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“Quand’ero ragazzo… “

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Quando ero ragazzo, tanti anni fa, i miei educatori mi invitavano a sognare, a guardare in avanti, sostenendo che quello che fai oggi ti permette di costruire il tuo domani. Ci credevo e mi lasciavo aiutare con l’entusiasmo ingenuo della mia età adolescenziale.

Oggi i giovani sembrano sognare di meno, immersi come sono in una cultura del provvisorio, del niente di definito, di stabile. Non solo per una crisi di valori, ma per una più profonda, esistenziale, che coinvolge il senso della vita, vissuta nella fedeltà a scelte fondamentali. Mancando questo clima rassicurante, il rischio della precarietà viene a svigorire l’unico colore, per dirla con Chagall, che che dà vivacità alla tavolozza della vita: l’amore.

I ragazzi non credono più a legami che vanno oltre il tempo, non credono neppure alla bellezza del generare figli: sono un legame, un peso, meglio rimandare a giorni migliori, qualora se ne prospettino.

Sul tema dell’amore e della sessualità, ad esempio, sono più istruiti e informati di un tempo, ma un conto è l’informazione e un conto il percorso educativo da seguire, che richiede fatica, costanza, impegno, responsabilità per costruire rapporti importanti con gli altri. Credo che tante violenze e abusi nascano proprio dalle distorsioni nel pensare e vivere la sessualità, nell’idea che si ha dell’amore, nel significato che da dare alla vita.

Mentre si allontana sempre più l’età delle decisioni, si accelerano le esperienze precoci di rapporti sessuali, di convivenze in giovane età, che non si caricano di impegni definiti, ma solo di un “proviamo per”.

La banalizzazione dell’amore, la violenza e l’abuso, la precarietà - nessuno può ignorare o contestare – hanno radici lontane non nella disinformazione ma in una mancata educazione, in famiglie che si sentono disarmate nell’affrontare il problema” e nella scuola, che informa ma non va più in là, in modo laico, senza alcun riferimento a Dio o alle leggi “naturali” dell’etica. E’ un percorso controcorrente. E’ qui la sfida: in un’epoca in cui Dio è lasciato sempre più solo, il riferimento a Lui, diventa una scelta radicale, coraggiosa di fede.