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L’Italia si desti!

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Ci sono popolazioni, nazioni, che nella mia percezione conservano i segni di una dominazione perenne, una rassegnazione secolare, nonostante nei decenni qualcosa sia cambiato e in meglio, forse apparentemente, ma spesso ci si accontenta delle apparenze e lo sguardo si tramuta in un timido sorriso. Ugualmente nei ceti estremi, i più deboli o i più abbienti, l’identità di classe si tramanda e trasmette e, anche nei casi di migrazione da una all’altra, resta la traccia indelebile dell’appartenenza storica. Si è più come si era che come si potrebbe essere.

Chi ha studiato i sistemi di regolazione delle macchine (non necessariamente autovetture) sa che i migliori risultati in termini di efficacia di risposta si hanno se si riesce a simulare quello che accadrà, utilizzando ciò che è successo e proiettandolo in avanti. Provate a immaginare di guidare la vostra automobile, seduti normalmente, guardando soltanto lo specchietto retrovisore; potete anche provare (io l’ho fatto quando ero studente con la macchina comprata da mamma e papà, appena comprai la prima, a mie spese, smisi di guardare in alto e ai lati delle portiere, tempo sprecato, rischio assicurato...), accertatevi di essere in una strada molto larga, preferibilmente diritta e con poco traffico, bastano poche decine di metri per accorgersi che è meglio guardare avanti.
Il tempo che intercorre tra l’inizio di uno stimolo e la reazione a esso, è lungo, il cambiamento è lento e inesorabilmente faticoso. Io lo definisco inerzia sociale, una sorta di effetto memoria che congela il nostro status e ne rallenta l’evoluzione. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, non è forse questo? E noi italiani come siamo, rispettiamo questo istinto? Certamente sì, perché non dovremmo?

