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Intervista a Marco Wong, dall’alluvione dell’Arno ai mari mossi dei nostri giorni

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Un felice uomo di mezza età, professionista nel campo delle telecomunicazioni, molto attivo nel sociale, sempre pronto a guardare avanti. Nato a Bologna e cresciuto a Firenze coi propri genitori e nonni, artigiani pellettieri venuti dalla Cina, Marco Wong racconta di sé nel suo blog www.marcowong.it.
Un passato ricco di avventure, un presente interessante, tanti progetti per il futuro: in un’Italia sempre più multiculturale, con una generazione di ragazzi di origine straniera, molti dei quali nati proprio qui, pronta a dare nuova linfa ai giorni che verranno, la storia di Marco Wong si connota come una di quelle storie che fanno bene al cuore e infondono ottimismo prima di tutto nei confronti dell’uomo, della società in continua evoluzione, del mondo.
È una storia che comincia con un’alluvione, e dell’acqua mantiene la freschezza e l’energia.

Signor Wong, lei è stato bambino figlio di genitori cinesi in un’Italia molto diversa rispetto a quella attuale, l’Italia degli anni Sessanta. Ho letto che il suo primo ricordo rimane quello della Firenze alle prese con l’alluvione 1966: quale importanza ha per lei questo ricordo?
A quella immagine ho sempre associato il racconto dei miei genitori sulla lotta di quei giorni per salvare dall’acqua quel che si poteva del negozio di mio padre.
Un racconto coerente con la loro vita, fatta sempre di duro lavoro e di molti sacrifici che, da bambino, non riuscivo a capire fino in fondo. Comparavo infatti il tempo libero che i miei amici riuscivano a passare con i loro genitori rispetto ai miei. Solo molto tempo dopo sono riuscito a comprendere a fondo mio padre e mia madre, quando a mia volta alcune mie scelte professionali hanno avuto un impatto sulla mia famiglia.
Quanto era presente e quanto condizionante la sua origine straniera nella vita quotidiana di bambino e ragazzo, in una Italia in cui gli stranieri erano pochi e i giovani di origine straniera ancora meno?
E’ sempre stata presente e condizionante, oscillando tra la riscoperta delle mie radici ed il desiderio di integrarsi nella realtà italiana anche a scapito delle mie origini.
Con la maturità ho via via imparato che l’origine straniera è una opportunità in più, una ricchezza che sta a noi valorizzare.
Mi può raccontare l’episodio in cui la sua foto in gita scolastica andò a finire su un giornale locale? Come reagì?
Credo si riferisca non ad una gita scolastica ma ad una gita con i miei genitori.
Ero troppo piccolo e non ho ricordi diretti, ma mio padre ne parla come di un episodio simpatico, che testimonia di una Italia molto diversa da quella attuale, un paese forse più provinciale, in cui una famiglia di cinesi in una cittadina diventa un evento così singolare da meritare la foto sulle pagine del quotidiano locale. Ma al tempo era un’Italia molto più aperta ed accogliente di quella attuale.
Da cosa è scaturita e come ha vissuto la decisione da parte dei suoi genitori di parlare italiano in casa?
Prima di frequentare l’asilo a casa si parlava nel dialetto cinese dei miei genitori, ma i miei problemi di inserimento convinsero i miei a parlare solo italiano in famiglia.
Spesso ho pensato che forse era stato un errore, ma sicuramente all’epoca era molto più difficile di adesso superare un gap linguistico, per cui non mi sento di dire che sia stato un errore.
Ho sempre rimpianto di non saper parlare il dialetto della mia famiglia, ma è difficile valutare cosa sarebbe successo altrimenti. Comunque in famiglia mia moglie parla cinese con me ed i nostri figli, che però parlano italiano con me.
È scritto nel suo blog che “in un’Italia in cui i cittadini di origine straniera sono ancora molto pochi, Marco sente la responsabilità di rappresentare agli occhi delle persone con cui ha a che fare non solo lui personalmente, ma tutti i cinesi e la Cina”.
Questo era molto vero nell’Italia degli anni ’60 e ’70 e credo che sia vero ancora oggi.
Allora i cinesi erano pochi e per questo motivo l’opinione che la gente avrebbe avuto di me sarebbe stata per tutti i cinesi. Questa riflessione, per esempio, mi spingeva a cercare di primeggiare a scuola, solo col tempo ho imparato a vivere la situazione in modo più rilassato (con conseguente peggioramento del rendimento scolastico!). Adesso i giovani di origini straniere devono preoccuparsi di meno della prima sensazione che creano egli altri, ma devono maggiormente fare i conti con il pregiudizio, positivo o negativo che sia.
Perché ha scelto di studiare la lingua cinese?
Ho iniziato a studiare la lingua cinese intorno ai 17 anni per meglio scoprire le mie radici, anche se allora il cinese non era così importante dal punto di vista professionale.
Fortunatamente l’evoluzione della storia ha reso quegli studi anche molto utili praticamente.
Dal 1994 al 1996 le occasioni del lavoro la portarono in Cina: come ha vissuto la sua condizione di giovane nato e vissuto in Italia da genitori cinesi, in quel momento rientrato nel Paese da cui proviene la sua famiglia?
Mi sono sentito fortunato ad avere avuto la possibilità di lavorare in Cina, sia professionalmente sia perchè in fondo era quello che sognavo di fare fin da bambino, sono pochi quelli che hanno la possibilità di realizzare i sogni d’infanzia.
Nel mio periodo lavorativo in Cina è sempre stato molto importante conciliare mentalità e modi di lavorare diversi e penso che la mia migliore conoscenza del paese e della lingua, rispetto ad altri manager italiani. Oltre ad essere anche una ulteriore spinta motivazionale.
