambiamento climatico e al mercato globale incoraggia i sistemi produzione alimentare basati sulle risorse locali, però da noi i culti tecnologici e consumistici sorti attorno al cibo tendono a snaturare il prodotto che sinora ha retto l’Appennino reggiano.

L’avvertenza del conduttore locale è di non caricare balle sul rimorchio senza curare la capacità trainante del motore e per questa funzione fondamentale manca tutta l’assistenza necessaria. Ma l’Osservatorio economico dell’Appennino reggiano può misurare la forza e la capacità di tenuta dei settori in ogni punto. Proporre servizi alla famiglia contadina sull’esempio francese e tedesco. Stimolare la Regione a rendere efficace il suo PSR. Spingere i Comuni a proteggere la popolazione rurale stabilendo regole per impedire l’invasione delle mode urbane che sterilizzano la vita rimasta sul territorio con l’estensione di residenze recintate e la diffusione di pretese insensate: la diffusione del capriolo con le zecche tiene il turista a esplorare la strada asfaltata, le protezioni per l’istrice, il cervo, il lupo eccetera sono bastonate su chi vorrebbe continuare a coltivare, allevare e accogliere.

(Enrico Bussi, associazione Rurali Reggiani)

 

2 COMMENTS

  1. Serve il turismo, serve l’agricoltura, ma sopratutto serve il lavoro, che non c’è. La montagna si sta svuotando. Tanta gente che è emigrata in pianura 20-30 anni fa, ora non torna. In estate va bene, ma per chi ha delle attività è l’inverno che è duro. Sarebbe ora che anziché fare tante chiacchiere, i nostri amministratori cominciassero a sostenere le poche attività commerciali già esistenti e incentivare chi ha idee nuove ed è intenzionato ad investire per creare occupazione. Per ora tante parole.

    (SS75)

    • Firma - (SS75)
  2. Alcune note da un turista. Premetto che alcuni passaggi, con riferimenti ad altre provincie non li ho capiti a livello lessicale. Il signor Bussi ha ragione, ma anche torto. Dopo questa uscita alla Veltroni spiego un po’ di mie opinioni. Sicuramente dalla valorizzazione agricola può passare parte del rilancio del turismo montano. Questo però richiede anche il superamento di un’eccessiva centralità del Parmigiano, prodotto di eccellenza, ma che tende a creare una monocoltura paesaggisticamente poco valorizzante. Molto giusto il contrasto alle recinzioni eccessive delle aree. Allo stesso tempo occorre un’evoluzione culturale degli allevatori di pecore che spesso non solo non hanno riguardo, ma hanno spesso ostilità nei confronti turisti, per cui succede che si mettano appositamente le greggi nelle zone turistiche nei periodi di massimo afflusso. Questo può essere superato creando una catena di valorizzazione del prodotto che faccia percepire il valore aggiunto del turista. Infatti sia il Parmigiano che il pecorino della nostra montagna non vengono sufficientemente valorizzati, spesso proprio in montagna. Non farei la guerra tra il turismo a Cerreto o Febbio e quello rurale, visto che possono convivere ed essere sinergici. La crisi delle località di massa e a bassa qualità deriva sia da una crisi generale dell’economia e del turismo montano, sia dal problema che, tranne poche eccezioni, la qualità dell’offerta è bassa e non al passo coi tempi. Cosa impedisce di mettere in sinergia le diverse offerte? Perché non fare un piccolo mercato del contadino, con promozione del turismo rurale, nelle principali località di turismo montano? Io vedo che esistono alcuni ostacoli grossi alla crescita turistica. Il primo è la carenza di risorse economiche che limita gli investimenti, il secondo è l’ancora troppo diffusa ostilità ai turisti diffusa in montagna, che vengono ancora percepiti come estranei, ma anche la perenne conflittualità e mancanza di collaborazione tra i vari soggetti montani che blocca collaborazioni e creazioni di club di prodotto che potrebbero essere utili. La provincia di Reggio è piena di amanti delle montagna, lo dimostra il fatto che spesso chi gestisce attività economiche in montagna non viene dal nostro appennino ma da altri territori. Manca però una capacità di promozione del prodotto che è multi livello. Ci possono stare, e qui non concordo con l’autore, tutti i tipi di turismo.

    (Piansano)

    • Firma - Piansano