Home Cronaca Marco Costa risponde a Marino Friggeri sul voto agli immigrati

Marco Costa risponde a Marino Friggeri sul voto agli immigrati

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Un aspetto particolarmente azzeccato dell'intervento del consigliere-capogruppo Marino Friggeri, rispetto all'ispirazione di base della mia iniziativa finalizzata alla concessione del diritto di voto agli immigrati, è quella del conservatorismo. Ben lungi dal sottoscritto, infatti, è la presunzione di compiere atto non dico rivoluzionario, ma nemmeno minimamente innovatore. E non perché, si badi bene, tale iniziativa consiliare è mutuata da altri eminenti consigli comunali (Genova, Brescia, Ancona ... ) o ancora meno da una deliberazione del Parlamento europeo (del 15/1/2004) la quale sancisce il diritto di voto alle elezioni locali ed europee agli immigrati che risiedono legalmente nell'Ue, introducendo il concetto di cittadinanza civile, che permette di attribuire ai cittadini dei paesi terzi residenti legalmente nell'Unione Europea uno status che preveda diritti e doveri di natura economica, sociale e politica incluso il diritto di voto. Ma nulla di tutto ciò, almeno per un tradizionalista come me.

La bella idea di pensare che ai doveri debbano fare riscontro diritti l'ho spulciata dai coloni (sinonimo di immigrati, credo) americani che nel 18° secolo, i quali, a seguito delle vessazioni economiche e civili imposte loro della corona inglese nella guerra dei Sette Anni, coniarono lo slogan "no taxation without representation". Mi sembra fin troppo ovvio che in una democrazia liberale rappresentativa coloro che rispettano le leggi, pagano le tasse, partecipano ad ogni aspetto della vita pubblica debbano partecipare anche al momento supremo un cui un paese si ricorda di essere democratico: il voto! E se gli immigrati, come ormai è un dato acquisito, partecipano a tutti questi momenti della socialità (in montagna come altrove), perché non parificare il rapporto di diritti e doveri? Anzi, dirò di più: solo quando le istituzioni (locali e nazionali) hanno trattato tutti come cittadini senza distinzioni di provenienza, cultura, credo religioso ecc, ecc ... possono legittimamente pretendere da tutti il rispetto di quelle leggi funzionali alla civile convivenza.

Proprio perché, ed è questa la meravigliosa equazione della democrazia, tutti hanno partecipato (attraverso il voto) al processo decisionale e tutti a quelle regole debbono attenersi. Attivamente (facoltà di eleggere) o passivamente (possibilità di candidarsi ed essere scelti).
Vieppiù che l'articolo 48 della Costituzione a cui ci si riferisce prevede (per giunta in seguito ad una recente modifica) la possibilità che i cittadini italiani residenti all'estero possano votare per i politici italiani. Le liste elettorali di tutti i comuni, infatti, sono state integrate con nominativi di persone che anche da decenni non mettevano più piede in Italia. Creando un paradosso secondo cui persone residenti all'estero da anni possono votare in Italia, mentre cittadini (attraverso permesso o carta di soggiorno) residenti nel nostro paese da tempo sono privati dei loro diritti elementari. Mi verrebbe una battuta: troppo semplice votare dei politici italiani e poi non subirseli! Certo, sempre meglio che subirseli senza averli votati.

Facezie a parte, penso che vada risolto (attraverso un intervento del Governo sollecitato anche dai piccoli comuni) il problema del diritto di cittadinanza attraverso l'introduzione del concetto di territorialità: cittadino è colui che vive in una Nazione partecipandone a tutti gli aspetti: doveri (tasse, rispetto delle leggi) e diritti (voto, assistenza, servizi pubblici ... ). Perdendo di vista tale rapporto, credo, vedremmo tutti compromesso (immigrati o no) il precario equilibrio su cui si fonda una democrazia liberale.

(Marco Costa, assessore comunale per Rifondazione Comunista a Busana)