Home Economia Gli stati combattono la recessione non spendendo…

Gli stati combattono la recessione non spendendo…

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 Stavolta la recessione è un fatto certo e non più un fantasma da evitare.

Altrettanto certo è il fatto che per la prima volta nella storia delle economie occidentali alla recessione i governi non ripondono con manovre espansive del debito pubblico, ma assumendo misure di austerità e di riduzione dell’esposizione debitoria.

Questa congiuntura quindi è ben peggiore di ogni altra che da 40 anni a questa parte si è periodicamente presentata.

Le armi dei governi sono spuntate: il loro debito non è più in mani nazionali o comunque amiche; i detentori di quote importanti del debito degli Stati sono oggi entità che spesso non hanno un volto preciso, non rispondo a direttive politiche, ma solo a logiche di mercato, e comunque non hanno intenzioni di perdere i capitali investiti.

La manovra espansiva di qualche giorno fa, che ha determinato immissione sul mercato di oltre 480 miliardi di euro da parte della BCE, non è solo un fatto positivo, perché con sé porta riflessi che a lungo andare potranno rivelarsi estremamente insidiosi.

Si è ampliato il bilancio della Bce (oltre 2.700 miliardi di euro a fronte dei 2.300 miliardi della Fed) e si è ampliata la base monetaria nella zona euro; immediato riflesso (ne sono testimonianze i recenti sviluppi) è stato l’indebolimento dell’euro sul dollaro.

Questo determinerà nell’immediato una nuova corsa agli asset sicuri, che sempre di più sono individuati nella valuta statunitense. Il rafforzamento del dollaro di certo sarà osteggiato dalla politica americana, e se nell’anno 2011 abbiamo assistito ad una certa inerzia da parte della Fed, non escludo che a breve vi saranno nuove manovre espansive da parte della banca centrale statunitense.

E l’euro resterà in altalena, e non solo per fattori economici. Pesa sulla valuta della zona euro l’incognita delle scelte politiche.

E qui riemerge con forza il problema del rischio – Italia. Come si è notato lo spread sul decennale tedesco non accenna a diminuire e questo non è certo un segnale positivo.

Sviluppi potranno aversi dopo che si sarà verificato in concreto dove andrà ad allocarsi la massa di liquidità erogata dalla BCE. Per ora ben 453 miliardi di euro sono stati nuovamente parcheggiati dalle banche nei forzieri di Francoforte. L’attesa è per le scelte che saranno fatte per inizio 2012; gli scenari di investimento di questa massa di liquidità possono essere variegati, dai rafforzamenti patrimoniali delle banche (imposti dai rigidi criteri dell’EBA, l’autorità bancaria europea), dall’utilizzo per il rifinanziamento delle obbligazioni bancarie in scadenza nel 2012 (ed in Italia il volume di queste è davveronotevole), dall’acquisto dei titoli di stato (ma come si è già visto le banche acquisteranno solo titoli a breve scadenza, come avvenuto per gli acquisti Bot trimestrali e semestrali di qualche giorno fa; non vi è certo la corsa ad acquistare titoli a medio-lungo termine come dimostra la mancata copertura della forchetta alta dei BTP offerti in asta il 29 dicembre) ed infine dall’investimento in favore di famiglie ed imprese.

Non è per caso che ho lasciato per ultimo questo aspetto (utilizzo della liquidità per ridare fiato agli investimenti) perché purtroppo temo che sarà la forma di utilizzo meno percorsa dal sistema bancario; il 2012 si apre nel segno di un nuovo credit crunch (restrizione creditizia) ben peggiore della fase che ha immediatamente seguito il krack Lehman Brothers nell’ottobre 2008.

E la mancaza di erogazione di finanziamenti alle imprese è altro fattore che inciderà con effetto prociclico sulla recessione in atto.

