Home Cronaca “Meno finanza e più lavoro”: un interessante documento della Azione cattolica

“Meno finanza e più lavoro”: un interessante documento della Azione cattolica

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Nel sistema d’impresa il lavoro occupa una posizione centrale come mostrano i volti e le storie di tanti lavoratori ed imprenditori che talvolta pagano con la stessa vita una crisi che non hanno contribuito a determinare.
Nonostante ciò, ha ancora considerevole forza la scelta di produrre beni superflui per creare bisogni effimeri; in questa prospettiva può essere vista la pratica di generare denaro attraverso il denaro, la quale ha prodotto la cosiddetta “finanziarizzazione dell’economia” e la crisi globale che il mondo sta vivendo.

Occorre, invece, indirizzare gli investimenti verso la produzione di beni e servizi reali, effettivamente utili all’uomo. Una società in cui vi sia una più giusta distribuzione delle risorse ed un’equa ripartizione dei redditi, del resto, è più protetta dalle speculazioni. È indubbio che il maggior pericolo della crisi economica sia l’esclusione finanziaria, che costituisce un elemento generatore di nuove povertà e determina quei fenomeni di emarginazione sociale che sono ampiamente presenti nella realtà odierna. Il sistema del credito deve essere, invece, al servizio dello sviluppo e del bene comune. Le risorse finanziarie, cioè, vanno utilizzate in attività che favoriscano l’economia reale, avendo come fine il perseguimento del benessere e lo sviluppo dell'uomo nella sua integralità. In una sana economia di mercato, l’intermediazione finanziaria responsabile, e quindi non speculativa, è lo strumento che opera la distribuzione delle risorse. Essere finanziariamente “inclusi” fa parte di quel gruppo di beni ritenuti essenziali nella vita sociale di oggi. Come ricorda C. Westermann “ogni attività umana, interessata unicamente alla rendita e al profitto e dimentica del dovere di aver cura e custodire la terra, è in contrasto con l’ordine di Dio”. Qualsiasi forma di materialismo e di economicismo che tentasse di ridurre il lavoratore a un mero strumento di produzione, a semplice forza-lavoro, a valore esclusivamente materiale, finirebbe per snaturare irrimediabilmente l’essenza del lavoro, privandolo della sua finalità più nobile e profondamente umana. La persona è il metro della dignità del lavoro, il quale, per il Magistero Sociale della Chiesa “non può essere valutato giustamente se non si tiene conto della sua natura sociale”.

La globalizzazione non regolata ha fatto sì, invece, che la concorrenza si sviluppasse sopratutto sulla base del costo del lavoro. Tale approccio ha generato effetti pericolosi quali: distorsioni del libero mercato, precarietà, lavoro nero, lavoro minorile, lavoro sfruttato e sottopagato. Ad essi vanno aggiunti comportamenti al limite della legge, riconducibili ad un’applicazione non corretta dei contratti di lavoro, oltre ad una scarsa attenzione verso la sicurezza, i cui tragici effetti sono sotto gli occhi di tutti.

Si sta inoltre assistendo a un utilizzo poco responsabile degli strumenti della flessibilità. Tale approccio mette i giovani nella condizione di accedere a un posto di lavoro “solido” soltanto alla soglia dei quarant’anni. In questo modo si rischia di “bruciare” intere generazioni. Ed il vuoto creato si ripercuote sull'intera società, minandola alle fondamenta. Senza percorsi di vita stabili in termini di continuità lavorativa, livelli di reddito e mobilità verticale, viene negata la possibilità di formare una famiglia, di acquistare una casa, di vivere relazioni sociali serene. A conferma di ciò, le piccole e medie Imprese, pur se in sofferenza, stanno affrontando la crisi proprio grazie ai legami di solidarietà che coinvolgono datori di lavoro e lavoratori, uniti entrambi dall’obiettivo di preservare il lavoro producendo beni e servizi orientati alla qualità e valorizzando il lavoro costruito sulle competenze ed il sacrificio.

Non può certamente essere considerato progresso lo sfruttamento dei mercati e della terra fino al loro esaurimento. Il progresso, piuttosto, si esprime nello sviluppo dell’intelligenza e della cultura, perché queste qualità, intrinseche dell’essere umano, rappresentano la sua capacità creativa e quindi la fonte della attitudine a creare innovazione. Ecco perché l’uomo è, e rimane, il “centro” del lavoro e del sistema economico. Secondo la Gaudium et spes (n. 67), infatti, “il lavoro umano, con cui si producono e si scambiano beni o si prestano servizi economici, è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo valore di strumento”. Da tale affermazione consegue che “il lavoro va remunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale”.
La recente Enciclica Caritas in veritate di Papa Benedetto XVI, poi, al punto 25 così afferma: “l’estromissione dal lavoro per lungo tempo, oppure la dipendenza prolungata dall’assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale”. Il lavoro, dunque, è un elemento essenziale del percorso di autorealizzazione dell’uomo: esso rappresenta quella dimensione che rende il valore “qualità della vita” indipendente ed autonomo rispetto ad altri parametri, come quelli di carattere finanziario/speculativo. Quest’autorealizzazione si determina, oggi, soprattutto attraverso un forte investimento sia nell’orientamento e nella formazione permanente, determinanti per la costruzione di un moderno sistema di welfare, sia nelle forme di partecipazione dei lavoratori alla proprietà delle imprese perché “i mezzi di produzione non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono essere neppure posseduti per possedere” (Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Laborem exercens).

Alla luce di tali considerazioni, in occasione della Festa del lavoro 2010, il Movimento Lavoratori di Azione Cattolica e l’Azione Cattolica Italiana vogliono riaffermare:
- il primato del lavoro e dell’economia reale, che produce beni e servizi concreti, sulla speculazione finanziaria;
- la rilevanza, proprio in questa fase di crisi, della sussidiarietà e del recupero dell’ottica di uno sviluppo sempre più legato al territorio;
- la necessità di una continuità di reddito legata a politiche di welfare d’attivazione;
- l'importanza della responsabilità sociale d’impresa estesa, però, anche all’ambito dei contratti di lavoro, affinché il loro utilizzo sia corretto e controllabile;
- l'importanza della formazione continua dei lavoratori collegata ad un’analisi dei fabbisogni professionali reali;
- la necessità di politiche d'incentivazione al lavoro, diminuendo il peso della pressione fiscale sul lavoro e contrastando la dilagante precarietà;
- l’opportunità di assumere una forte attenzione alle giovani generazioni, mettendo in campo efficaci strumenti di controllo e verifica delle politiche del lavoro sin’ora adottate;
- la necessità di rilanciare, con forme di finanziamento agevolate, le imprese giovanili, garantendo meccanismi di costituzione di reti fra aziende, al fine di determinare circoli virtuosi di socialità imprenditoriale;
- l'opportunità di sostenere il ruolo delle piccole e medie imprese, che creano occupazione ;
- l'esigenza di aumentare gli spazi di socialità dei corpi intermedi, ricostruendo valide e solide relazioni sociali di scambio e condivisione dei percorsi di vita e di lavoro, e contrastando così la cultura antieconomica dell'individualismo.