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La fine del capitalismo

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Era prevedibile, anzi scontato: il capitalismo mondiale è entrato in una fase di crisi profonda. Non si tratta di una delle periodiche crisi di crescita come teorizzato da Schumpeter, bensì di una crisi maturata nel tempo, pronta ad esplodere ormai da decenni, ma tamponata con misure di emergenza, che ne hanno aggravato le condizioni, fino allo stato di irreversibilità. E’ proprio in questi frangenti di radicale cambiamento provocato dalla nave che affonda per incapacità dei nocchieri, che i sorci scappano. Il capitalismo è finito da parecchi decenni; ma è riuscito a sopravvivere transitando da una crisi all’altra, identificando le varie crisi come momenti di crescita, di superamento degli schemi precedenti per inventare schemi più nuovi.

Il sistema per reperire denaro non poteva che contemplare lo sfruttamento al massimo del potenziale del mercato, attraverso la mobilitazione dei media per spingere al consumo, anche ipotecandosi la casa, pur di potere seguire la moda imposta del superfluo. Era questione di tempo, ma i nodi dovevano venire al pettine, e in tutto l’occidente, nonché in quelle nazioni che si sono lasciate irretire dal consumismo sfrenato.

L’Italia è stata la nazione più disgraziatamente coinvolta, perché ha avuto la maledizione di avere un presidente del Consiglio impelagato fino al collo nel conflitto di interessi e contemporaneamente convinto promotore di un liberismo fuori dal controllo dello Stato, inadeguato ad inserirsi nella dinamica di una nazione che era riuscita ad emergere dallo sfacelo fascista con la forza del lavoro, della produzione, con il sostegno delle classi socialmente più deboli, ma messe nella condizione di lavorare e produrre.

Con l’arrivo di Berlusconi le condizioni si sono capovolte; è emersa la finanza creativa, la protezione delle classi che avrebbero dovuto pilotare la produzione, attraverso condoni fiscali a ripetizione, favorendo (e giustificando) l’evasione fiscale, quindi la penalizzazione del lavoro mortificato dal precariato. Ora proclama la lotta all’evasione, ma assolvendo il capitalismo dalla patrimoniale, magari sperando di essere creduto; ma se durante il governo Prodi, in una riunione dell’Assindustria, ebbe a dire che una fiscalizzazione oltre il 40% giustifica l’evasione (questo perché prometteva riduzione di tasse e benefici per le fasce più bisognose). Non è accaduto nulla di ciò, anzi le tasse aumenteranno (ma non si chiameranno più “le mani nelle tasche degli italiani” ma “sacrifici necessari”) e il premier pretende che il popolo (bove quanto vi pare, ma non fino a questo punto) debba credergli.

Dopo avere esaltato la classe capitalista, gli imprenditori, le cordate eroiche, ora che li ritrova sull’orlo del fallimento vorrebbe chiamare a raccolta la piccola e media borghesia del lavoro perché vada a soccorrere gli sconfitti. Salvare, poi, questo capitalismo significa salvare il boia che ha pronta la corda per impiccare la piccola e media borghesia che vive di lavoro e crede nella democrazia. Questo perché il capitalismo non soltanto non ha bisogno della democrazia, ma la combatte in nome di un regime autoritario che tuteli le condizioni di privilegio che ha generato.

In questo periodico transito ha preso piede l’idea portante che il capitale avrebbe potuto generare altro capitale senza ricorrere al fastidio di dover promuovere il lavoro, la produzione, la competitività, la ricerca. Fino a quando c’erano risorse il giochetto ha funzionato; ma ora le risorse sono terminate e incalza il debito pubblico, per cui mucche da mungere non ce ne sono.

A questo punto non resta che passare la mano, fingendo di volere proseguire, ma solo per avere il tempo di raggranellare quanto serve per godersi una comoda vita lontano dai guai che questo governo ha prodotto. I peones si agitano, mentre i gerarchi cercano di tenerli buoni sprizzando raggi di ottimismo e proclamando certezze solo per mantenere l’indispensabile maggioranza numerica. Ma tutti stanno cercando la più agevole via di fuga, ben sapendo che un diverso governo, con diversa filosofia politica, non potrà più garantire i loro averi. Ci lasceranno alcuni decenni di ristrettezze, per ricominciare da dove eravamo 18 anni addietro, anche retrocedendo in termini di sviluppo, ormai diventato un modello insostenibile.

