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La discriminazione femminile nel lavoro e nella famiglia

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Il 51% degli emiliano-romagnoli pensa che nel mercato del lavoro della nostra regione le donne siano ancora soggette a discriminazione di genere, il 43% ritiene che anche se le cose sono migliorate non ci sia ancora parità, e il 32% che le cose stiano migliorando, ma troppo lentamente.
Sono alcuni dei dati che emergono dall’indagine commissionata dall’assessorato regionale alle Pari opportunità e svolto dall’Istituto Carlo Cattaneo, con l’obiettivo di analizzare la percezione degli uomini e delle donne dell’Emilia-Romagna sulla discriminazione di genere nel mercato del lavoro, sui ruoli di genere e sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Il sondaggio si è svolto nello scorso mese di febbraio, con interviste telefoniche ad un campione di 800 persone, occupate e residenti in Emilia-Romagna, di età fra i 18 e i 55 anni.

Anche se l’Emilia-Romagna si caratterizza come una regione nella quale la partecipazione al mercato del lavoro delle donne è particolarmente elevata, dall’indagine emerge una persistenza della percezione dell’esistenza di discriminazioni sulla base del genere e di stereotipi di genere.

Le discriminazioni. Per il 51% degli intervistati nel mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna le donne sono soggette a discriminazioni sulla base del genere, mentre un 34% degli intervistati sostiene che uomini e donne hanno pari opportunità. Infine, a conferma della persistenza di stereotipi di genere, il 10% sostiene che esistono pari opportunità, ma le donne sono meno interessate a realizzarsi nel lavoro.

In un’altra domanda volta a rilevare i cambiamenti nel tempo, il 43% degli intervistati risponde che “anche se le cose sono migliorate, non c’è ancora parità” e il 32% che “le cose stanno migliorando troppo lentamente”. In questo caso importanti sono le differenze sulla base del genere: sono soprattutto le donne a sostenere che le cose cambiano troppo lentamente (35% contro il 28% degli uomini) o affatto (8% e 3% rispettivamente), mentre gli uomini sono più propensi a ritenere che “le cose sono migliorate e le donne hanno raggiunto la parità” (20% contro il 14% delle donne) o che “anche se le cose sono migliorate, non c’è ancora parità (47% degli uomini contro il 39% delle donne).

Diversi sono i fattori che portano a discriminare uomini e donne nel lavoro: nel caso dei primi sono soprattutto l’essere straniero e l’età; nel caso delle seconde l’avere una famiglia di cui occuparsi, l’essere straniera, la mancanza di bella presenza e l’età.

Le differenze salariali (a parità di lavoro) vengono considerate dal 66% degli intervistati come una conseguenza della discriminazione delle donne nel mercato del lavoro.
Dall’analisi di questo quesito emerge una relazione con il genere e l’età: le donne sono più propense degli uomini a ritenere di essere discriminate (68% contro il 63%), mentre gli uomini ritengono in misura maggiore che le donne si impegnino meno nel lavoro (10% contro il 4%). Per quanto riguarda l’età, i meno giovani tendono in misura maggiore a sostenere che le donne siano discriminate (71% di chi ha tra i 45 e i 55 anni, contro il 61% di chi tra i 18 e 34 anni e il 63% di chi ha tra i 35 e i 44 anni). I più giovani imputano le differenze salariali ad una minore capacità delle donne di rivendicare aumenti salariali (l’11% di chi tra i 18 e 34 anni e il 10% di chi ha tra i 35 e i 44 anni rispetto al 4% di chi ha tra i 45 e i 55 anni).

La conciliazione fra lavoro e famiglia. La conciliazione fra lavoro e famiglia è una problematica prevalentemente femminile o riguarda sia gli uomini che le donne? Il quadro che emerge dalle interviste è piuttosto articolato e non privo di contraddizioni. Da un lato, si nota una tendenza al superamento della tradizionale divisione del lavoro all’interno della famiglia sulla base del genere che vede le donne, anche se occupate, dedicarsi anche al lavoro di cura e alle faccende domestiche, dall’altro però gli stereotipi rimangono ancora forti.

