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Il nostro ospedale e la Regione. Lettera di Robertino Ugolotti

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Riguardo al nostro ospedale, e segnatamente al suo punto nascita, sembra essere ormai chiaro che il tutto sia nelle mani della Regione, la quale da quanto ne sappiamo deve ancora decidere se chiedere o meno la deroga al Ministero della Salute e mentre stiamo aspettando di conoscere le decisioni regionali in proposito abbiamo freschissime notizie di stampa che ci dicono che la Regione intende rafforzare il servizio di Elisoccorso, rendendolo operativo per l’intero arco delle 24 ore, ossia anche durante le ore notturne, allo scopo di dare maggiore copertura “emergenziale” alle zone più periferiche e decentrate.

Nell’ambito di questo programma, che comporterebbe una maggior spesa annuale di 3,2 milioni di euro, sono previste per la nostra provincia due eli-superfici, delle quali una ubicata a Castelnovo Monti, e noi dobbiamo vedere con favore tutte le iniziative che rafforzano la sicurezza sanitaria della popolazione montana, ma non possiamo purtuttavia nasconderci che in un quadro di disponibilità economiche limitate, come ci sentiamo dire in continuazione, in presenza cioè della classica “coperta corta”, quando si destinano risorse da una parte le si fanno venire inevitabilmente meno da un’altra, così che la seconda rimane scoperta, e ci è venuto pertanto il dubbio che queste maggiori spese per l’Elisoccorso portino la Regione a rinunciare alla deroga per i punti nascita come quello nostro.

La nostra è ovviamente una semplice supposizione che speriamo venga smentita dai fatti, ma in attesa di poterlo sapere vogliamo ribadire ancora una volta ai decisori politici, dei vari livelli istituzionali, che se si continua a ragionare solo sulla base dei costi e risparmi, come succede da qualche tempo a questa parte, tanti servizi, intesi come strutture che li erogano, verranno mano a mano ridotti e concentrati nei capoluoghi o nei centri più popolosi, sguarnendo i territori più periferici, in primo luogo quelli montani.

La chiamano razionalizzazione e i suoi fautori teorizzano che nulla sostanzialmente cambia, pur con minor numero di sedi e strutture, dal momento che si muovono le persone e i mezzi, e i servizi vengono portati sul posto, e ciò può sicuramente valere per le contingenze, ossia per le situazioni straordinarie ed emergenziali, anche perché ogni ambito territoriale non può ritenersi autosufficiente, ma poi c’è il quotidiano, fatto di attività e persone che vivono e lavorano sul posto, si conoscono, si incontrano e si relazionano a vicenda.

Se questo viene a mancare il tessuto sociale si spegne e scompare il senso di comunità, un copione già sperimentato per i quartieri o addirittura i paesi che sono diventati di fatto dormitori dove si stenta perfino a conoscersi e per la montagna può esservi l’aggravante del suo ulteriore abbandono, evenienza che andrebbe invece decisamente scongiurata non fosse altro per ragioni di difesa idrogeologica ed ambientale e, più in generale, se non si riesce ad invertire la tendenza, c’è il rischio che il nostro Belpaese perda via via la sua identità e fisionomia sociale e quelle specificità che lo hanno reso per così dire unico al mondo, un finale sicuramente non desiderabile.

(Robertino Ugolotti)

 

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  1. Le considerazioni avanzate da Robertino Ugolotti mi sembrano non mancare di logica, oltre ad esprimere una comprensibile preoccupazione e inducono in ogni caso a correlarle con quanto abbiamo appreso una decina di giorni fa, sempre dalle pagine di Redacon, riguardo al fatto che la montagna reggiana sarebbe stata individuata come zona pilota per la regione Emilia Romagna relativamente al progetto nazionale Aree Interne. In quella informazione veniva altresì riportato che “La strategia nazionale delle Aree Interne si gioca sulla sinergia tra politiche di adeguamento dei servizi di cittadinanza e progetti di sviluppo locale” insieme ad un’altra affermazione non di poco conto, ossia “le politiche ordinarie per i servizi di cittadinanza, finanziate anche per la spesa di parte corrente, riguardano in particolare i settori scuola, sanità, mobilità e connettività”. A leggerla così, insieme a quanto altro troviamo scritto in dette righe, pare prospettarsi un futuro abbastanza confortante per i servizi e l’economia del nostro territorio, ma c’è chi teme che siano soltanto belle parole “di facciata”, destinate ad avere scarso o nullo seguito e a questo punto non resta che vedere come evolveranno le cose già dai prossimi mesi, nel senso che anche nei tempi brevi si può avere un’idea sul come intendono procedere i “decisori” politici.

    (P.B.)

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