Partiamo da lontano, vediamo come siamo diventati, dallo specchietto è facile.
Stati Uniti, anni ‘70, non so storicamente cosa ci fu, ricordo però quando ci andai, avevo dieci anni, per me era il boom economico, macchine lunghissime, cambio automatico, garages con porte automatiche radiocomandate, taniche di succhi d’arancia, apparecchiature elettroniche di tutti i tipi, centri commerciali, ripiani di gelati di tutti i gusti nel frigorifero a due ante con distributore del ghiaccio tritato... Tra noi e loro almeno un decennio, poi gradatamente la globalizzazione ha ridotto le distanze, molto lo ha fatto Internet, negli anni fine ‘90 compravo online cose che qua non sarebbero mai arrivate. E’ arrivata anche la carta di credito, ci misi poco ad adottarla, ci compravo magnificamente online, basta bonifici transoceanici, a tutt’oggi per le spese correnti non la utilizzo. Gli americani ci comprano anche le gomme da masticare, il giornale, il caffè... Nei negozi comincio a vedere persone che la utilizzano per spese minute. Chi acquista online sa bene che dopo un po’ si perde il senso del denaro, un conto è andare in banca e prelevare, poi spendere, anche fare bancomat e poi spendere, i soldi li tocchi, li maneggi, riempi e svuoti le tasche. Online fai tutto senza toccare nulla se non una tastiera, non hai nessuno che ti dice basta, paghi addirittura il 15 del mese dopo, fantastico. Io però per vedere avanti, ho un programma di gestione delle spese in cui proietto due mesi futuri di entrate e spese, per cui in qualunque momento so cosa succederà, se seguirà un rettilineo, una curva stretta o una interruzione del manto stradale... Avrete sentito dire che in America, più spendi e più carte di credito ti danno, meno soldi hai e più te ne danno, non è una favola, è vero, in questo modo hanno generato una catena che ha dato impulso ai consumi. Se però tutto si ferma e ciascuno vuole ciò che gli spetta non so cosa possa succedere, temo che il controvalore di tutto non ci sia! La globalizzazione ci ha portato anche questo. Vai in una nota catena di distribuzione per comprare un frigorifero, un tempo c’era il prezzo in grande e, sotto, piccolo piccolo, a rate... Ora vedi solo il prezzo a rate e se, sfortunatamente, hai tutti i soldi subito, in contanti, in tasca, devi litigare per comprarlo in un’unica soluzione di pagamento. Non ce la fai, piuttosto ti fanno un finanziamento di una rata, porti due risme di documenti, una per autorizzazione alla privacy e alla divulgazione di informazioni personali, fotocopie della busta paga, del CUD, delle bollette... Ma il venditore ha interesse a vendere a rate, chi lo finanzia certamente gli darà maggiori interessi sul conto corrente, finanziamenti agevolati con cui investire o pagare le merci.
Il rapporto non è più solo tra te e lui, il terzo è colui che finanzia: ecco che diamo lavoro anche a un altro. Questo sistema è un generatore di occupazione: pago dopo e lavora anche un altro, evviva!
A rate tutto costa poco o niente, soprattutto se a casa non fai i conti (guardate sempre avanti!) di cosa dovrai pagare ogni mese: telefonino, televisore LCD, asciugatrice, automobile, palestra, solarium, massaggi, scuola privata, vacanze (sì, anche queste, e con più di 12 rate!), abitazione...
Qualche anno fa, almeno un collega ogni mese traslocava, comprava casa, la prima o una più grande, mutui trentennali, tassi variabili o fissi, una scienza esatta. Meno chiaro il criterio di assegnazione: vai in banca, dichiari uno stipendio di 1.300 euro, l’operatore dello sportello ti chiede di quanto vuoi la rata, due conti, saltano fuori 600 euro per 42 anni, perfetto. Peccato che, con l’affitto attuale di 450 euro, mediamente sul conto ti restino appena 200 euro o anche meno... L’operatore finanziario potrebbe vederlo, oppure chiedertelo, ma non lo fa, se piazza un mutuo forse ha un premio variabile, nulla importa se dopo 3 mesi ti chiamano per dirti che sei sotto di 1.000 euro e quindi ti fanno i conti e scoprono che perdi sempre di più. Allora vendi casa, svendi, e lui il premio lo perderà? Probabilmente no, ha guardato anche lui solo dallo specchietto, il tuo specchietto.
Tre anni fa circa c’è stato quello che sappiamo, il mondo tutto d’un tratto si è accorto che ci stavamo raccontando tante storie, si sono chiusi i rubinetti, ma le rate vecchie no. Ciò nonostante, però, nella mia provincia, solo da un anno l’edilizia ha ridotto drasticamente i cantieri e nella mia cittadina pare ci siano 3.000 appartamenti invenduti. Nessun collega fa trasloco da un paio d’anni. C’è chi guarda ancora dallo specchietto di 4 anni fa e costruisce immobili, un nostalgico, un matto o peggio?

