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“La Comunità Montana non ha risposto ai fratelli taglialegna”

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Riceviamo e pubblichiamo l'ultima interpellanza in Comunità montana della minoranza.

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Un articolo di stampa di metà maggio riportava il pensiero di due fratelli residenti in un comune dell’Alto crinale reggiano che hanno scelto di restare sulla azienda di famiglia per continuarvi il lavoro di taglialegna e l’attività agro-silvocolturale.

In quelle righe gli interessati si esprimevano sulle politiche messe in atto nel nostro comprensorio montano, da parte di enti locali e Parco nazionale, e lamentavano nel contempo le troppe restrizioni e l’eccessivo peso delle incombenze burocratiche.

Sempre su dette pagine di giornale abbiamo letto la risposta dell’Ente Parco, che sosteneva di non aver posto alcun vincolo aggiuntivo sulla gestione e taglio dei boschi, anche perché la materia ricadrebbe nelle competenze della Comunità montana.

I due giovani imprenditori hanno a loro volta replicato ricordando di aver presentato alla Comunità montana una domanda di taglio in data 13 marzo, senza tuttavia ricevere risposta, talché si è giunti alla scadenza dei termini previsti per il taglio legna; se non abbiamo interpretato male sarebbero stati pure invitati a recarsi a Sassalbo, in provincia di Massa Carrara (verosimilmente per sbrigarvi le pratiche autorizzative presso quella sede del Parco.

A fronte di tali notizie di stampa, ci aspettavamo di conoscere anche la voce della Comunità montana, attraverso un proprio comunicato che fornisse delucidazioni al riguardo, anche per far conoscere le esatte procedure vigenti al riguardo, ma così non è avvenuto (a meno di una nostra improbabile svista) e da allora sono ormai trascorsi più di quindici giorni.

Il silenzio della Comunità montana è stato per noi motivo di delusione, e in ogni caso quanto abbiamo avuto modo di leggere segnala un disagio degli operatori locali che non può essere minimizzato.

A parole tutti solidarizzano con chi è rimasto a vivere sulla terra e declamano l’importanza delle attività agricolo-forestali, insieme alla necessità di sostenerle e incentivarle, ma quando si passa ai fatti spuntano le incongruenze e le contraddizioni, come sembra giust’appunto dimostrare l’episodio in questione.

Se le cose sono andate effettivamente come le abbiamo apprese (e finora non abbiamo ragione di dubitarne) ha infatti dell’inspiegabile come una richiesta di taglio legna del 13 marzo non abbia trovato riscontro nell’arco di oltre due mesi.

Non intendiamo di certo sminuire il significato e il valore che la “burocrazia” riveste nella vita della pubblica amministrazione, ma quando i suoi tempi sembrano non tener conto di quelli delle attività cui è via via rivolta, la burocrazia viene avvertita come una sorta di fardello, che genera insofferenza e può alimentare diffidenze verso le istituzioni (appunto per questo ci pareva nella fattispecie opportuno un pronunciamento esplicativo della Comunità montana).

Ma il disappunto non finisce qui. Sempre in tema di agro e silvicoltura, una recente corrispondenza di codesti uffici ha precisato (anche qui salvo nostri errori interpretativi) che l’utilizzo del fuoco sul posto, allo scopo di bruciarvi le ramaglie derivanti dalle operazioni di potatura, e interventi similari, è consentito solo come forma di lotta antiparassitaria, cioè per ragioni fitosanitarie.

In normali condizioni, invece, i rami e gli scarti vegetali da attività agricole e boschive si configurerebbero come rifiuti speciali (ai sensi decreto legislativo n. 196/06) da smaltire nel rispetto delle norme vigenti; andrebbero cioè accatastati o triturati, ovvero asportati (giacché il loro abbruciamento è oggi considerato pericoloso, vuoi per la possibilità di generare incendi vuoi per la produzione di sostanze aeree inquinanti) il che di sovente è tutt’altro che semplice, e va oltretutto a comportare un aumento dei costi di manutenzione e cura del patrimonio arboreo (un controsenso alla stregua di quanto più sopra dicevamo).

In buona sostanza, veniamo a sapere che le vigenti Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale (PMPF), adottate a suo tempo dalla Regione, sono da ritenersi superate quanto all’art. 33, laddove veniva consentito “l’abbruciamento controllato del materiale di risulta dei lavori forestali”; e lo impariamo soltanto ora dopo che fin dall’aprile 2008 (nella interpellanza n. 2428/08 sulla coltivazione del castagno) avevamo segnalato di aver appreso questa tesi in un convegno, e lo riferimmo sia per la preoccupazione che gli operatori del settore potessero incorrere in involontarie inosservanze (perché ignari della predetta evoluzione normativa) sia al fine di ricercare idonee soluzioni per andare incontro al mondo agricolo.

C’è voluta la nostra insistenza (tradottasi in successive richieste in merito) per venirne a capo, sapere cioè come stanno effettivamente le cose, ma l’innegabile ritardo ci riporta al punto di partenza, nel senso che se l’argomento fosse stato affrontato allora, quando noi lo abbiamo posto per la prima volta, ci sarebbe stato il tempo per trattarlo in Consiglio comunitario, o quantomeno in conferenza dei capigruppo, e per investirne la stessa Regione come soggetto titolare e autore delle PMPF; ora non possiamo che prendere atto di quanto sta scritto nella menzionata Vs. corrispondenza di qualche giorno fa.

Anche il problema dei danni provocati alle coltivazioni dagli ungulati selvatici è tornato prepotentemente di attualità, con raccolta di firme e petizioni, accompagnate da qualche coda polemica, senza che siano mai state accolte le nostre proposte di promuovere un incontro tra i consiglieri comunitari e comunali e le locali organizzazioni agricole, la prima delle quali proposte risale al luglio 2007 (prot. 4444/07).

Non abbiamo certo l’illusione, e la presunzione, che un incontro del genere potesse essere risolutivo per le questioni agricole del nostro territorio, stante la loro complessità, ma avrebbe comunque aiutato ad inquadrarle con maggiore precisione, e poteva essere la premessa per altre iniziative tese a sostenere e valorizzare le potenzialità del nostro sistema agro-alimentare.

In buona sostanza, abbiamo l’impressione che si siano trascurati - o perlomeno sottovalutati, e insufficientemente “governati” - aspetti che concorrono alla tenuta delle imprenditorialità e delle intraprendenze esistenti sul nostro territorio, in agricoltura così come in altri comparti, e dunque concorrono di riflesso alla tenuta del nostro tessuto socio-economico. Non ce ne voglia la S.V. per questa riflessione, un po’ amara, di fine mandato, ma ci pareva doverosa nei confronti del nostro mondo produttivo - che merita attenzione e ascolto per l’importante ruolo che svolge - e confidiamo anche che possa funzionare da stimolo per far riprendere in mano il tema da parte del nuovo Consiglio comunitario.

(Paolo Bolognesi e Marino Friggeri, capigruppo consiliari)