Home Cronaca Un Appennino per vivere e non sopravvivere (e allergico alle chiacchiere)

Un Appennino per vivere e non sopravvivere (e allergico alle chiacchiere)

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Siamo spesso abituati alle iperboli verbali, di cui soprattutto la maggior parte del giornalismo (e ormai non più solamente quello: basta ascoltarci nel parlare comune) fa ampio uso. Uno schianto è sempre conseguenza delle solite criminali “strade-killer” (non di chi viaggia a velocità proibitive e proibite); un “evento” è costantemente ed invariabilmente un “grande successo” (anche se con quattro gatti); una cosa non "piace molto": si “adora”; un calciatore è sempre protagonista della classica “prodezza” (mai una semplice e banale buona giocata); un forte temporale mai che non si riveli un mezzo tornado (comunque mai meno di una “bomba d’acqua”); la siccità è inderogabilmente una “calamità” che metterà a repentaglio tutti i raccolti a venire (“dal V secolo a.C. non si registravano temperature del genere”); un voto che non dovesse andare secondo le aspettative sarà con certezza matematica foriero di “sciagure economiche”, le temperature non sono più “misurate” ma “percepite” (percepite da chi? come? va da sé che chiunque può percepire quel che gli pare)… e via dicendo. Basta crederci e siamo tutti a posto.

Ma veniamo ai casi di casa nostra. Le località turistiche che sono (ovviamente) sempre “prese d’assalto” (“molto frequentate”, dite? Pfui!): neanche fossero la ridotta di Fort Apache. Ma, tanto per fare un po’ di sano marketing pro domo nostra, dobbiamo dire che le auto presenti ieri al Ventasso qualcosa del genere lo hanno mostrato. Lasciando perdere le buffe e perlopiù scentrate definizioni di cui sopra, limitiamoci a far parlare alcune immagini che invio. Giornate come queste, che sommano più condizioni favorevoli (periodo clou vacanziero, caldo torrido e umidità veramente eccessiva soprattutto al piano e in collina, paesaggi incantevoli), fanno convergere in modo unitario le condizioni affinchè si giung’a risultati di questo genere, certamente di beneficio per l’economia del luogo.

Un territorio, il nostro, che però per il resto dell’anno forse qualcuno (parliamo sempre dei “piani alti”, di coloro che, volendo, potrebbero) considera una specie di “riserva indiana”, impoverendolo con servizi che vengono tolti; oppure (ma il risultato è lo stesso) “arricchendolo” con convegni ripetuti ed idee che di farina ne fan poca. Nel senso, ovviamente, che non aiutano gli indigeni che vogliano restare ad abitare sostenendosi economicamente con le loro famiglie e che però nun cià fanno. Riusciranno i nostri eroi? “Prova”, come direbbero tutte le identiche, attuali pubblicità.

(Giovanni)