E il lavoro come va? Lavorare è fatica, come dicono in Romagna e per fare meno fatica, ci siamo inventati di fare lavorare gli altri, i cinesi per esempio. Hanno fame, tanta, per quattro soldi fanno di tutto, come noi 70 anni fa. Ma la globalizzazione non guarda in faccia nessuno, vogliono stare meglio, vedono la televisione e magari non l’operaio, ma il capetto, fa una vacanza all’estero e vede che un paio di scarpe della nota marca che produce costa 170 euro (una volta la scarpa da tennis era da poveretto, oggi costa più di una di agnello e cuoio!). Quando torna decide di produrne metà per la multinazionale, a 9 euro come sempre, l’altra metà di venderle direttamente a 70 euro a qualcuno di pochi scrupoli. Un paio di All Star contraffatte, identiche alle originali, in Cina si compra a 10 euro e ci guadagnano almeno due passaggi!
In Italia credo che costino 60 euro, con due o tre passaggi in più. Oltre a toglierci la fatica, ci tolgono anche il guadagno, un bell’affare abbiamo fatto.
Ma quelli che prima facevano le scarpe in Italia adesso cosa fanno? Per un po’ comprano quelle cinesi, quando hanno finito i soldi, avendo perso il lavoro, smettono di comprarle. Allora chi le vende, avendo meno clienti, alza i prezzi per guadagnarci di più e le prendono sempre meno persone. Intanto il cinese le vende direttamente nelle bancarelle delle piazze a metà prezzo a chi è a corto di soldi. E se l’imprenditore tornasse a farle in Italia? Probabilmente gli costerebbero 20 euro invece che 10, ma potrebbe venderle a 40 anche all’operaio che ha riassunto, guadagnerebbe 20 euro invece di 50 ma con quantità maggiori di pezzi venduti. Potrebbe eliminare qualche importatore o intermediario, spuntato dal nulla, ma preferisce guardare nello specchietto e non pensare che domani venderà le scarpe a pochissima gente a prezzi impazziti.
I Cinesi non sono stupidi, imparano alla svelta, anche quello che non vogliamo fargli fare, così non siamo più competitivi, loro costano poco, lavorano tanto, non si preoccupano di smaltire i rifiuti, dell’amianto, delle emissioni, della sicurezza sul lavoro...
Noi riduciamo la produzione e l’organico, quello che resta deve costare poco, per cui prendiamo personale non qualificato, interinale, stagisti, cerchiamo la flessibilità e generiamo l’instabilità e la precarietà. Gente che deve campare con 700 euro al mese e ha le famose rate o mutui che gli erano stati concessi senza alcuna esitazione, per 50 euro di stipendio in più, molla e va via e tu, imprenditore, perdi quello che aveva imparato.
Ma la precarietà fa paura alle banche, allora basta rate ai precari, allora giù i consumi, si vende meno, solo roba cinese, il cerchio si chiude, involuzione totale, disoccupazione crescente, inerzia sociale e nascono cattiveria, violenza e delinquenza. Questo non lo vedi nello specchietto, però.
Quando va male trovi il giovane che ha i genitori costantemente attaccati allo specchietto, magari anche i nonni, il primo giorno di lavoro scopre che si fa fatica, il secondo non si presenta, tanto un piatto di minestra a casa salta sempre fuori, anche il telefonino con Facebook.
Oppure trovi diplomati che pensano, per questo, di potere sedere a una scrivania e, magari, progettare, senza mai avere tirato una riga su carta e, tantomeno, avere visto (non dico fatto) cosa significa costruire un componente e rispettare le specifiche che con tanta facilità e precisione micrometrica lo strumento CAD gli suggerisce, risparmiandogli noiosi calcoli e verifiche.
Ricordo uno dei primi disegni che feci e diedi a un operaio esperto addetto a un tornio parallelo: era una vite prigioniera di una biella per un motore da corsa, Formula 1. Prese il disegno con grande senso del dovere e, rispettosamente, mi chiese se doveva farla proprio così precisa come avevo previsto in un dettaglio costruttivo; io capii che avevo commesso una leggerezza, non pensai che lui fosse inadeguato e gli chiesi che cosa sarebbe riuscito a fare. Accolsi i suoi suggerimenti e tornai alla mia comoda poltroncina e ricalcolai vite e foro, scoprii con entusiasmo che si poteva ottenere lo stesso risultato meccanico senza mettere in crisi chi poi doveva fare la fatica maggiore. Imparai che la qualità si fa con le cose semplici e ascoltando la gente che lavora.
Fu una esperienza che mi servì per tutti gli anni a seguire.

