Home Cronaca Peccati capitali a Vetto

Peccati capitali a Vetto

10
0

"I 7 vizi capitali". E' il titolo di una rassegna cinematografica, che prenderà il via stasera a Vetto (con il film "Mission"), organizzata dal locale Circolo parrocchiale Anspi. Si tratta di una serie di serate dedicate ciascuna ad un "vizio" tramite la visione di un film individuato come idoneo, che sarà introdotto da una breve spiegazione con scheda ragionata del lungometraggio stesso. L'ingresso è gratuito ma riservato ai soci Anspi in regola con il tesseramento 2009; ciascuno comunque può chiedere all'ingresso di farsi socio (costo annuo: € 12 adulti ed € 5 minorenni).

* * *

NOTE DI DON CARLO CASTELLINI, PARROCO DI VETTO

Si legge nel depliant promozionale

Il peccato consiste nel considerare come dio qualcosa che non lo è: il denaro, il potere, il piacere, il sesso… La dottrina sui vizi capitali designa le sette modalità principali tramite le quali l’uomo si allontana dalla sua vera felicità. I 7 vizi stregano, ammaliano… sono sirene che catturano perché imitano e traducono in farsa l’unica vera felicità: la comunione con Dio, che, sola, potrà colmare il nostro cuore assetato d’infinito. I sette vizi che spiegheremo sono detti “capitali” perché sono commessi per se stessi: l’avaro accumula denaro per accumularlo, mentre commettiamo il peccato di menzogna allo scopo di difenderci o di metterci in risalto. Sono detti “capitali”, pur non essendo necessariamente mortali per la gravità della materia (come ad esempio la gola, solitamente “solo” veniale”), anche perché sono a capo di tanti comportamenti negativi, che illudono con la promessa di una felicità assoluta e facilmente accessibile; trascinano dietro di sé molte conseguenze negative: pigrizia, maldicenza, infedeltà, ambizione, menzogna, crudeltà… E' un elenco infinito che si snoda lungo tutta la storia umana e attraversa la profondità del nostro cuore.

* * *

Nella Bibbia

In ebraico, peccare significa “mancare il bersaglio”. Quale bersaglio? La felicità. Peccare significa ingannarsi sulla vera felicità. La felicità è Dio stesso: l’uomo è fatto per l’infinito e solo Dio è il Bene infinito; per questo si dice che il peccato è un’offesa fatta a Dio.
Il peccato è un’idolatria. Nell’episodio del vitello d’oro (Esodo), la Bibbia ci rivela 4 caratteristiche dell’idolo:
- l’uomo lo fabbrica con le proprie mani;
- è la menzogna di una falsa felicità: delude sempre i suoi devoti;
- l’uomo che ha fabbricato l’idolo finisce per assomigliargli (per questo Mosè fa trangugiare agli israeliti l’oro del vitello che hanno adorato);
- aliena, cioè determina spesso una dipendenza: “il peccato è sempre una droga” (Ratzinger).

Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (in breve “CCC”, n. 1850): Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e allontana da lui i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare « come Dio » (Genesi 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è « amore di sé fino al disprezzo di Dio ». 110 Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza.

Nella cultura

Dice Simone Weil: “è possibile scegliere solo tra Dio e l’idolatria. Non vi sono altre possibilità; infatti, la facoltà di adorazione è in noi ed è comunque orientata in qualche direzione, in questo mondo o nell’altro. (…) O adoriamo Dio oppure adoriamo cose di questo mondo a cui attribuiamo, benché a nostra insaputa, gli attributi della Divinità” (Cahier III, in Oeuvres, Gallimard 1999).
Charles Baudelaire, grande osservatore dell’uomo ferito nell’anima, ribadisce questa idea dell’idolatria dei peccati capitali: “I vizi dell’uomo, per quanto li si immagini pieni di orrore contengono la prova (non foss’altro per la loro infinita espansione!) del gusto dell’uomo per l’infinito; solo che è un gusto che spesso sbaglia percorso. È in questa depravazione del senso dell’infinito che risiede, secondo me, la ragione di tutti gli eccessi colpevoli” (Il gusto dell’infinito, Gallimard, 1975).

