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“Sono un cattivo telespettatore, cattivo e infastidito…”

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Sono un cattivo telespettatore, cattivo e infastidito. Cattivo, di fronte al ciarpame di trasmissioni, che non hanno niente di culturale; infastidito dal cumulo di servizi che allontanano o distraggono dai veri problemi, come quelli sulle varie influenze A o B, novella peste manzoniana, che invoca moderni lazzaretti dove rinchiudere gli appestati. A questo hanno fatto pensare i funerali di un simpatico napoletano, morto appunto per influenza: la chiesa era deserta, solo i parenti e gli addetti delle pompe funebri conl’indispensabile mascherina bianca sul volto.

Stiamo preparando le difese: vaccinazioni, mille attenzioni se si viaggia, se si frequentano ambienti di massa, per cui saranno più rare le frequentazioni di stadi, discoteche, sale cinematografiche e teatrali, piscine, scuole e chiese! Ma questo nostro mondo, sceso in campo contro l’influenza, dimentica uno dei problemi più gravi che inquietano gli animi di coloro che da anni si battono per arginare un fenomeno che non sembra arginabile: l’estrema povertà di molte popolazioni.

Secondo le stime della Fao, nel 2009 le persone che soffrono la fame sono circa un miliardo e venti milioni, cento milioni in più rispetto all’anno precedente. Mentre aumentano vertiginosamente le spese per gli armamenti, nessuno si domanda perché non aumentino mai le spese per dare da mangiare dignitosamente a tanta povera gente, per farla studiare, sostenere la loro agricoltura, fornire loro farmaci e medicine. Da noi si spreca denaro per diete, cure abbronzanti, lo sport dei professionisti, per tutto un arsenale di mezzi informatici diventati l’habitat naturale dei nostri ragazzi e giovani, che non possono più farne a meno. Ma a meno di pane, di istruzione e di lavoro sono la maggioranza dei poveri, per nulla tutelati sul mercato mondiale. I paesi ricchi non hanno mantenuto le loro promesse di aiuti, lamentava il cardinale salesiano Maradiaga, presidente della Caritas internazionale. L’emergenza economica attuale potrebbe servire da scusa per tagliarli ancora di più.

Nel loro piccolo, almeno famiglie e scuola, educatori e animatori di gruppi giovanili cerchino di educare ragazzi e giovani ad una maggiore sobrietà, riducendo forme di sciupio e spese inutili, ricercando una felicità meno banale e banalizzante, evitando quell’hèresie du bonheur, l’eresia della felicità, che crea le mentalità chiuse di chi si difende, emargina e respinge il povero, vivendo il futile, l’inutile, l’attimo. Un certo Voltaire l’ha detto in modo violento: “Non si può voler essere felici se ciò comporta essere imbecilli”.