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L’autobus non arriva e io lo aspetto

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Capita alle volte di inciampare distrattamente in oggetti che qualcuno ha smarrito o volutamente abbandonato affidandoli agli affronti del tempo.
Messaggi nelle bottiglie in balia dei marosi.
Fermagli per capelli che qualche ragazza in bicicletta ha perduto per la strada o sul marciapiedi.
Oggetti orfani dei loro padroni che chiedono di essere salvati entrando per un attimo nella vita altrui, raccontando la loro storia (o raccontando quella che noi vorremmo essere la loro storia).
Brandelli di conversazioni che abbiamo ascoltato per caso, sguardi che abbiamo incrociato per un solo attimo in un supermercato si sono depositati nei meandri della nostra anima, si sono ritirati nei loculi della nostra memoria pronti a risorgere appena un colore o un suono o un odore li richiameranno prepotentemente alla vita strappandoli all'oblio in cui la nostra coscienza li aveva catapultati. Così è successo a me, molti anni fa, incrociando questo libretto di racconti edito da Diabasis appoggiato su un tavolino presso un bancomat, mentre facevo un prelievo.
I libretti sono creature amorfe, né carne né pesce. Un libro sei sicuro che devi pagarlo, un depliant o una fotocopia li puoi prendere liberamente. Ma un libretto? Se li trovi appoggiati in un luogo pubblico non sai mai se puoi prenderli oppure no... Dopo qualche perplessità decisi di appropriarmene (non dopo avere dato un'occhiata in giro per essere sicuro che nessuno mi vedesse) e la lettura è stata una piacevole sorpresa. Benedetta Scansani scrisse questo racconto molti anni fa; oggi è un'affermata professionista, ma il racconto sembra non avere perso nulla della sua freschezza e della semplicità tenera e un po' fanciullesca che lo contraddistingue. Indefinito, proprio come la primavera...
R.S.

* * *

L'autobus non arriva e io lo aspetto
di Benedetta Scansani

E mentre lo aspetto gioco con l'orologio.
L'orologio me l'hanno regalato per il mio compleanno.
II mio compleanno è quando inizia la primavera. Uno pensa: «Che bello essere nati quando inizia la primavera» e lo pensavo anche io quando ero alle elementari, e anche fino alle scuole medie. Perché, accidenti, è una cosa molto romantica.
Però adesso ho pensato un'altra cosa.
Io credo che uno sia diverso a seconda del primo impatto che ha con il mondo. E' per quello che quando ti fanno il profilo del segno zodiacale (sui giornali che si leggono dalla parrucchiera mentre aspetti) ci indovinano quasi sempre. Ma non è mica per le stelle che ci sono in cielo: è per il clima che c'è sulla terra. Per esempio quelli che sono nati in novembre a me sembrano tutti piccoli e infreddoliti.
Così io che sono nata quando inizia la primavera mi sono trovata davanti a una stagione di mezzo, mansueta, senza passione. E certe volte credo che sia per questo che mi sento così indefinita, né estate né inverno.
Quando avevo sedici anni ho avuto una storia con un ragazzo e un giorno che sono andata a casa sua lui mi ha fatto vedere un album di fotografie. C'era una foto di quando aveva due mesi e stava dormendo sul balcone. Io ho pensato subito che fosse terribile lasciare un bambino così piccolo mezzo nudo, fuori al freddo, ma poi mi e venuto in mente che lui era nato in giugno e quindi fuori non c'era affatto il freddo, ma il sole passionale d'agosto. E ho pensato anche che fosse per quel sole, che per primo aveva conosciuto, che ora lui mi sembrava così intenso e caldo e di quel colore ben cotto. Mentre io ero delicata e incerta.
E non mi sentivo a mio agio da nessuna parte.
L'autobus non arriva e io lo aspetto continuando a giocare con l'orologio.
Ci gioco ma non guardo l'ora.
Perché io odio gli orologi. Li trovo difficilissimi da leggere e trovo la parola orologio difficilissima da dire. Quando ero alle elementari, e anche fino alle scuole medie, non portavo l'orologio. Però se qualcuno mi chiedeva l'ora, io non riuscivo mai a dire: «Non ho l'orologio».
Pensateci: «Nonolorologio». E' una specie di scioglilingua. Io non riuscivo mai a dirlo e cosi ho iniziato a portare l'orologio.
Anche se io odio gli orologi. Li trovo difficilissimi da leggere.
Quando avevo sedici anni ho avuto una storia con un ragazzo. Lui non portava l'orologio e mi chiedeva in continuazione l'ora. A me non piaceva questa cosa perché odiavo gli orologi. Li trovavo difficilissimi da leggere. Erano sempre lì a ricordarmi che ero impacciata e maldestra.
E non mi sentivo a mio agio da nessuna parte.
Gioco con l'orologio ma non guardo l'ora. Perchè io odio gli orologi. Sono sempre lì a ricordarti che sei in ritardo, che non hai fatto le cose che dovevi fare. Sono sempre lì a ricordarti che il tempo se ne va via e che tu lo lasci andare senza fare niente.
Io credo che quando qualcuno se ne va via non bisognerebbe mai lasciarlo andare senza fare niente.
Quando avevo sedici anni ho avuto una storia con un ragazzo e tutte le volte che andavo via speravo che mi fermasse, ma lui mi lasciava sempre andare senza fare niente. Una volta che sono andata via e lui mi ha lasciata andare senza fare niente, non sono più stata capace di ritornare, e così mi ha lasciata.
L'autobus non arriva e io lo aspetto continuando a giocare con l'orologio.
Ci gioco ma non guardo l'ora.
Lo tengo in mano, slacciato e muovo il quadrante perché rifletta il sole in un cerchiolino luminoso sull'asfalto.
Mi piace il sole.
L'orologio mi scivola di mano e cade proprio sulla strada.
Lo guardo senza raccoglierlo.
L'autobus arriva e si ferma davanti a me.

1 COMMENT

  1. L’orologio e il tempo
    Bello. Racconto breve senza stagioni, e quindi freschissimo ed originale, dove il tempo è scandito solo dal ricordo di quei “sedici anni” e da un “tic-tac” tutto interiore.
    L’oggetto rimane abbandonato sulla strada (rifiuto dell’inutile misurare?); meglio prendere l’autobus, vivere senza le stagioni e senza quel fastidioso orologio, che ripete movimenti sempre uguali.

    (Enzo Piccinni)