Home Economia Non chiuderemo la stalla (dell’economia) quando i buoi saranno scappati?

Non chiuderemo la stalla (dell’economia) quando i buoi saranno scappati?

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Il 2012 si profila come un anno  difficile, sotto vari fronti : la scarsa tenuta dell'occupazione, il disagio sociale che si sta amplificando, soprattutto per i giovani e le donne.

Tutti dichiarano che occorre fare il massimo sforzo per creare le condizioni per lo sviluppo e, quindi, nuovi posti di lavoro. I numeri però sono sconfortanti.

I dati sulla produzione industriale a gennaio registrano un meno 5%, il dato peggiore dal 2009.

I dati recenti della stretta creditizia si evidenziano anche nei suicidi dei piccoli imprenditori, che si tolgono la vita per la crisi di liquidità (non riuscendo ad incassare i crediti)  e non per debiti.

Una simile restrizione creditizia non accadeva da 14 anni, secondo il dato che emerge dalla rilevazione della Cgia di Mestre. Nel secondo semestre del 2011 è stato – infatti - raggiunto il record della contrazione negativa del credito, sceso del 2,4% per le imprese e dell'1,6% per le aziende familiari.

Secondo la Cgia, prendendo in considerazione il secondo semestre di ciascun anno dal 1998 al 2011, solo l'anno scorso i prestiti sono diminuiti sia per le imprese che per le aziende familiari.

Le sofferenze aumentano, anche nell’agricoltura, anche se il Parmigiano Reggiano - con quotazioni in calo - è a livelli soddisfacenti per i produttori.

Coldiretti afferma che «sono aumentate del 30% le aziende del settore agricolo e agroalimentare in sofferenza nel far fronte al pagamento di mutui nel 2011».

Secondo Coldiretti, nel 2011  «le aziende del settore in sofferenza nel far fronte ai debiti pregressi sono aumentate di un terzo, mentre si è fatta sempre più drammatica la stretta creditizia che fa venire meno la possibilitá di garantire liquiditá».

E la voce degli economisti è sempre più critica verso il comportamento dei rappresentanti politici dell’Europa. Manca l’unione concreta degli sforzi per risolvere la crisi dell'euro una volta per tutte; e la confusione degli scenari ormai regna indiscussa. Si è appena dichiarato di aver salvato la Grecia, e già lageniza Moody’s ne decreta il “default”. Un tale disallineamento di valutazioni è ben difficile da comprendere. Di certo in questi anni, dopo il manifestarsi acuto della crisi finanziaria (ottobre 2008) non si è andati oltre ad una modesta sequela di mezze misure. L’unico Istituto che davvero ha messo in atto interventi decisi è stata la BCE, con le due operazioni di prestito di  liquidità a lungo termine alle banche, mossa che ha salvato il sistema finanziario europeo da una catastrofe annunciata. Ma la soluzione BCE è solo un modo per comprare tempo, non certo per risolvere il problema. Lo vediamo bene in Italia dove, nonostante i prestiti contratti dalle nostre banche con la BCE, quasi nulla è ancora arrivato all’economia reale in termini di prestiti a imprese e famiglie.

E’ scontata una domanda: è mai possibile che i politici non si rendano conto della gravità delle cose? Una motivazione a questo “non intervento” , a questo continuo ricorrere gli eventi anziché affrontarli l‘ha esposta Axel Weber, ex presidente della Bundesbank. Secondo Weber, le autorità politiche non hanno il mandato per risolvere i problemi, specialmente quando si tratta di problemi nuovi, che inizialmente sembrano trascurabili. L’esempio della Grecia è di solare evidenza. Un prestito consistente alla Grecia all’inizio dell’escalation della crisi, nel maggio 2010 , avrebbe evitato due anni di agonia, con costi di intervento che alla fine – dopo due anni di tira e molla -  si sono moltiplicati a livello decisamente importante (e forse neppure sufficiente, visto che anche FMI deve metter mano in modo consistente a finanziamenti alla Grecia nei prossimi giorni). Se intervenendo in modo tempestivo il politico  impedisce che il problema si manifesti, i cittadini non avranno mai un'esperienza diretta della gravità del problema a cui sono scampati e puniranno nelle urne i leader, colpevoli di aver “speso” per impedire un evento che alla fine non si è manifestato. In altre parole, anche se hanno un'idea chiarissima del disastro a cui si va incontro non intervenendo, non è detto che i politici siano in grado di convincere gli elettori, o gli esponenti meno perspicaci del proprio partito, che questi costi immediati vanno sostenuti. La capacità dei leader di prendere misure correttive si incrementa solo con il passare del tempo, quando si cominciano a sperimentare, in parte, i costi del non intervento. Ma a quel punto potrebbe essere già tardi per trovare reali soluzioni.

In Italia ora il problema è quello di liberare risorse per dare impulso alla crescita, ora che la recessione già morde e che i risparmi delle famiglie si sono drasticamente ridotti. In numeri ci dicono che per Italia potrebbe già essere tardi per invertire la rotta. Spero di sbagliarmi, ma non credo che frenare  la crescita incontrollata dello “spread” abbia cambiato in modo radicale le nostre prospettive. Non basta ancora. Le agenzie di rating stanno continuando a declassare le nostre aziende e istituzioni finanziarie. I nostri titoli di stato non sono ancora comprati dagli investitori istituzionali di lungo periodo; gli acquisti sono ritornati, ma in maggior parte dalle banche italiane, abbreviando per di più la durata dell’investimento (non si comprano titoli di lungo termine, ma in maggior parte si comprano titoli a breve, come i BOT, per rifinanziare invece i titoli a lungo termine – BTP -  che sono giunti a scadenza; in pratica, tra poco si riproporrà di nuovo  il problema di rifinanziare in modo massiccio il nostro debito pubblico). Una inversione di rotta reale e concreta ancora non si vede. Le misure che occorre prendere sono quelle più impopolari e non mi pare che vi sia voglia di giocare di anticipo, affrontando da subito il problema; temo che la soluzione che verrà scelta sia sempre quella di chiudere la stalla dopo che  i buoi sono già scappati.