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Rendere ben per male

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Per fermare la valanga delle parole che ci piovono addosso da tutte le parti, suggerivo giorni fa di prendere in mano il vocabolario per capire il senso delle cose che si dicono e, nello stesso tempo, eliminare quelle che dividono, allontanano, creano distacco, morte.

La prima parola che consigliavo di eliminare era “nemico”. Vincere il male con il bene, era l’insegnamento dei miei educatori di quando ero ragazzo; di mia madre nell’immediato dopo guerra, quando proibì ai miei fratelli la vendetta. “Nessuno tocchi quella donna anche se ci ha fatto del male, non tocca a noi vendicarci, noi dobbiamo solo perdonare!”.

Quella donna era una delatrice, mio fratello era finito nei campi di concentramento in Germania per una sua denuncia: “Noi dobbiamo solo perdonare!”.

Educatrice alla pace è stata la lapide posta su una cappella a Cervarolo nell’Appennino reggiano, scritta in tedesco e in italiano: “I figli di coloro che hanno ucciso i vostri padri vi chiedono perdono”. Erano figli dell’esercito nazista, che, dopo la strage di Marzabotto, aveva ucciso una trentina di persone in quella frazione del reggiano.

Perdono e riconciliazione sono parole da non eliminare ma da aggiungere al nostro vocabolario quotidiano. Ci vuole del coraggio per compiere dei gesti che avvicinano i lontani, i nemici. Se fossimo capaci di chiedere e concedere perdono, di vedere il buono che è presente in ogni persona, gran parte dei nostri problemi sarebbero risolti. Vinta la distanza, si creerebbe un clima di serenità e si darebbe fiato alla speranza che davvero esiste la comunione, la collaborazione, l’uguaglianza tra gli uomini.