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Quando il dolore è inutile

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Una serata per scoprire un mondo in evoluzione. È quella che quella giovedì 12 aprile a Castelnovo Monti ha aperto una serie di quattro incontri, “Non posso guarirti ma posso prendermi cura di te”, proposti dall’associazione “Sentieri del sollievo”. Si tratta di una realtà che da ormai quattro anni si impegna a favore di malati oncologici anche in fase avanzata di malattia, e di pazienti cronici, cercando di dare sostegno, ascolto condivisione a chi è colpito da una malattia grave.

Il corso proseguirà nei prossimi giovedì: 19 aprile, 3 maggio e 10 maggio.

Dopo un saluto e un ringraziamento rivolto all’associazione da parte del sindaco Gian Luca Marconi e del direttore del distretto Asul, Maria Luisa Muzzini, l’intervento del dottor Vacondio è stato anticipato da una sorpresa dell’attrice Francesca Bianchi, che ha letto un brano dove si sottolineava l’importanza del dirsi “addio”, l’importanza di un abbraccio, di una parola…

Poi l’intervento del dottor Vacondio, medico, psicoterapeuta, esperto in cure palliative, che aveva il compito di introdurre il delicato tema delle cure palliative per spiegare cosa sono in una società che tende a rimuovere dal proprio vocabolario parole come finitezza, fragilità, sconfitta, perdita, malattia e morte.

Partendo dalla definizione del termine Cure Palliative, ha spiegato che in Italia il termine “palliativo” ha un’accezione negativa, palliativo è qualcosa di inutile, inefficace, che non serve. In realtà il termine che ha portato in tutto il mondo a chiamarle “Palliative care” deriva dal latino “pallium”, mantello, e quindi dal concetto di stendere un mantello sopra un corpo per dare calore, conforto, protezione. Quindi sono le cure veramente utili per il malato in fase avanzata, in quanto, perseguendo la migliore qualità di vita, lo proteggono dalle sofferenze evitabili. Vacondio si è poi soffermato a illustrare quella che è la tendenza attuale del medico, quella di poter guarire tutte le malattie e di poter prolungare la vita, mettendo così da parte la questione del morire per concentrarsi soprattutto solo a chi sopravvive.

Le cure palliative si impongono un obiettivo nuovo, non la guarigione ma il pezzo di vita che ancora rimane, preoccupandosi che quest’ultimo sia il migliore possibile. Quando quindi il medico smette di essere guaritore”, capisce che non è più il tubo nello stomaco, il gesso, il catetere, la flebo nella vena o il respiratore che possono migliorare la qualità della vita, ma è un insieme di competenze che da solo non può più dare.

Le cure palliative infatti si fanno in équipe, perché  l’èquipe ha maggiori probabilità di migliorare la qualità di vita di una persona che si avvicina alla fine della sua esistenza, sfruttando la grande potenzialità che è in ognuno di noi, perché ognuno di noi vede un pezzo, o meglio, è il pz. stesso che fa vedere ad ognuno di noi un pezzo diverso di sé. Tutti questi pezzi vengono assemblati per fare in modo che si possa  raggiungere la migliore qualità di vita per quel paziente. Facile intuire come la qualità della vita sia un fatto esclusivamente soggettivo, quindi quello che è il meglio per te non lo può essere per me.

E quali sono i contenuti da mettere in atto nelle cure palliative?

La cura dei sintomi, in particolare del dolore, chiamato in questo contesto “dolore inutile”, per differenziarlo dal dolore che invece proviamo quando avviciniamo la mano ad una fonte di calore e che ci permette di non ustionarci la mano. In questo caso il dolore è un dolore utile perché permette di evitare un pericolo.

Il dolore neoplastico è un dolore esclusivamente inutile. Qui occorrerebbe aprire una grossa parentesi sui grandi pregiudizi, sulle forti resistenze che ci sono all’uso della morfina che è il farmaco per eccellenza nel dolore neoplastico.

Compito degli operatori che lavorano all’interno delle cure palliative è cercare di aiutare le persone ad accettare la morfina, rimuovendo pregiudizi che hanno portato l’Italia (anche se negli ultimi anni le cose stanno notevolmente cambiando) ad occupare uno degli ultimi posti nel consumo terapeutico degli oppioidi. La morfina non accorcia la vita. La morfina se usata in modo corretto non inibisce il centro del respiro, la morfina non fa diventare dei drogati.

Abilità psicorelazionali: l’èquipe deve essere allenata all’uso corretto delle parole con l’idea e la convinzione che sono le parole stesse che curano. In questo capitolo si apre anche il grosso problema della informazione, della consapevolezza della diagnosi e della prognosi.

Le cure palliative devono saper creare le condizioni migliori perché una persona possa essere informata. Qui Vacondio ha fatto uso di una metafora: occorre saper aprire e chiudere una porta ogni volta che se ne presenta la necessità. Rischioso è mettere il piede impedendo con forza al paziente di aprire, ma altrettanto rischioso sarebbe aprire con forza la porta, spalancarla, quando non ci sono richieste specifiche in tal senso. Sta quindi all’operatore con la propria sensibilità mettersi in ascolto per capire quando è il momento di aprire o di chiudere la porta.

L’approccio di tipo etico, che si pone i quesiti: continuo o sospendo la chemioterapia? Continuo o sospendo l’alimentazione? Continuo o sospendo la idratazione? Chi fa cure palliative deve essere allenato a confrontarsi con queste scelte. Sono scelte che in medicina si fanno sempre, ma spesso con degli automatismi. Nelle cure palliative si cerca sempre di non mettere in atto automatismi, perché una scelta anziché un’altra deve sempre nascere da una relazione con il paziente e la sua famiglia.

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Ecco la locandina del corso: i sentieri del sollievo

 

1 COMMENT

  1. Colgo l’occasione per salutare i soci e i volontari dell’Associazione che da qualche anno svolgono un’attività di sostegno importante. Un grazie per l’umanità e la dolcezza con cui vi avvicinate a chi soffre e la solidarietà e la disponibilità che contraddistinguono il vostro agire. La nostra comunità e i nostri servizi hanno bisogno di persone come voi. Complimenti!

    (Francesca Jacopetti)