Distinzione tra peccato “veniale” e “mortale”

Il peccato mortale porta alla morte dell’anima (della vita divina ricevuta nel Battesimo), il secondo no, anche se, alla lunga, predispone a commettere il peccato mortale.
Esempio dell’invito a cena e della strada sbagliata: possiamo arrivare in ritardo (veniale) o non arrivare per niente (mortale).
San Tommaso d’Aquino divide i 7 vizi capitali in due categorie: quelli che aspirano in modo smodato ad un bene (A) e quelli che portano ad allontanarsi da un bene in quanto erroneamente considerato come un male (B).

Categoria A: sono i quattro vizi che corrispondono alle tre forme di cupidigia descritti dall’evangelista Giovanni (1Gv 2,16): “la concupiscenza degli occhi”, che ha come oggetto i beni esteriori, cioè le ricchezze (l’avarizia), “la concupiscenza della carne”, che ha come oggetto i beni corporali, cioè i piaceri della tavola (gola) e del sesso (lussuria); “la superbia della vita”, che ha come oggetto il piacere della propria eccellenza, il ricercare e apprezzare gli onori.
Categoria B: due beni sono considerati come un male da fuggire : l’Altro e il Tutto altro. L’accidia porta a disprezzare il bene spirituale, che è Dio; l’invidia porta a disprezzare il bene altrui, fino al punto da volerne la distruzione (ira).

I peccati capitali ci dominano; il prenderne coscienza permette di cogliere i legami tra peccati apparentemente diversi, in modo da combatterli più efficacemente e così combattere il male tagliandone le radici, come spiega San Cassiano (monaco orientale del V secolo): “Dopo aver considerato quali sono i più notevoli per il loro vigore o i più terribili quanto a ferocia, iniziamo a combattere prima di tutto contro di essi, quando li hanno uccisi, abbattono più facilmente gli altri, che sono meno terribili e meno furiosi”. Questo è confermato anche dalla pratica dell’ascesi, del combattimento spirituale, come attesta un Padre del deserto, che per anni aveva combattuto contro l’ira: “Un giorno me ne sono sbarazzato; quel giorno, con sorpresa, ho potuto vedere quanto gli altri miei difetti si erano ridotti”.

Alcune importanti sottolineature…

- I peccati capitali (PC) sono spesso giustificati, tollerati nel contesto sociale. Ad es.: non timbrare il biglietto el tram significa ancora rubare, quando lo Stato ci spreme così tanto? Immaginare di vivere un’avventura con la segretaria è veramente un peccato, quando sul giornale di gossip vediamo un attore che si sposa per la settima volta in pompa magna?
- Certi PC come l’invidia e l’accidia, sono molto interiori e meno evidenti di altri;
- Questi peccati sono detti anche “vizi”. Cosa significa? Un vizio è un’inclinazione negativa, che presto diventa un’abitudine, come diceva Aristotele: “Noi siamo ciò che ripetiamo ogni giorno”. Lo constatiamo ogni mattina, fin da quando apriamo gli occhi… tutto ciò che è abituale diventa come una seconda natura e oltretutto è anche difficile da scoprire in tutta la sua gravità, perché si nasconde nel contesto delle scelte quotidiane, quasi “automatiche”: il vanitoso si abitua alla sua vanità, l’invidioso alla sua invidia, il lussurioso alle sue fantasie…
- Alcuni PC hanno una notevole componente affettiva, un involontario, “istintivo” sentimento sottostante, come l’ira o la gola; di per sé questo “sentire” non è ancora peccato, lo è se lo assecondiamo;
- I PC prosperano su un terreno psicologico favorevole, sono frammisti a ferite o traumi (anche della primissima infanzia, addirittura nella fase pre-verbale!) che li predispongono e li favoriscono. Non è facile distinguere la ferita psicologica originaria dal PC che ne consegue, anche se l’influsso della ferita non va assolutizzate, perché altrimenti occorrerebbe ammettere che l’uomo non è padrone di se stesso, cioè non è libero, ma solo un burattino in balìa dell’inconscio;
- Infine, questi PC sono uno degli elementi chiave del combattimento spirituale, una battaglia spesso poco conosciuta, perché oggi si nega non solo l’azione pervasiva del demonio, ma la sua stessa esistenza; e questi ha tutto l’interesse a lavorare “sotto traccia”: un uomo superficiale, poco spirituale, poco capace di “guardarsi nella coscienza”, di “leggersi dentro” è una preda più facile da rendere schiavo del peccato e del vizio.