Se giovani e meno giovani posso permettersi di essere come li vediamo, si vede che tutta questa crisi non c’è, dico io. La politica fa qualcosa? Credo di sì, ma se il risultato è quello che vedo e prevedo, credo che tutto il giorno stiano seduti davanti allo specchietto, grande come il parabrezza e non vedano altro.
Lascio a esperti o a voi stessi di pensare alla ricetta per guardare avanti, mi limito a riflettere su quello che tutti pensano si dovrebbe fare.
Lotta all’evasione fiscale e stabilità del mercato del lavoro. Le tasse, che fardello, se tutti avessimo pagato quanto dovuto, saremmo il paese più ricco d’Europa. Non criminalizzo chi non le paga, chi di noi non ha mai chiesto uno sconto al dentista in cambio della mancata fattura o ha superato il limite di velocità in automobile? Io quattro ore della mia giornata lavorativa le dedico allo Stato, lavoro in azienda ma per lui, non è poco, vorrei pagare meno tasse e spendere di più.
Lo Stato, però, deve farle pagare a chi non lo fa, a cominciare dai più esposti. Assumerei 10.000 finanzieri che si potrebbero pagare partendo dai dati di immatricolazione di auto, barche e abitazioni di lusso per rintracciare eventuali grossi evasori. Quanto al lavoro, bisognerebbe agevolare i contratti part-time detassandoli, in questo modo molte donne che lo desiderano potrebbero avere più tempo a disposizione e una retribuzione non troppo decurtata, e si creerebbero nuovi posti di lavoro. Agevolare i contratti stabili, a tempo indeterminato, proibire l’impiego di personale interinale superiore al 20% dell’intero organico, limitare gli stage all'1% della popolazione aziendale e ridurre il costo del lavoro con l'aumentare della anzianità di servizio, più di quanto aumenti la retribuzione per scatti o meriti. In questo modo sarebbe incentivata e ricercata la formazione, la crescita professionale e la fidelizzazione all’impresa. Un cinquantenne senza lavoro ora difficilmente viene riassorbito, si preferisce il giovane apparentemente più flessibile e certamente meno oneroso.
Nessuno dubita che per ridurre i prezzi occorre aumentare i volumi e viceversa, riducendo il costo del lavoro aumenterebbe l’occupazione e la domanda di beni, dunque i consumi. L’imprenditore è il primo che deve guardare avanti, oggi è più difficile di ieri e molti non ce la fanno per incapacità. Certamente non li aiutiamo “sprofessionalizzando” o licenziando, allunghiamo la loro agonia e basta. Devono guardare avanti e fare la loro parte, la genialità non basta più.

Provengo da una famiglia né benestante né ricca, diciamo stante-molto-bene, dove si pensa che i privilegi e le fortune acquisiti scorrettamente o, peggio, illecitamente vadano combattuti duramente ed eliminati. Se la torta da spartire si è ridotta, va distribuita diversamente, con regole meritocratiche ed equità.
Davanti a noi abbiamo una strada tortuosa e piena di buche, ma continuiamo a guardare l’autostrada a quattro corsie dietro di noi, dallo specchietto.
Non so se basterà il primo schianto per farci cambiare visuale.

L’Italia si desti!

(Francesco Casoli)

6 COMMENTS


  1. Ottime riflessioni, sono d’accordo con Lei in quasi tutte le sue argomentazioni, ma non dove afferma che bisogna alzare l’età pensionabile per i seguenti motivi: 1) in Italia adesso in pensione si va come minimo a 60 anni d’età e 40 di contributi che diventano comunque 61 per il famoso anno in più che devi fare e regali all’Inps un anno di contributi (puoi rifiutare di fare l’anno, ma senza pensione); 2) raggiunta una certa età, cioè 57/58 anni (generazione degli anni cinquanta), le aziende private ti invitano a dimetterti perchè sei obsoleto. Quando si parla di allungare l’età pensionabile, e mi rivolgo in particolare ai nostri governanti, non dobbiamo essere cosi generalisti perchè 40 anni di lavoro subordinato fatti con serietà e dedizione sono più che sufficienti per guadagnare il diritto alla pensione. I giovani: il mondo del lavoro li bistratta, approfitta della loro debolezza contrattuale e gli propone tirocini, stage, apprendistato, contratti a chiamata, etc. Naturalmente i figli di… sono esclusi da queste vessazioni. Sì, sarebbe ora che gli italiani si svegliassero e che si rendessero conto che questa società consumistica senza valori morali ed etici ci ha condotto nel baratro.

    (Maura)


  2. Gentile lettrice Maura, per quanto riguarda l’età pensionabile devo notare che nella correzione della bozza si è modificato il senso originale del mio pensiero, mi rammarico di non essermene accorto. In verità la mia posizione è diversa, ritengo che il costo del lavoro dovrebbe essere ridotto per anzianità di servizio, magari ancora di più per permanenza nella stessa impresa, in questo modo gli imprenditori sarebbero incentivati a mantenere stabile l’organico che vedrebbe accrescere il proprio stipendio e non il costo del lavoro. La ringrazio per l’osservazione e provvederò a modificare la parte non rispecchiante il mio pensiero originario.