Ad esempio, il 69% degli intervistati ritiene che quando in famiglia c’è un bambino piccolo possano essere indistintamente sia le donne sia gli uomini a rinunciare in tutto o in parte al lavoro, mentre il 26% ritiene che sia scontato che rinunci la donna.
Anche l’attività di cura dei parenti anziani dovrebbe essere divisa equamente fra uomini e donne per il 76% degli intervistati. E ancora, un uomo che richiede un congedo parentale è considerato dal 46% degli intervistati “pronto a farsi carico equamente delle esigenze familiari”.

Ma gli stereotipi di genere rimangono forti: per il 23% degli intervistati un uomo che richiede un congedo parentale è perché guadagna meno della moglie/compagna, per il 12% è insoddisfatto del proprio lavoro e per il 9% è probabile che non sia interessato alla carriera.
Inoltre, il 70% degli intervistati ritiene che un uomo non è disposto a sacrificare la carriera per occuparsi dei figli e favorire la carriera della moglie/compagna (33% decisamente no, 37% più no che sì). Oppure, il 47% degli intervistati sostiene che non sia giusto innalzare l’età pensionabile delle donne e parificarla a quella degli uomini perché le donne devono anche occuparsi dei figli e dei nipoti (il 35% invece è favorevole sostenendo che non ci devono essere differenze nel lavoro).

Da sottolineare inoltre che alcune risposte dimostrano uno scostamento fra opinioni sul piano ideale e la prassi della vita quotidiana. Ad esempio, significative sono le risposte alla domanda sulla parificazione dell’età di pensionamento.
Differenti le risposte in base al genere, allo stato civile e al fatto di avere figli: pensano che non ci debbano essere differenze nel lavoro e nell’età della pensione più gli uomini delle donne (42% e 28%), chi è celibe/nubile (45% contro il 30% dei coniugati/conviventi e il 32% degli altri, categoria che comprende i divorziati, i separati, i vedovi), chi non ha figli (43% contro il 29%). Mentre le donne, i coniugati/conviventi e chi ha figli sono i più contrari alla parificazione visto che le donne devono occuparsi anche della cura dei nipoti e degli anziani.

Considerando, invece, la sensibilità di dirigenti e datori di lavoro per le esigenze familiari dei dipendenti, si può affermare che la conciliazione non presenta una caratterizzazione di genere. Il 68% degli intervistati ritiene che non ci sono differenze fra dirigenti e imprenditori uomini o donne perché per entrambi la priorità è rappresentata dal conseguimento degli obiettivi aziendali e solo il 25% degli intervistati ritiene invece che dirigenti e imprenditori donna abbiano una maggiore sensibilità.

Infine, per quanto riguarda le politiche di conciliazione, viene considerato prioritario il potenziamento dei servizi (asili nido, scuole a tempo pieno, centri diurni per anziani, trasporti pubblici, ecc., 46%) seguito dagli incentivi per le imprese per concedere contratti part-time, aspettative, orari flessibili, aprire asili nido nei luoghi di lavoro (29%) e dai contributi economici alle famiglie per sostenere i costi di accesso ai servizi (21%).
Interessanti a questo proposito sono le differenze sulla base del genere e dell’età. Gli uomini e i più giovani sono i più favorevoli ai contributi economici per sostenere i costi dei servizi (24% uomini contro il 19% delle donne; 28% di chi ha tra i 18 e i 34 anni contro il 20% di chi ha tra i 35 e i 44 anni e il 16% di chi ha tra i 45 e i 55 anni), mentre le donne in misura più consistente degli uomini sono favorevoli agli incentivi alle imprese per interventi che favoriscano la conciliazione (33% contro il 24% degli uomini).