(Rosario Amico Roxas)

 

2 COMMENTS

  1. Dai greci ad oggi…
    “Democrazia: una pessima forma di governo, ma la migliore che abbiamo” –> proverbio greco.
    “Il capitalismo è una pessima forma di governo economico, ma è la migliore che abbiamo” –> adattamento moderno di un antico adagio.

    (Alessio Zanni)

  2. Tante parole senza costrutto
    In questo marasma di parole storicamente reali ma rastrellate senza costrutto, mi chiedo dove sia stata nascosta la soluzione del problema CAPITALISMO. Perchè se il relatore di cotanta vituperia verso il sistema capitalistico mondiale ci dicesse quale alternativa trova all’eliminazione dello stesso, forse potremmo sperare in una soluzione alternativa allo sfacelo che codesto sistema (secondo lui) ha prodotto. Forse il tanto osannato (negli anni sessanta/settanta) sistema SOCIALISTA può sembrargli la soluzione? Forse crede che dovremmo tutti dipendere da un unico soggetto (lo Stato) che ci nutre, ci tutela, ci protegge, ci controlla, ci “normalizza”, ci “eguaglia” gli uni agli altri al livello minimo di gestionibilità collettiva. Io credo che il capitalismo sia la vera ed unica forma di democrazia che spinge l’individuo ad elevarsi, a formarsi per raggiungere il meglio per sè e per chi gli sta a cuore. Ciò comporta che il suo impegno porti al benessere generale di una società che ha bisogno di spinte individuali di tanti soggetti come lui e non di persone che puntano solamente a ritirare il salario a fine mese a prescindere se se lo sono guadagnato o meno. Non si può dipendere tutti dallo stato sociale. In Italia abbiamo più laureati di quanti ne possiamo sistemare ma manchiamo di manodopera semplice, tanto che siamo costretti ad avvalerci dell’operato degli extracomunitari spesso sfruttati. In compenso continiuamo a mantenere i disoccupati con sussidi senza SPINGERLI a scegliere lavori anche più umili ma certamente anche più onesti che non il semplice starsene con le braccia conserte ad aspettare un posto pubblico. Mi domando se non ci sia da vergognarsi nel vedere che tremila persone hanno fatto domanda per accedere ad un concorso pubblico per TRE vigili urbani. Il vero dramma è l’economia mondiale basata SUL NULLA. Una volta il titolare di una fabbrica investiva gli utili nel migliorare la fabbrica stessa con nuove tecnologie e nuovi prodotti, si spremeva le meningi e le tasche per migliorare la sua creatura e di conseguenza il meccanismo CAPITALISMO FUNZIONAVA. Ora si creano false società finanziarie che rilasciano falsi pacchetti ad investimento certo e garantito con promesse di interessi senza fatica e senza sudore. Vediamo i titolari di grandi griffes di moda che investono in fondi esteri e bruciano i capitali bruciando il lavoro di una vita, senza trovare via di rimedio al danno se non comprare altra carta senza valore che copra la carta senza valore appena svalutata. Un cane che si morde la coda. Le BORSE MONDIALI gestite in questo modo hanno portato alla crisi che ora ci troviamo ad affrontare. NON IL CAPITALISMO QUANTO TALE.
    Una ultima piccola osservazione. Non facciamo risalire la situazione dell’Italia agli ultimi 18 anni di governo BERLUSCONI: è troppo semplicistico e sicuramente FALSO. La situazione attuale è stata certamente provocata da interventi statali pubblici con la cassa del mezzogiorno, il pre-pensionamenti degli statali che ancora oggi usufruiscono di rette pensionistiche e fanno altri lavori, del miraggio del posto fisso, della creazione di enti pubblici che potessero “sistemare” i propri elettori in modo che questi si ricordassero al momento giusto di tutelare lo scranno del politico di turno. Il capitalismo REALE e SANO è l’unica soluzione per un vivere comune decoroso e degno dell’individualità di ciascuno di noi. Forse tutto ciò che ho scritto è solo UTOPIA, ma credo sia l’unica vera strada percorribile per una libera democrazia del singolo.

    (Fabio Mammi)