Molto interessante è stata la sua decisione di farsi crescere la barba per darsi un aspetto da straniero e non incorrere in brutte figure nei momenti di difficoltà linguistica.
La prima motivazione era provare come stavo con la barba, solo durante il primo viaggio in Cina mi resi conto che la barba mi dava un’aria un po’ esotica e così mi venivano perdonate quelle esitazioni date dalle difficoltà linguistiche. Un altro vantaggio della barba è un’aspetto da “artista” per i canoni cinesi e questo è un vantaggio per il mio modo di fare ed un atteggiamento diversi da quelli degli altri cinesi.
Dopo la Cina, il Perù. Negli anni in Perù lei ha detto che si sentiva “sul serio straniero”.
Fino a che non ho potuto finalmente prendere la cittadinanza italiana, ho dovuto vivere come uno straniero nella mia propria patria. Analogamente in Cina, che è il mio paese d’origine, ho vissuto la stranezza di essere considerato straniero pur essendo di etnia cinese.
In Perù mi sono sentito libero da queste contraddizioni in quanto ero veramente straniero in un paese straniero. Forse anche per questi motivi l’ho sentito un paese accogliente ed ospitale che via via è diventato anche mio, ed adesso quando sento parlare spagnolo con la cadenza peruviana sento un legame di vicinanza che mi fa spesso attaccare bottone.
Ora lei ha due figli, che vivono, hanno vissuto e si apprestano a vivere l’infanzia, l’adolescenza, le tappe della crescita in Italia, Paese in cui sono nati ed in cui è nato il padre.
Mio figlio è nato a Roma e mia figlia a Pechino, trovo molto bello che siano nati nelle capitali dei due paesi che fanno parte della mia vita. Parlano tutti e due italiano e cinese con intonazione perfetta. Quando vivevamo in Cina, passavamo le vacanze in Italia per evitare di farli perdere l’italiano, ed adesso che viviamo in Italia più o meno ogni anno passano un periodo in Cina per rinfrescare il cinese al di fuori dell’ambito domestico.
Ci sono ovviamente molte differenze tra la mia infanzia e la loro, negli anni ’70 la Cina era un paese molto chiuso, e non era così semplice mantenere i contatti. I mezzi di comunicazione adesso rendono tutto molto più semplice, i miei figli possono parlare con i loro cugini in Cina attraverso internet, con il satellite anche in Italia possiamo vedere anche i programmi della televisione cinese.
Alcune situazioni però sono rimaste, sento che nonostante questa maggior facilità di comunicazione anche mio figlio è alla ricerca di una sua identità. E purtroppo anche lui soffre qualche volta di quelle discriminazioni che ancora avvengono.
Quale futuro, quali prospettive vede per i ragazzi immigrati di seconda generazione?
Le seconde generazioni hanno la possibilità, in questo mondo sempre più globale, di essere il ponte tra due mondi diversi. Sono una grandissima risorsa potenziale per il nostro paese e spero che l’Italia dia loro la possibilità di sfruttare la marcia in più che hanno. Io ho avuto questa opportunità e spero che anche loro ne possano avere, vorrebbe dire che l’Italia sta uscendo da questo periodo di chiusura e pessimismo.
Parliamo ora del suo blog.
Il web è una forma di comunicazione importantissima, permette una interazione più diretta e senza troppe mediazioni con le fonti dell’informazione. Ho deciso di aprire un blog dopo essere stato per un po’ di tempo lettore di altri blog, forse avevo anche io qualcosa da dire ed un po’ di tempo libero per ordinare i miei pensieri secondo un filo logico.
Mi sono posto l’obiettivo di fare nel mio piccolo un po’ di informazione, spesso sulla Cina e sui cinesi si dicono tante inesattezze o imprecisioni e mi sono prefisso di dare il punto di vista di chi conosce bene sia la realtà cinese che quella italiana.
Mi parli del movimento di opinione “OrigineX”, attraverso il quale avete sostenuto il candidato Piergiorgio Gawronski, cittadino di origine straniera, alle primarie del Partito Democratico.
E’ nato da una notte insonne, navigando sul web e scoprendo le primarie del partito democratico permettevano anche ai cittadini stranieri di votare e di candidarsi. E’ stata una lampadina che si accende all’improvviso, da lì è scattata l’idea di dimostrare che la chiusura delle comunità straniere è un luogo comune quando i meccanismi istituzionali prevedono il coinvolgimento dei cittadini stranieri. Il tempo per organizzarsi è stato pochissimo, ma l’iniziativa ha comunque riscosso un certo interesse mediatico ed adesso stiamo lavorando sui passi successivi, sia con le associazioni con cui collaboro, sia attraverso la rete di conoscenze stbilitesi anche grazie all’iniziativa di OrigineX.
“La mia ambizione è realizzare i miei sogni di bambino”, scrive sul suo blog.
Quando guardo indietro al mio passato sono contento delle opportunità che ho avuto e orgoglioso di quanto ho avuto la possibilità di fare sinora, soprattutto sapendo di essere d’esempio per le seconde generazioni di giovani cinesi che iniziano adesso a realizzare le loro ambizioni. Per esempio un giovane di origini cinesi, studente di ingegneria come lo sono stato io, mi ha citato quando i suoi genitori gli dicevano che non avrà mai la possibilità di fare carriera in una grande azienda italiana.
Io ho ancora tanta voglia di fare, e questi episodi sono sicuramente incoraggiamenti che mi fanno sentire di essere sulla strada giusta per i prossimi sogni.

A Marco Wong i nostri migliori auguri, affinché tutti i suoi prossimi sogni possano realizzarsi.