Per non parlare della contrazione dei mutui alle famiglie, nell’ultimo mese crollata del 46%

Vie di uscita? Se ne sta parlando da più parti.

Una di queste si indirizza nel ritorno alle valute nazionali.

Non sono in grado di comprendere al momento gli effetti di un ritorno alla lira e quindi di valutare se il risultato finale potrà essere o meno di vantaggio per Italia. Mi soffermo su dati di immediata percezione, per indicare come un ritorno ad una moneta che sarebbe infinitamente più debole dell’euro, avrà effetti disastrosi per gli acquisti di agroalimentari che Italia sempre di più effettua dai Paesi esteri.

Il nostro Paese ha una forte dipendenza ormai dalle importazioni di cereali e latte, come indicano i seguenti dati

 

Cereali

Le importazioni in Italia sono risultate in aumento di 349.000 tonnellate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, anche le esportazioni sono aumentate di 128.000 tonnellate.

I movimenti valutari relativi all’import/export del settore hanno comportato nei primi tre mesi del 2011 un esborso di valuta pari a 1.264,8 milioni di euro (906,6 nel 2010) ed introiti per 710,7 milioni di Euro (626,6 nel 2010). Pertanto il saldo valutario netto è pari a -554,1 milioni di Euro, contro -280,0 milioni di Euro nel 2010.

 

Latte

Nei primi quattro mesi del 2009 (ultimi aggiornamenti Istat) le importazioni italiane di lattiero-caseari hanno registrato, complessivamente, una crescita su base annua del 3,3% in volume, totalizzando 913 mila tonnellate circa. Di contro le esportazioni, scese sotto le 140 mila tonnellate, hanno subito una contrazione del 21,4%.

In tutto questo, una lira debole come potrà difendere i nostri acquisti di beni che sono di prima necessità ? (per non parlare poi del petrolio, dal quale dipendiamo in percentuale elevatissima per far fronte al nostro fabbisogno energetico).

Non ho ricette, ma vorrei solo sollevare il problema che mi pare ad oggi un po’ sottovalutato da coloro che chiedono il ritorno alla lira. Se fossimo un Paese in grado di far fronte con risorse interne ai propri fabbisogni alimentari ed energetici, il ritorno alla valuta nazionale non avrebbe effetti devastanti; per noi –al contrario – lo scenario è dei peggiori.

(Rossella Ognibene)

 

1 COMMENT

  1. Purtroppo l’assetto economico si sta dimostrando avere costruito un mondo che non è basato su un reale controvalore; a ogni cosa non corrisponde, cioè, una risorsa equivalente ma sotto un’altra forma. Questo significa che complessivamente, tradotto in denaro, circa un valore (dato dai patrimoni, dalle spese correnti, stipendi, merci…) che è finto. Stiamo facendo circolare valore superiore a quello effettivo. Se ci fermiamo tutti e ciascuno esige quello che deve avere, qualcuno resterà in mutande, molti sono quei qualcuno. Se i finanziamenti alle imprese e famiglie rallentano è perché questo processo si sta concretizzando. Ora che se ne parla, abbiamo perso la facilità a dare o spendere quello che non abbiamo, ci guardiamo di più. Stiamo ancora cercando di raschiare il barile di quel poco che resta di vero (pensioni, risparmi e redditi) ma resta sempre che nel complesso stiamo a tavola in troppi e il cibo è per meno persone. Nelle aziende, negli uffici pubblici, ci sono mestieri che di fatto forniscono retribuzioni a cui non corrisponde un analogo valore aggiunto, in certi casi solo un passaggio, in altri un freno; stiamo pagando intermediari di merci che passano per troppe mani, per finire nelle nostre a prezzi sproporzionati.
    E allora? Bisogna ridare controvalore a stipendi, intermediari, servizi, come?
    Tornare a zappare la terra, consumare quello che si raccoglie, scambiarlo per quello che non si fa, il resto è fanta-economia.

    (Francesco Casoli)