Come lottare contro il peccato capitale?

1. Riconoscere il proprio peccato; tutti ammettono genericamente di essere peccatori, ma pochi si danno la briga di cercare davvero di “stanare” i loro peccati, fano confessioni molto superificali e generiche, con poco dolore per il male commesso. Come fare per scoprire la gravità del mio peccato,. Cercando di analizzare quali sono i miei desideri più rifondi, perché “ogni peccato si basa su un desiderio naturale” ( San Tommaso). A partire dal quale momento il mio desiderio diventa smodato? A partire da quale momento il mio consenso a questo desiderio diventa peccaminoso? Per rispondere dobbiamo analizzare tre componenti:
a. la profondità: un PC è tanto più profondo quanto più è abituale e difficilmente sradicabile;Qual è la sua frequenza? Mi è difficile resistervi? Ne sono dipendente?
b. l’estensione: di quali altre mancanze questo PC è l’origine? Quali amiti della mia esistenza riguarda? Quali persone del mio contesto influenza?
c. l’antichità: da quanto tempo sono posseduto da questo vizio? Quali ferite remote hanno favorito il suo radicarsi nel mio cuore?
2. Prenderne coscienza. Dopo il riconoscimento lucido, segue una dolorosa e umile presa di coscienza. Si presenta il pericolo di rimanerne disgustati; questa disperazione è peggiore della cecità iniziale! Accettare l’esietnza in noi di questo vizio significa riconoscere che siamo abitati da una fragilità spirituale di fondo. Questa miseria, anziché allontanare Dio, lo attira a noi, a patto che non ci ripieghiamo su noi stessi. Una tentazione molto frequente è quella di dire a Dio: “Tu non puoi più amarmi, dopo tutto quello che faccio da tanti anni!”. È il peccato di Giuda, la peggiore delle offese a Dio. Dire a Dio: “Tu non mi ami (fino a questo punto)” è peggio che dirGli: “Io non ti amo”! infatti, significa impedire a Dio di essere Dio, Lui che sa soltanto amare, Lui, il cui essere è tutto Amore (1Gv 4,8.16).

3. Aprirsi alla misericordia. Il peccato chiude il cuore. Dopo aver peccato dobbiamo resistere alla tentazione tremenda della chiusura, del ripiegamento su noi stessi: apriamoci a Gesù, volgiamo il nostro cuore verso il suo cuore pieno di misericordia e offriamoci a Lui, così come siamo, nella nostra miseria. Lamentarsi in questo momento significa solo gemere su di sé e dunque rinviare il ritorno verso il Padre. Se abbiamo percorso le fasi 1 e 2, il riconoscere e l’“accettare” di aver peccato non possiamo non gettare anche uno sguardo su Dio. La coscienza del male implica quella del Bene (altrimenti come faremmo a sapere che è male?), riconoscere che ci siamo allontanati da “Casa” significa anche contemporaneamente ricordarci che c’è “Qualcuno” che ci aspetta sempre, a “Casa”!

4. Prendere una decisione. Contro il PC c’è una sola soluzione: la decisione. Se davvero vogliamo gettarci nella braccia aperte del Padre come il Figlio prodigo, dobbiamo incarnare concretamente, con uno sforzo, con uno “scatto”, con uno strappo, il fatto di essere riusciti a “rientrare in noi stessi” (Luca 15). La volontà di conversione va sempre espressa con un atto concreto, per quanto piccolo sia; ed è bene che prendiamo almeno una decisione al giorno. Detto in altro modo: ogni vizio ha il suo antidoto, che è la sua virtù contraria da esercitare.

* * *

“Il peccato di questo secolo è la perdita del senso del peccato” (Pio XII, 1946)

“La perdita del senso del peccato va di pari passo con la perdita del senso di Dio” (Giovanni Paolo II, 1986)

“Mi comprendi se ti dico che non ho mai saputo chi sono? I miei vizi e le mie virtù mi stanno sotto il naso, ma non riesco a vederli” (Jean-Paul Sartre)

“Piango i miei peccati: quelli che ho commesso e quelli che avrei voluto commettere” (Francois Mauriac)