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Parlare come si mangia

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Se più ricerche mostrano che neppure sappiamo scrivere con sufficiente correttezza la nostra lingua, in compenso noi italiani siamo dei campioni mondiali nell’accogliere vocaboli esteri (segnatamente inglesi) nel nostro parlare e nel piegare e ridenominare termini, espressioni e titoli vari, sacrificandoli all’uso modaiolo (?) del momento. Ultima, sentita ieri, a proposito del “Giorno della Memoria” (che si celebra oggi): il “Memory Day”.

Un esempio (che cade a fagiolo) valga per tutti. Chi si ricorda di un cartello esposto a Castelnovo ne’ Monti, qualche tempo fa, in occasione di una manifestazione turistica, su cui campeggiava la goffissima scritta: “Mater day”? Ovviamente non era il giorno della festa anglolatina della mamma ma un banchetto dell’asilo parrocchiale locale (Mater Dei)… Insomma, veramente ci facciamo ridere dietro.

Crediamo forse vi sia la necessità di un linguaggio più stringato, giovanilistico, in, speed, più utile per "vendere", come sono (non si sa con quale costrutto) i nostri tempi un po’ disorientati/nti? Non ci pare anche in questo caso che si notino segni del genere. Basti un altro piccolo esempio. Fino a non molto tempo addietro i rivenditori di automobili avevano il loro bravo (auto)salone per l’esposizione al pubblico delle stesse. Ora non più, ora vi sono gli “show room”. Ma non era sufficientemente breve, concisa e chiara l’espressione casalinga? Evidentemente no.

Ma si potrebbe proseguire. Dalla scritta “medical center” (che leggiamo sulle nostre ambulanze non si sa a beneficio di chi) al “nordic walking”; dal “wolf hauling” al “brand”; dallo “start up” alle “slide”… Solo per enumerare le prime che vengono in mente leggendo qualche comunicato stampa locale.

Ma: parlare come si mangia, no? Capiremmo di più, allora, piuttosto, una bella espressione dialettale. Tanto per ricordarci chi siamo e dove siamo (e anche, magari, data la giornata, da dove veniamo).

7 COMMENTS

  1. A proposito
    Sono senz’altro d’accordo, forse è una vendetta di quelli che hanno dovuto ingoiare espressioni latine come AD, PM, AM, EG, PS, ecc…, usate comunemente anche dagli anglosassoni, o il nostro ciao usato anche in Vietnam.
    A me piacerebbe ancora parlare in dialetto, ma ormai trovo sempre meno persone che lo conoscono. Proprio oggi, parlando con un amico, ho detto che mi piace “al ris cun la tridura”. “As dis al ris cun la tevdura”. Apro un forum, sbaglio io?
    Grazie.

    (Ermete Muzzini)

  2. Pro TRIDURA
    Se ben ricordo mia nonna, contadina, diceva “TRIDURA”, ma più che il riso si facevano i QUADRETTI o i MALTAGLIATI. L’uovo, sbattuto nella scodella, si versava nel brodo che, col calore, lo faceva rapprendere all’istante, dando quella sensazione di uovo TRITURATO. Il nonno, contadino, invitava i commensali a mettere molto GRANA, poichè, così facendo, sarebbe salito il prezzo!!! Ovviamente la sfoglia, si “TIRAVA” rigorosamente con la cannella, sul “TULER” (tagliere )…
    Ma questi erano i nonni della pianura, quindi non escludo miei possibili errori.

    (U.G.)

  3. Riscopriamo il dialetto
    Condivido appieno l’appello. Sarebbe utile e istruttivo che ci si adoperasse, a partire dalle istituzioni, su iniziative forti per preservare – unitamente all’insegnamento della lingua inglese – l’uso, il significato e il valore del nostro dialetto.

    (Fulminant La Penna)

  4. Saggezza contadina
    Il dialetto è la lingua GIUSTA, anche per tramandare la grande saggezza contadina. Un solo esempio: mi trovavo a caccia sotto Casale. Un mio amico disse: “Riguardo al dove stia la lepre in questa giornata di pioggia, PENSAVO che… “. Un altro amico, cacciatore e contadino, ci disse in dialetto: ” …guardate che PENSARE non vuol dir CAPIRE…. “. Un aforisma degno del miglior Oscar Wilde, non credete ?…

    (u.g.)

  5. Pro tridura
    Grazie amici, specie a U.G., che ha descritto bene la preparazione della “tridura” che io avevo omesso. A casa mia si usava fare spesso col riso, forse perché mia mamma, maestra elementare con 4 figli, non sempre aveva il tempo di fare la sfoglia, la “fuiada”.
    Grazie a tutti.

    (Ermete Muzzini)

  6. Chissà se lo so?
    Caro Ermete, qualche volta mia mamma l’ha fatto il “ris cun la tridura”. Era riso con un abbondante aggiunta di @Cbiete#C (per i più abbienti, gli spinaci) tritate fini e cotte assieme al riso. A noi lo faceva un po’ “lento”, tipo zuppa. Si usava anche come piatto di recupero. Era quello che dici tu?
    Perchè non fai una rubrica con i nostri vecchi sapori raccontati da te? Sarebbe un bel leggere.
    Un abbraccio.

    (Cristina Casoli)