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Il nuovo Museo Diocesano

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Al termine di complessi interventi edilizi resi possibili da un cospicuo finanziamento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, finalizzato al consolidamento strutturale di gran parte dell’ala est del Palazzo Vescovile, con l’adeguamento impiantistico e un generale restauro degli ambienti, sono ormai agibili le sale destinate ad ospitare il primo nucleo del Museo della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla.

Si tratta di tre saloni posti al pian terreno del Palazzo Vescovile “Estense” - realizzato da Bartolomeo Avanzini a metà Seicento - con il percorso espositivo e di vasti ambienti all’ultimo piano dell’edificio, destinati anche ad ospitare le collezioni “don Cesare Salami” e “don Archimede Guasti” e alcune donazioni pervenute alla Diocesi, insieme ad una sala destinata ad accogliere permanentemente una antologia di opere dell’artista reggiano Marco Gerra. A questi spazi si aggiungerà quanto prima il suggestivo ambiente noto – forse non correttamente – come “Cappella Coccapani”.

La scelta del Palazzo Vescovile quale sede museale risale molto indietro nel tempo. Fin dagli anni ’30 del XX secolo si registra infatti la volontà di autorevoli personalità della Curia reggiana di raccogliere quanto era di particolare interesse artistico o a rischio di dispersione tra i beni della diocesi anche ai fini espositivi nel desiderato Museo ecclesiastico. Un primo allestimento di opere e arredi sacri venne realizzato in ambienti dell’appartamento vescovile nel 1994 e fu fruibile fino al 2000, quando il sisma rese inagibile l’ala dell’Episcopio che ospitava il percorso.

Il percorso museale

Il percorso espositivo è organizzato in modo che le opere in mostra vengano a narrare la storia della Chiesa in terra reggiana attraverso le strutture ecclesiastiche che qui hanno operato per il radicamento e la crescita della fede: la chiesa cattedrale segno dell’unità della comunità dei credenti e sede del magistero del Vescovo; le pievi deputate al ministero dell’evangelizzazione e dell’amministrazione dei sacramenti; i monasteri centri di preghiera, accoglienza, lavoro, cultura.

In considerazione degli spazi in questa fase destinati al Museo Diocesano e in attesa di un prossimo auspicato ampliamento negli ambienti contigui, le opere - esposte secondo un criterio di “enti di produzione” - abbracciano un arco cronologico che partendo dal IV – V secolo giunge alla seconda metà del 1500, epoca segnata dalla grande Riforma Tridentina.

Il percorso si apre con la figura del Crocifisso: è infatti dal fianco squarciato di Cristo addormentato sulla croce che, Eva novella, nasce la Chiesa. Ad enfatizzare il valore del sacrificio di Gesù è la presenza di riferimenti ai martiri dei primi secoli e al valore “liturgico” delle loro reliquie, collocate all’interno delle mense eucaristiche. Le immagini proposte in questa sezione sono un “patetico” Cristo ligneo del XV secolo, opera di un artista italiano di formazione tedesca, e l’affresco con la Crocifissione di Bartolomeo e Jacopino da Reggio (1340 ca).

Una serie di capitelli del XII secolo, insieme ad una mitra abbaziale in prezioso tessuto di fabbricazione lucchese del XIII secolo, documentano le vicende del monastero benedettino di Marola fondato per volontà di Matilde di Canossa negli anni di accesi contrasti tra il papato e l’Impero.

Nella seconda sala, particolarmente ricca è la sezione dedicata alle pievi reggiane: tra le opere esposte, insieme ad una pergamena con la “firma autografa” di Matilde di Canossa e il portale di Castellarano (attribuito ad un maestro legato alla bottega di Wiligelmo), spiccano per importanza una serie di capitelli dovuti ad artisti attivi a livello internazionale provenienti dall’antica pieve di S. Vitale di Carpineti, che sembrano narrare la storia della salvezza: il peccato di orgoglio commesso da Adamo ed Eva ha aperto la porta al male, che soggioga l’uomo abbrutendolo. Dio promette un salvatore e interviene personalmente nella storia: nascendo si rivela agli uomini come colui che è venuto per servire e dare la sua vita in riscatto dei peccatori. A prova del suo amore per l’umanità, Cristo - come Daniele - scende fin nella “fossa della morte” per poi risorgere dal sepolcro. Con Cristo anche i credenti sono “sollevati su ali di aquila”(Es. 19,4); il male è vinto, ma ancora operante e “come un leone va in giro cercando chi divorare” (1Pt 5,8).

Insieme a oggetti di argenteria liturgica del ‘400 e del primo ‘500, di altissima qualità sono due splendidi piatti di ceramica urbinate della prima metà del XVI secolo, già appartenuti ai Gonzaga di Novellara opera rispettivamente di Nicolò da Urbino e di Orazio Fontana.

La sezione della cattedrale, allestita nella terza sala, presenta un articolato insieme di opere che evidenziano il ruolo e il significato della chiesa madre della diocesi. Si segnalano in particolare: il grandioso affresco bizantineggiante del XIII secolo con Cristo in mandorla e angeli, che ornava la facciata medievale del duomo reggiano fino al 1959 – 1960 quando ragioni conservative ne consigliarono il distacco; la lastra antelamica della Majestas Domini con ampie tracce dell’originaria policromia, già parte dell’antico ambone; la tavola dipinta da Bernardino Orsi nel 1501 per la cappella Canossa della cattedrale; una preziosa casula già indossata da S. Carlo Borromeo, una splendida Pace liturgica attribuita al “Bombarda” di Cremona, l’elmo e lo stocco, insegne del vescovo principe di Reggio, insieme ad alcuni sigilli episcopali, tra i quali quello del vescovo Grossi, tratto da una matrice celliniana.

A testimonianza del dovere episcopale circa la formazione culturale e teologica del proprio clero è esposto anche un rarissimo Liber Figurarum di Gioachino da Fiore del XIII secolo, con immagini che non mancarono di ispirare Dante nel descrivere la Trinità nella Divina Commedia.

(Fonte: www.webdiocesi.chiesacattolica.it)