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La giusta distanza

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Quante volte, nelle cose di tutti i giorni, impeto o distrazione ci portano a scavalcare “la giusta distanza”; quante volte non ci accorgiamo dei piccoli, grandi disastri provocati da questa violazione? Quante volte, al contrario, cerchiamo di definire una giusta distanza, ma la vita ci prende e ogni confine salta?

La giusta distanza riguarda tutti noi. Senza di questa, crollano case e paesaggi naturali, si spezzano cuori e amicizie, scattiamo sfuocate fotografie, non riconosciamo i segni di punteggiatura alla lavagna. Sbagliamo un goal, manchiamo il bersaglio, navighiamo per ore ed ore lungo superstrade di periferia.

“La giusta distanza” è l’ultimo, toccante film di Carlo Mazzacurati.
Il regista lo definisce un giallo, forse memore della giusta distanza che separa ogni definizione dai contenuti a cui si riferisce. Questo film è molto di più, è vita vera che scorre sotto gli occhi dello spettatore, catturandolo, rendendolo partecipe, incapace di trattenere lacrime, silenzi e sorrisi, rispecchiandosi negli occhi della maestra coraggiosa Valentina Lodovini, nelle mani forti del puro Ahmed Hafiene, nelle notti insonni del giovane Giovanni Capovilla, nelle isterie dell’istrionico Fabrizio Bentivoglio.

È la storia della maestra, del meccanico di origine tunisina, del ragazzo che sogna di fare il giornalista, dell’insospettabile autista di corriere; storie di vite che si intrecciano, lambendo altre vite, come quella del panciuto tabaccaio ricco e delle sua moglie acquistata da catalogo, del matto del paese sulla sua ape-car, del brizzolato direttore di giornale. È la storia di identità che si smarriscono e si rincorrono, si ritrovano cambiate e nuovamente si smarriscono, in un paesaggio di nebbia e acqua, pianura e silenzio, alti pioppi tutti uguali; identità che crescono e guardano avanti, altre che tornano indietro, nella confusione nascosta tra le viscere di questa provincia piatta, sul delta del Po, in quel mondo contadino che fatica a stare al passo veloce del tempo, in cui l’immobilità lacerata è una ferita ancora aperta.

Storie di contadini e di immigrati, argini di strade e cani morti, memoria popolare e feste danzanti, dialetto e italiano corretto; storie cui manca il lieto fine, per un evento che piomberà a sconvolgere una tranquillità sola e di facciata, palesando a tutti come un mondo sia ormai cambiato, come ogni cambiamento possa generare violenza, crisi, emarginazione, spezzando l’incanto che soltanto la memoria può in momenti effimeri recuperare.

“La giusta distanza” racconta una storia straziante e veritiera, sincera e dura; lo fa con garbo e poesia, nelle immagini e nelle parole. Non voglio raccontarvi niente di più, non voglio darvi coordinate precise. Lasciatevi disorientare, catapultatevi in quel mondo. Gustatevi il film. Cercate dentro di voi quale sia la giusta distanza.