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“Nella partita del riordino delle province, chi fa la parte dell’Appennino?”

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Ringraziando sinceramente per l’attenzione che Redacon ha ritenuto di riservare ad alcune mie recenti opinioni di Appennino sui confini delle nuove province, mi permetto di inviare una breve ulteriore nota sull’argomento.

Certo può sembrare bizzarra la proposta di un ritorno alla Lunezia o all’Emilia lunense in occasione del riordino degli enti territoriali del nostro paese. Il sogno è certo provocatorio e forse inconciliabile con il contesto attuale, ma non impraticabili e non surreali sono le domande che il sogno pone e chiede di porre al centro.

La prima di queste riguarda la montagna e la centralità che i montanari e tutti coloro che ritengono fondamentale la salvaguardia economica e sociale di questo territorio hanno il dovere di proporre e ricercare. Unendo la vicenda sul futuro della comunità montana con quella delle province, vediamo l’occasione – più propriamente la necessità – di un riordino ampio degli enti territoriali e già sul tavolo abbiamo istanze e proposte nessuna delle quali, in tema di province, pare porre al centro l’interesse dell’Appennino e il suo futuro amministrativo. E’ vero che la montagna non può certo monopolizzare la scena politica o scelte istituzionali generali – mi sembra che siamo molto distanti da questo rischio – ma la politica e la democrazia sono il campo di gioco fra interessi di parte rappresentati con determinazione e competenza. Più generale e alta è la partita, più forte e motivata deve essere poi la partecipazione delle minoranze, di coloro che portano interessi senza il favore dei numeri e delle masse.

Ebbene, nella partita del riordino delle province, chi fa la parte dell’Appennino? Chi lo fa, su una partita, quella del riordino amministrativo, in grado di condizionare fortemente la capacità di rappresentanza e lo sviluppo del nostro territorio?

Mi sembra che questa visione di impatto e opportunità per la montagna manchi all’appello. Non possiamo accontentarci che sia non detta o implicita o lasciata alla bontà del disegno generale o a elementi di fiducia. Così, anche solo la richiesta di argomentare, a partire dalla montagna, le proposte in campo, mi sembra un risultato necessario e urgente.

Alcune affermazioni di merito, a interrogare questo dibattito, mi sembrano poi possibili e opportune.

Primo. Trattandosi di costituzione di nuove province, dobbiamo prevedere quanto e quale territorio le stesse andranno a rappresentare. Quale diversificazione produttiva e quali opportunità di mercato. Quali nuove linee di confine e quali nuove vie di collaborazione. Siamo certi che, qualunque sia la nuova provincia della quale diventeremo cittadini, sia indispensabile che nasca rispettando e valorizzando la nostra cittadinanza perché rispettando e valorizzando l’Appennino, il suo sviluppo, le sue opportunità. Non consentiamo che si parli di nuove province senza un tratto di Appennino.

Secondo. La montagna è schiacciata fra due confini che vanno assolutamente superati. Uno politico, a valle, ci separa invisibilmente dai modelli di sviluppo imperanti, dai più importanti investimenti infrastrutturali, da quell’area medio-padana che scarsamente ci considera e che vogliamo invece come partner fondamentale per i nostri interessi locali. Uno amministrativo, a monte, ci separa visibilmente da metà della nostra “unica montagna”, dalla possibilità di progetti comuni e integrati di sviluppo, dall’area vasta che porta al “nostro” mare.

Terzo. Sappiamo della complessità politica e costituzionale dell’impresa che tocca addirittura i confini regionali, ma è davvero impossibile sognare di arricchire il progetto per l’Emilia di un Appennino che ritorna uno e baricentro e del potenziale di turismo, diversificazione produttiva, cultura, visibilità di Toscana e Liguria nelle province della Versilia, delle Cinqueterre e dei loro Appennini?

