Il presidente del consiglio Mario Monti ha dichiarato la necessità di ripensare e anche di cambiare il modo di pensare e lo stile di vita.
Si tratta di un monito molto severo, soprattutto nello scenario di contrazione economica come l’attuale, dove il tessuto produttivo sta paurosamente scricchiolando sotto i colpi della recessione (credit crunch, flessione dei consumi, disoccupazione) e la spesa sociale potrebbe essere il prossimo punto di attacco per l’abbattimento della spesa pubblica.
Quando da varie parti si parla di tagli alla spesa improduttiva si utilizza una forma non chiaramente percepibile alla popolazione.
Vi è il timore di esprimere con chiarezza il concetto di “spesa improduttiva”; si dovrebbe invece aprire con lealtà il confronto con la popolazione, incominciando chiaramente a indicare i punti di possibile consistente taglio di spesa pubblica, vale a dire le spese correnti.
Si deve incominciare a parlare con franchezza e cominciare ad indicare la spesa pubblica corrente che è in “odore” di tagli; non ci vuole molto per arrivare a capire che i tagli saranno gli stessi che abbiamo già visto negli altri Paesi finiti nella maglie più drammatiche della crisi;
- tagli alla spesa sociale (agli ammortizzatori sociali, al sistema pensionistico, alla spesa assistenziale)
- tagli alla sanità (si parla di 50 ospedali chiusi in Grecia, e di tagli alla sanità in Spagna)
- tagli alla istruzione (e sono i tagli peggiori perché impediscono la crescita di una popolazione istruita e capace di evolversi in forme di impiego sempre più sofisticate come le attuali tecnologie richiedono)
- tagli agli stipendi pubblici (licenziamenti di pubblici dipendenti, e non solo riduzione degli stipendi)
Questo è quanto è accaduto nei paesi dell’Europa periferica che ci hanno preceduto nelle maglie del rigore imposto dalla crisi economica; non lo si può più nascondere, e se i politici parlano di tagli alla spesa improduttiva è anche bene che incomincino ad enunciare i dati effettivi e concreti nei quali la lama del rigore andrà ad affondare.
Onestà intellettuale lo esige; il fatto che la coperta sia troppo corta è un dato che ormai è di comune sentire.
A complicare la via italiana per uscire da una crisi iniziata almeno nel 2008, intervengono i fattori esterni indotti dalle attività finanziarie, soprattutto di derivazione anglosassone. La scelta di uscire rapidamente dagli investimenti in Europa , e soprattutto dagli investimenti in Italia, ha determinato tensioni di varia natura, la più evidente delle quali è l’aumento degli interessi sul debito pubblico che gli Stati più deboli sono costretti a pagare, per trovare acquirenti della “carta” governativa (i titoli sovrani, o più semplicemente i titoli emessi dagli Stati)
Sappiamo tutti che – nelle settimane scorse - gli spread (differenziale di interessi sui titoli di Stato) di Italia e Spagna sono risaliti, anche se restano su livelli più bassi rispetto a quelli di novembre dicembre 2011.
Come novità (che aggrava lo scenario complessivo) si è assistito in queste settimane al rialzo dello spread di Francia, e anche Olanda.
In poche parole, i mercati hanno chiaramente fatto capire all’Europa che la crisi non è finita e che il peggio potrebbe essere di nuovo dietro l’angolo. Le elezioni governativa in Grecia, Francia e da ultimo anche in Olanda, sono elementi di incertezza che si ribaltano sui titoli del debito pubblico ormai di tutta Europa (tranne i Bund tedeschi)
Lo spread elevato sui titoli di Stato (sintomo della crisi, e non la causa) rende obbligatorio per i vari paesi il ricorso a consistenti aggiustamenti strutturali nelle economie, soprattutto quelle dei Paesi della periferia. Per ora questi aggiustamenti hanno assunto le forme di un prelievo fiscale di dimensioni asfissianti, ed insostenibile nel lungo periodo.
Di tale insostenibilità se ne stanno rendendo conto anche le maggiori istituzioni europee, la Bce in primis con le parole di questi giorni del suo governatore, Mario Draghi, che chiede che gli elevati livelli di tassazione siano presto ridotti.
Ma ridurre la tassazione significa trovare altrove le risorse, significa tagliare la spesa, quelle improduttiva sarà la prima ad essere “messa nel cantiere delle riforme”; prima ce ne renderemo conto e prima potremo regolare il nostro personale modello di vita.