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Fate due chiacchiere anche con i neonati

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Certi bambini crescono in un ambiente in cui sono molto esposti alle conversazioni degli adulti, dei fratelli, delle sorelle, degli amici. Altri in famiglie silenziose. In quale misura questo influisce sull’evoluzione del linguaggio? Quale ambiente può sviluppare al meglio le facoltà verbali ed espressive? Dopo anni di supposizioni, oggi disponiamo di dati chiari, grazie a uno studio sul linguaggio, condotto con intelligenza e rigore scientifico da Betty Hart e Todd Risley. Questi ricercatori si sono recati, ogni mese, in quaranta famiglie del Kansas, durante i primi tre anni di vita dei loro bambini e hanno osservato attentamente l'interazione genitori-figli. Hart e Risley hanno seguito da vicino la crescita del vocabolario dei piccoli e il ritmo di sviluppo del loro linguaggio. Infine, hanno misurato il quoziente intellettivo verbale (QIV) dei bambini. Il primo dato interessante emerso è che esistono forti differenze nella quantità di parole indirizzate a un bambino in ambienti diversi. Certi bambini vengono raggiunti, nell'arco di un'ora, da una media di 600 parole; altri dal doppio.

Si può sostenere che questa differenza quantitativa influisca sullo sviluppo del linguaggio?
Comparando la competenza linguistica dei bambini dell'uno e dell'altro gruppo, i ricercatori hanno dimostrato che sono effettivamente avvantaggiati quei bambini i cui genitori (o altre persone intorno) parlano molto con loro nei primi tre anni di vita, che, com'è noto, è un periodo critico in cui si pongono le basi della futura competenza linguistica. I bambini che hanno l'opportunità di ascoltare un maggior numero di parole e frasi sono precoci nello sviluppo del linguaggio, hanno un vocabolario e una grammatica più ricche. Per ottenere questo risultato, però, parole e frasi devono essere indirizzate direttamente al bambino. Le conversazioni che gli adulti fanno tra loro o al telefono in presenza dei bambini, così come le parole che provengono dallo schermo televisivo, non servono per sviluppare le competenze linguistiche nei primi tre anni di vita, per due motivi: perché il bambino non è direttamente coinvolto in situazioni che lo riguardano e perché non ha l'opportunità di essere attivo e partecipe, di inserirsi cioè nello scambio verbale (anche sotto forma di balbettii), di imitare, rispondere, di sforzarsi a parlare e farsi capire. Se è innegabile che l'abilità linguistica è strettamente collegata alla maturazione del sistema nervoso e degli organi fonatori, è però altrettanto vero che, senza una adeguata stimolazione, il linguaggio non può svilupparsi.

Lo dimostra il caso di quei bambini che sono cresciuti in isolamento o lontano dagli esseri umani per lunghi periodi nei primi anni di vita: anche se in seguito vengono sottoposti a esercizi e corsi intensivi, non riescono mai a raggiungere il livello degli altri bambini. E lo dimostra anche una verifica fatta in famiglie in cui entrambi i genitori erano sordi. A questi genitori fu raccomandato di esporre i loro bambini (udenti) al linguaggio utilizzando l'apparecchio televisivo come intermediario, ma con questo metodo i piccoli non impararono a parlare. Senza forzature e senza assilli, un genitore (nonno, baby-sitter) può, dunque, già nel corso del primo anno di vita, aiutare il proprio bambino a prestare attenzione al linguaggio con alcuni semplici accorgimenti che gli stessi ricercatori americani propongono sulla base delle osservazioni e dello studio condotto. Per esempio si possono pronunciare delle sillabe al bambino (sorridendogli, tenendolo in braccio, oppure sussurrandole) prima che inizi la fase del balbettio o in contemporanea (4-8 mesi); incoraggiarlo a dire anche altre parole dal momento in cui inizia a pronunciare la prima parola; fare un gioco su un tema preciso, inducendolo così a prestare attenzione a una parola rilevante pronunciata in concomitanza con la presentazione di un oggetto, la comparsa di una persona, l'esecuzione di un movimento.

articolo di Anna Oliverio Ferraris

Fonte: www.corriere.it