(Giovanni Teneggi)

 

5 COMMENTS

  1. L’autorevolezza dell’ente Confcoperative richiede attenzione a ciò che il suo direttore provinciale esprime. Personalmente credo che le organizzazioni imprenditoriali e cooperativistiche nel loro insieme debbano far un po’ di esame di coscienza sulla loro capacità di fare rappresentanza nel senso che, a mio modesto parere, dovrebbero smarcarsi dai vecchi riti della politica e di non diventare, nel tempo, casse d’espansione delle posizioni dei partiti. Sia di quelli di maggioranza che di quelli dell’opposizione, a livello nazionale, regionale e provinciale. Dico questo perchè il quesito, dopo quello superfantasioso, Provincia Lunezia, poco credibile, che mal si adatta all’autorevolezza dell’Ente, la nuova domanda “chi fa la parte dell’Appennino?” ha bisogno di riflessioni e di approfondimenti che necessitano di valutazioni sull’esistente. L’Appennino reggiano, come tanti altri territori montani e a volte addirittura marini, non ha mai avuto cosi tanti rappresentanti: Provincia, comuni, Unione dei comuni, Parco nazionale, Gal, Comunità montana e tutti impegnati a rappresentare l’Appennino e pertanto dobbiamo considerare l’interrogativo assolutamente pleonastico e che neccessita almeno di una piccola integrazione: è anche questa una domanda provocatoria? Oppure dobbiamo credere che così tanti soggetti non abbiano convinto la Confcoperative che questi enti siano del tutto inutili e pertanto sia necessario un altro soggetto che li riunisca tutti? Naturalmente i contribuenti paganti, sbuffanti e mal disposti a sborsare altro denaro per un ente che riunisca i pur già inutili soggetti esistenti, sono, a mio modesto parere, convinti che la domanda che il pur autorevole rappresentante di Confcoltivatori (Confcooperative, ndr) ha una sola risposta: vanno eliminati (esclusi i municipi con almeno 10.000 abitanti), anche a costo di utilizzare il pur efficace podai/maras, tutti i soggetti che in questi anni hanno “rappresentato l’Appennino”. L’Appennino non ha bisogno di altri rappresentanti, ma ha bisogno di ricollegarsi in modo oraganico con la pianura Padana e con i centri dell’eccellenza: ha bisogno di collegamenti veloci come le strade, sia quelle viarie che quelle informatiche, di collegarsi in modo più articolato con le associazioni di categoria, i rappresentanti politici e tutti quelli che vogliono continuare a “rappresentarlo”. Solo quando questi soggetti capiranno che non è considerando l’Appennino un territorio di secondo piano e cioè di un territorio da sussistenza, “diversamente abile”. L’Appennino decollerà e vivrà solo quando verranno eliminate proprio quella sorta di tutori politici ed economici che dovranno smettere di drenare risorse utilizzate spesso per la loro sopravvivenza. L’Appennino recupererà la capacità di autorappresentarsi solo se recupererà il suo rapporto con la pianura e senza intermediari “politici” e potrà cogliere le stesse opportunità che vengono date ai cittadini e ai piansan, che peraltro non sono una controparte. Non si può più continuare a pensare all’Appennino come un territorio che ha bisogno di tutori, ma di un territorio che può esprimersi come un soggetto complesso, difficile, ma vivo. La giusta risposta alla domanda “chi fa la parte dell’Appennino?” è: l’Appennino non è l’appendicite di nessuno e di tutori ce ne sono anche troppi, non ne vorremmo altri. Quelli che ci sono, e ci sono da troppo tempo, non hanno realizzato praticamente nulla. Vogliamo più ossigeno e meno rappresentanti.

    (Conte da Palude)

  2. …ritorno ai Ducati? …e soprattutto chi sarà il nuovo Duca? Povero Tricolore! Povero Risorgimento! Poveri Martiri di Curtatone e Montanara, poveri Professori e Studenti che, il 15 aprile 1848, attraversarono il nostro Appennino cantando “Addio mia bella addio”, con in cuore il sogno di una Patria finalmete unita! …e anche… povera Resistenza! …mah… forse occorre fare un ulteriore passo indietro e citare il Sommo Poeta:
    “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nonocchiere in gran tempesta” (Purg. VI, 76-77).

    (U.M.)

  3. La quartina completa recita “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincia, ma bordello”. Prosegue: “Quell’anima gentil fu così presta, sol per lo dolce suon de la sua terra, di fare al cittadin suo quivi festa;
    e ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode di quei ch’un muro e una fossa serra.
    Cerca, misera, intorno da le prode le tue marine, e poi ti guarda in seno, s’alcuna parte in te di pace gode.
    Che val perché ti racconciasse il freno Iustinïano, se la sella è vota? Sanz’esso fora la vergogna meno.
    Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar seder Cesare in la sella, se bene intendi ciò che Dio ti nota,
    guarda come esta fiera è fatta fella per non esser corretta da li sproni, poi che ponesti mano a la predella”.
    Meditate gente, meditate………

    (Paolo Comastri)