    (Francesco Casoli)

  3. …si desti riflettendo
    Ho apprezzato la metafora dello specchietto retrovisore e da qui vorrei partire. Vero è che guidando è meglio guardare verso dove si va piuttosto che da dove si è passati (non ho scritto “da dove si viene” appositamente perché questo ha una rilevanza enorme anche rispetto alla strada da percorrere che si vuol scegliere). Il problema, però, è proprio il “dove si va”. Certo, guardare la strada in avanti evita incidenti ma, purtroppo, la strada che abbiamo davanti è una strada che è stata tracciata e costruita nello stesso modo in cui è stata tracciata e costruita… quella che vediamo dallo specchietto retrovisore.
    E’ questo, credo, il nostro più grande problema, oggi: essere in grado di ricostruire tutta la strada che vogliamo guardare attentamente e percorrere.
    L’età pensionabile, la manovra fiscale, il contratto unico, l’ articolo 18… tutti rattoppi su una strada che rischia di franare in parte anche per le situazioni analizzate nell’articolo dal Sig. Casoli.
    Chi e come sarà in grado di progettarne una nuova? Io credo che ci si debba fermare un attimo sulla corsia di emergenza, dare uno sguardo allo specchietto retrovisore fino a scorgere quegli ideali che ci hanno permesso di costruire, fino ad un certo punto dal nostro viaggio, una società piena di prospettive (mi vengono in mente, ad esempio, il concetto di politica di De Gasperi o la teoria sul valore sociale dell’impresa di Pertini), analizzare i perché la strada, soprattutto quella che abbiamo davanti si è così deteriorata (perché un cinese deve percepire “una ciotola di riso” per stipendio quando noi già sappiamo che uno stipendio “per comprare un tozzo di pane” non è dignitoso per l’uomo?; perché stati più moderni del nostro hanno stabilito che qualsiasi “capo” di qualsiasi organizzazione, economica o politica che sia, possa guadagnare al massimo 25 volte quello che guadagna chi guadagna di meno nella stessa organizzazione e noi no?) e cercare di riprogettarne una tutta nuova, stavolta sì con tecniche nuove non copiabili guardando all’indietro. E’ questo, credo, che ci manca: l’assunzione di principi (non voglio fare la morale a nessuno, eh!, perché ne sono il meno indicato!) che ci permettano di sapere dove andare. L’alternativa, purtroppo, è quella di dover percorrere una strada sempre più in rovina.

    (Elio Peri)


  4. Che strano, nonostante il titolo dell’articolo molto provocatorio, dal mio punto di vista, e il relativo contenuto assai interessante riguardante l’aspetto socio-economico della nostra società, nessun lettore giovane o meno giovane è intervenuto. Si constata, signor Casoli, che i lettori di @CRedacon#C non si sono destati. Non so se lo spirito del lungo articolo voleva essere una riflessione personale ad alta voce o se nel suo intimo voleva coinvolgere i lettori ad un dibattito on-line sull’argomento. Io credo comunque che, in entrambi i casi, ci sia stato un invito alla riflessione e a guardare oltre il proprio orticello.

    (Maura N.)


  5. A volte la miglior parola è il silenzio. Personalmente sono schifato dalla situazione generica e vi posso assicurare che sono alcuni anni che cerchiamo di dare voce ai vari disagi… L’italiano medio, per svegliarsi, oggi come allora ha bisogno di 20 anni di dittatura e di una guerra mondiale?… Io spero sempre di no…

    (Mattia Rontevroli)

  6. Cosa mi aspetto?
    Grazie per i commenti, avete confermato i macrotemi discussi. Purtroppo non si può fare diversamente, non mi aspetto molto, la mia voce non può scuotere milioni di persone abituate a stare inermi; volevo solo avere la consolazione che qualcuno se ne rendesse conto, ma appena togliamo lo sguardo o il pensiero da queste cose si torna nel quotidiano che abbiamo dipinto…

    (Francesco Casoli)