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Le luci della ribalta

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Le luci delle ribalta

C’è chi ama scrivere per raccontare di sé e chi vede nello scrivere fatti di cronaca una valenza storica: verba volant, scripta… Scrivere per lasciare qualcosa di sé, alla propria memoria o alla memoria collettiva.

 La scrittura ha leggi precise.

Condillac, uno scrittore francese del settecento, sosteneva che lo scrivere impone di riordinare i pensieri per poterli esprimere. Chi scrive quindi è costretto a un processo cognitivo rigoroso, dove sono chiamate in causa la grammatica, la sintassi, la consecutio temporum, metafore e tutto ciò che appartiene al mondo delle parole scritte.

Si può scrivere per se stessi o per dire ad altri delle cose.

La scrittura pubblica ha a che fare con la comunicazione con l’Altro. Presuppone una persona che agisce, mettendo in fila parole, concetti, pensieri, un codice che serve a codificare quanto necessario per farsi intendere. E un fruitore che riceve il messaggio, lo legge, lo decodifica.

Non sempre quanto è espresso nel processo di emissione del messaggio scritto è quanto poi sarà compreso da chi lo legge. Prima di tutto se non si parte da un codice condiviso.

Capita di voler dire A e il lettore decodifica B. I segni sono mondi possibili in cui siamo immersi. L’attribuzione di significato che ognuno vi dà è in funzione di una serie infinita di variabili. Se c’è una cultura condivisa, se i riferimenti contestuali sono comuni, se i vissuti sono comparabili, allora si avrà l’impressione di riferirsi a una mappa conosciuta.

Se i punti di partenza sono differenti, differente sarà l’interpretazione che il singolo darà a quanto legge.

Ora la stampa ha grossa responsabilità: dire quanto accaduto rispettando, nel caso della cronaca, regole ben specifiche che si riassumono nel dire chi ha fatto che cosa, come, dove e quando. E, se si sa, perché.

Da un lato chi scrive ha la responsabilità di cosa scrive, però egli non è altrettanto responsabile di cosa capisce chi legge.

Riportare un fatto accaduto in modo neutrale e oggettivo è allo stesso tempo facile e difficile. Ben sa chi scrive quanto sia facile spingere verso una interpretazione piuttosto che un’altra, scegliendo un aggettivo invece di un altro, per esempio.

La comunicazione implica di per sé la possibilità di ambiguità, non chiarezza, fallacia, come sostiene il filosofo Paul Grice. E d’altra parte è impossibile non comunicare, come sostiene Watzslawick. Tant’è che chi legge spesso ha il compito di “dis-ambiguare”.

Chi lavora in una redazione ha delle responsabilità per quanto comunica.

Sceglie, ogni volta che pubblica qualcosa, di aderire a un suo codice condiviso e compartecipato.

Una testata di un giornale di informazione in rete riceve tot visite quotidianamente, arriva in molti luoghi. Se poi tale sito è gestito soltanto da volontari, l’informazione assume un carattere ancora più particolare.

Se nessuno è pagato per dare informazioni, perché darle?

Come scegliere di darle?

Secondo quali principi?

Quali sono le motivazioni che spingono chi fa un lavoro come questo?

Servizio sociale?

Amore per la storia locale?

Passione per la scrittura fine a se stessa?

Appagamento egoico di un desiderio di visibilità per cui “scrivo su un sito locale che è letto… ergo sum?”

Poter dire la propria pubblicamente?

Pubblicità indiretta ad altre attività di lucro?

Poter diventare portavoce di voci altrui dietro le quinte?

Altro ed eventuale?

Di fatto chi gestisce una testata locale di notizie deve fronteggiare numerosi processi sociali. Chi legge filtrerà tutto quanto secondo la sua visione della vita.

C’è chi ringrazierà perché vede per primo il servizio, l’utilità del lavoro svolto, apprezzandone la gratuità per la comunità. C’è chi si sentirà escluso dalla stanza dei bottoni e vorrebbe invece entrarci. C’è chi non è interessato a scrivere ma legge volentieri. C’è chi vi vede un privilegio, altri invece non sanno nemmeno quanto tempo necessiti tener vivo e aggiornato un sito di informazione sebbene di raggio limitato.

Tutto questo però non dipende necessariamente da chi scrive, ma dal significato letto da chi legge.

Un sito del genere si presta ai pareri più svariati della popolazione.  Chi incoraggia e apprezza, riconoscendone il valore, non necessariamente condividendo tutto. Chi disapprova ma poi sfrutta ogni occasione per poter essere visibile e chi condanna. C’è chi vorrebbe farla da sé la testata locale e crede che sicuramente la farebbe meglio. C’è chi critica a prescindere, chi snobba, chi ignora, chi impreca.

Chi si meraviglia e chi si indigna.

Redacon a quanto pare funge da specchio, da schermo dove ognuno si specchia indossando i propri occhiali, leggendo secondo le proprie chiavi interpretative.

Ben sapendolo, è con impegno e buona volontà che si procede. Continuando a crederci, cercando di essere più corretti e precisi possibili. E se ci scappa qualche soddisfazione ogni tanto, è bello.  Come uno che per strada sorride e dice “interessante!”.

Qualcuno scrive anche solo per questo.

(La redazione)

 

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