Home Cronaca L’agonia della Costituzione raccontata da Ingrao

L’agonia della Costituzione raccontata da Ingrao

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Straordinaria affluenza ieri sera al Palazzetto dello Sport per l’incontro organizzato da CGIL ed Emergency. A dibattere il tema proposto “Non Violenza e Giustizia Sociale” sedevano dietro al tavolo personaggi invero autorevoli che hanno fatto balzare in piedi, all’arrivo, il caloroso pubblico pervenuto: Pietro Ingrao, Gino Strada, Don Luigi Ciotti, Gianni Rinaldini. A Gabriele Polo (direttore del Manifesto) spettava l’onore di coordinare un dibattito che si è rivelato da subito vivissimo per l’efficacia degli interventi e la partecipazione attentissima della gente assiepata sulle gradinate.

Pacato ma tagliente l’intervento di Ingrao che non può fare a meno di riferirsi in molti passaggi alla propria vicenda biografica. L’esordio con la data di nascita: 30 marzo 1915, provoca subito un infiammato applauso. Il ghiaccio è rotto e Ingrao non disdegna di raccogliere il tributo dei reggiani. “Ho bisogno di conforto”, dice, prima di accingersi a riepilogare le guerre del Novecento. In esse trova una costante: un sempre maggiore e tragico coinvolgimento della popolazione civile. Dalla guerra di trincea del primo conflitto mondiale, fino alla guerra sottorranea e di popolo che lo aveva impressionato ai tempi del Vietnam, passando ovviamente per la guerra di movimento delle corazzate hitleriane.

Infine la guerra moderna, non più un esito tragico dei fallimenti politici, ma la politica stessa nella sua forma primaria e strutturale. Del resto, ricorda Ingrao, “chi parla più di disarmo? Qui siamo di fronte ad una spia linguistica illuminante: la parola disarmo è uscita dai vocabolari”. La parola nuova che invece vi ha fatto ingresso è “guerra preventiva”, e chi la propone “dovrebbe essere preso a calci nel sedere!” Ingrao rammenta con dolore lo stralcio della Costituzione Italiana da parte del Ministro della Difesa (che in un lapsus chiama “della Guerra”) con il tacito e gravissimo assenso di Ciampi. “Andrò dal Capo della Repubblica e gli chiederò conto di questo. L’articolo 11 è inequivocabile nell’escludere la possibilità di guerre preventive”. E il tono è davvero quello di chi l’articolo 11 lo ha scritto con il proprio sangue.

Più infiammato nei modi l’intervento di Strada che, sulla scorta dell’excursus storico di Ingrao, denuncia lo scoppio di oltre 162 conflitti dal 1945. E allora, si chiede “come è possibile parlare di dopoguerra? Il fascismo, il militarismo, l’imperialismo non sono finiti e stanno dispiegando tutta la loro forza”. Ma di fronte al sempiterno dibattito interno alla sinistra sull’uso della forza, della violenza, del diritto di resistenza, afferma il fondatore di Emergency, “io ho risolto il dubbio. Di fronte ai fini che sono sempre incerti, imprevedibili, irraggiungibili, manipolabili, non c’è niente che giustifichi l’uso di un mezzo definitivo e barbaro come la guerra”.

Strada ricorda che proprio coloro che vogliono giustificare le guerre attuali ricorrendo al paragone con il Nazismo, sono i più guerrafondai, gli eredi del fascimo, mentre chi - a malincuore - ha fatto la Resistenza, oggi si oppone alle guerre di Bush ed ha inscritto fin da allora il suo “no alla guerra” nella Costituzione Italiana. Che gli articoli 1 e 11 di questa oggi siano in particolare modo disattesi, denuncia solo “la logica di sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, che si esplica nel considerare le lavoratrici e i lavoratori una mera e fastidiosa voce di bilancio. Questa logica è la stessa che sottende anche alla guerra, ed è per questo che secondo Strada la battaglia per la giustizia è la medesima del pacifismo. E allora, conclude, essa deve essere continuata “senza la violenza di massa”, non per presa ideologica, ma per l’esperienza ravvicinata (Emergency ha curato dal 1994 almeno 1.300.000 persone in zone di conflitto) della realtà tragica della guerra che lascia ferite inguaribili di odio, divisione, di morte, per decenni e decenni a venire, in una spirale destinata a non chiudersi mai.

Più incentrato sul cardine della legalità e dello specifico della giustizia il discorso di Don Ciotti, applauditissimo anche per la veemenza oratoria e la naturale simpatia che subito riesce a guadagnarsi. Ma il suo discorso è un calarsi doloroso - anche in questo caso autenticato “sul campo” dell’esperienza dell’Associazione Libera che egli guida - nella realtà italiana. Ne esce un quadro drammatico che tratteggia senza censura la sempre più grave crisi di democrazia e giustizia, che Don Ciotti riassume con “crisi della legalità”. Non c’è evento che egli non passi in rassegna senza peli sulla lingua, dalle leggi ad personam che Berlusconi scrive per se stesso, al salvataggio dell’Alitalia, dall’incremento esponenziale delle attività mafiose degli ultimi anni, alla mancanza di fondi per gli interventi sociali e cooperativi, che naturalmente affianca al crescendo di spese militari, le cui voci di bilancio Don Ciotti espone con dovizia di particolari e che, spiega, “sono in continuo aumento” in controtendenza rispetto alle altre.

E qui, se possibile si scalda ancora di più, grida quasi nel microfono: “come si può pensare che i diritti sociali siano il tributo da pagare al progresso? Essi sono la chiave del progresso, anche economico, e della sicurezza”. E allora augura a tutti “che possiate sempre avere rabbia, possiate indignarvi per l’ingiustizia e che possiate trasformare la vostra rabbia nell’agire politico. Esso è un dovere di noi tutti”.

Intervento conclusivo quello di Gianni Rinaldini, segretario generale della FIOM, che riassume le altre relazioni esplicitando subito un punto fermo, un riferimento imprescindibile per il dibattito interno alla sinistra. Anche se la nonviolenza non fu una peculiarità dei movimenti socialisti, oggi “deve diventarlo assolutamente, deve essere la nuova scelta fondativa”. Si tratta di un passaggio obbligato se si vuole creare una nuova, vera alternativa al neoliberismo e al neocolonialismo.

Oggi assistiamo da una parte allo smantellamento premeditato della Costituzione da parte dei berluscones dall’altra ad un’Internazionale Socialista vuotata di senso, nella quale “può trovare posto persino Blair”, l’amico di Bush. E allora cosa rimane al Movimento per la Pace, ai sindacati, ai partiti politici di opposizione se non scegliere la strada opposta a questa? Fare con coraggio una scelta radicale di nonviolenza e di pacifismo, che sul piano interno e internazionale si compendi nell’azione infaticabile per la battaglia della giustizia e dei diritti per tutte le lavoratrici e i lavoratori, per tutti gli uomini e le donne.

Un’occasione davvero mancata per gli assenti.