Home Cronaca Una “Casa del volontariato” per recuperare la nostra identità

Una “Casa del volontariato” per recuperare la nostra identità

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“Sono tempi, i nostri, in cui è facile perdere la memoria storica e in cui si osserva una frattura generazionale…” E’ l’arch. Giuliano Cervi a introdurre, entrando subito nel merito, il convegno organizzato da “Dar Voce” e dalla Comunità montana dell’Appennino reggiano, che si è svolto nella pace di un soleggiato sabato mattina nella sala parrocchiale adiacente la solinga e bella chiesa di S. Stefano di Pineto (Vetto).

“Questa è una giornata dedicata alla promozione della montagna. E noi presentiamo e portiamo oggi i primi due mattoncini: due pubblicazioni che esplorano l’una il passato e l’altra il presente che si proietta nel futuro”.

Si tratta rispettivamente di un libro, intitolato semplicemente ma significativamente “C’era una volta”, curato da Francesco Dazzi, e di una pratica guida alla solidarietà in cui vengono censite 261 associazioni di volontariato comprese nei comuni della Comunità montana, risultato di una ricerca (“Sui sentieri del volontariato”) compiuta dal “Gruppo giovani della montagna”.

Tito Gobbi, presidente del Centro servizi “Dar Voce”, ha affermato che in montagna il volontariato si esprime in modo diverso, più intenso, rispetto alle altre zone. “Vogliamo realizzare qui in montagna una dinamica ‘Casa del volontariato’. Stiamo cercando una sede adatta, che probabilmente non sarà nel capoluogo, Castelnovo. Sarebbe bello fare un’inaugurazione in occasione del nostro decennale, nel prossimo autunno”.

Ugo Caccialupi, assessore comunitario delegato in materia, ha riportato un dato notevole (ma non certo sorprendente): il 40% degli abitanti della Comunità vive sola. “Ecco dunque l’importanza delle associazioni di volontariato”. E poi ricorda uno degli impegni che sta cercando di portare avanti la giunta guidata da Nilde Montemerli: la banda larga. “Abbiamo previsto a questo scopo lo stanziamento della somma di 1.400.000 euro. I servizi devono essere avvicinati e resi fruibili dagli utilizzatori”. Ha citato poi la distribuzione dei farmaci a domicilio, un servizio che, in particolare a Ramiseto, sta funzionando molto bene.

E’ poi stata la volta di Lucia Piacentini (una delle figlie del compianto architetto Osvaldo), del settore progettazione di “Dar Voce”. Ha presentato la ricerca-censimento delle associazioni, cercando di appuntare, come ha detto, “qualche dato qualitativo”, raccolto anche in alcuni fogli consegnati ai presenti. “Anzitutto sottolineo il fatto che il volontariato è, nelle nostre comunità, un soggetto attivo che permette di (ri)creare quei vincoli di solidarietà che vanno sempre più sfilacciandosi”. Esiste – afferma – un “sottobosco” di attivisti che, col loro gruppo, sfuggono alla catalogazione, per volontà esplicita o per difficoltà oggettiva di reperimento, cosicché possiamo osservare anche una specie di sommerso. “Vi sono progetti di ambiti disparati, ma voglio segnalarne in particolare un paio. Ci sono quelli, partiti da gruppi di Castelnovo, Villa e Carpineti, riguardanti la genitorialità, sull’onda dell’emergenza esplosa in questi ultimi mesi in Appennino coi fatti che tutti conosciamo; e quello concernente la comunicazione in montagna da sviluppare insieme ad agenzie locali”. La Piacentini ha sottolineato, ancora, come il volontariato rappresenti una specie di “coscienza critica” delle istituzioni.

Giovanni Zanichelli, altro responsabile del CSV, ha osservato che “non si può costruire una comunità a prescindere dalla gente che ne fa parte”. “Credo che esista un ‘silenzio della montagna’, una specie di muto rimprovero: ci giunge la flebile eco di gente che vuole essere ascoltata… “. “Il nostro tempo lo vedo un po’ come età di passioni tristi – ha soggiunto – viviamo felici ma non siamo felici”. E accenna alla perdita del valore dell’oralità.

“E’ giunto quindi il momento di recuperare l’identità dei nostri luoghi – è così intervenuto Francesco Dazzi nel presentare il suo volume ‘C’era una volta’ – e il libro che ho curato va in questa direzione. Nel crinale abbiamo intervistato alcune persone anziane, non tutte perché tutte non si poteva, che avessero qualcosa da raccontare. Non abbiamo indagato su quanto questo fosse vero. Ma abbiamo preso per buona la loro storia. Sappiamo, infatti, che ogni persona in un paese in montagna è ciò che le altre persone vogliono che ella sia. Ogni persona esprime un’identità che, in montagna, dobbiamo preservare”.

Singolare, a Cecciola, il caso di un agricoltore che, non potendo fare la legna perché infortunato, ha visto arrivare il prezioso combustibile portato dagli altri paesani costituiti in una improvvisata associazione di volontariato.

“In montagna spesso è lo stesso paese che funge da associazione di volontariato. Una cultura basata sul valore della solidarietà che, soprattutto, si tramandava con l’andare in vegg - l’usanza di recarsi la sera dopo cena nelle case o nelle stalle degli altri abitanti e qui scambiarsi le informazioni, ndr”. “Ora purtroppo la televisione sostituisce questo momento di incontro, perché la tv parla al posto degli anziani”. “Questa ricerca ha voluto anche ricordare ciò che c’era una volta e che ci interessa ci sia ancora”.

Ed eccolo il prezioso volume di Francesco, un’opera monumentale dove, borgo per borgo, c’è davvero un anziano che ha una storia da raccontare. Di come si faceva il formaggio in casa, di quelle case un po’ particolari dove as ghè senta, dove cioè si sentivano i fantasmi, di liti, amori e filastrocche… Il volume, che contiene un interessante glossario sulle parole dialettali più caratteristiche inserite qua e là nei testi, pensiamo sia un’opera destinata a restare in eterno perché capace di fotografare uno sprazzo di vita montanara che racchiude i valori della vita delle valli e delle comunità.

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Prima di dare inizio ai lavori, cui hanno presenziato tra l’altro quattro sindaci del nostro Appennino (l’ospitante, Garofani, di Vetto, poi Marconi di Castelnovo, il citato Caccialupi di Collagna e Dazzi di Ramiseto), Enrico Bussi, attendendo il completamento dei ranghi della platea attesa, aveva invitato i primi arrivati (cioè quelli puntuali… ) ad un giro turistico attorno al complesso religioso, informando sui lavori compiuti e sul tratto di sentiero dei Ducati che passa proprio da qui. Senza mancare di invitare gli astanti a dare un occhio allo splendido panorama che si gode sull’Appennino da questa posizione, che è un vero balcone naturale.

(Agenzia Redacon)