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Prospettive di medio periodo

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L'Appennino è terra di risparmio e, prima ancora, di sussistenza. Si è abituati a fare da soli e a cavarsela da soli, a costo di avere meno servizi della città. La congiuntura nazionale ed europea, purtroppo, pare spiazzarci perché così lontana da un nostro stile di vita perpetrato di generazione in generazione.

Di recente ho appreso che la componente di Pil italiano derivata dai servizi della pubblica amministrazione è misurata con un dato che non mi sarei mai immaginata: il Pil della pubblica amministrazione è misurato sul monte stipendi pubblici. Dato che – per ora – non si sono avuti tagli al settore di dipendenti statali , la quota di Pil della PA risulta quindi “stabile” ed in grado di sorreggere il dato complessivo, che comunque è in flessione di oltre il 2% rispetto al 2011. Pensate quale sarebbe il dato del Pil se si dovessero concretizzare i tagli al settore del pubblico impiego (per ora solo annunciati).

Di questi ultimi giorni anche altra “scoperta”: la disoccupazione in Italia non tiene conto delle persone che si trovano in cassa integrazione; questa è aumentata in misura esponenziale, ma il dato “disoccupazione” non ha avuto analoga impennata. In poche parole, i dati che ci vengono offerti, nella comunicazione di massa, devono essere interpretati; o meglio devono essere compresi nei meccanismi della loro formazione. Di certo sono molto più chiari i messaggi che all’Italia vengono indirizzati dalla Bce.

L’ultimo di questi “avvisi” è l’aumento del rischio insolvenza per le imprese “quotate” italiane. Del resto, quando iniziò questa crisi, che si manifestò all’opinione pubblica nell’ottobre 2008, già era chiaro il percorso che si aveva di fronte; crisi finanziaria, che si trasmette all’economia reale, e approva ai fallimenti societari. Il percorso ora pare arrivato al suo epilogo; i fallimenti societari, con tutto ciò che ad essi si riconnette. Peraltro a tale situazione in Italia si arriva anche in forza di altre concause.

La troppo elevata pressione fiscale (l'Italia sta battendo ogni record al riguardo), unita ad alti tassi di interesse (spread in aumento che si riverbera anche sul costo di rifinanziamento sia per le istituzioni finanziarie sia per imprese e famiglia), mette fuori mercato tutte le iniziative imprenditoriali con normale rendimento. Risulta infatti più remunerativo investire in prodotti finanziari che non nell’economia produttiva; ne è esempio il dato pubblicato da Bankitalia che evidenzia come le nostre banche abbiano impiegato l’iniezione di liquidità erogata dalla Bce in acquisti di titoli di Stato con alto spread.

Questo fenomeno (investimento in prodotti finanziari e non in economia reale), peraltro già noto e ben studiato, sarà ulteriore concausa di liquidazione o fallimento di attività imprenditoriali. Ma questo dato non solo disegnerà drammi sociali (da ultimo un disoccupato si è dato fuoco davanti a palazzo Montecitorio, mentre gli occupanti dello steso erano già in ferie), ma porterà con sé effetti prociclici che avviteranno ancora di più la fase recessiva. Avremo inevitabilmente il decremento delle attese fiscali e tributarie ed ulteriore falcidia dei posti di lavoro. Ciò comporterà la necessità di tagliare la spesa e questo assumerà – temo – anche connotati di urgenza, con tutte le conseguenze del caso, con scelte a volte disordinate altre volte non adeguatamente soppesate. Ci ridurremo all’ultimo minuto, nel più brillante stile italico.

2 COMMENTS

  1. Riflettiamo su questo: Servono idee, non infrastrutture, di Francesco Daveri.
    L’Italia non cresce perché è un Paese Verde cioè Vecchio, Ricco e Densamente popolato. In un Paese vecchio — e l’Italia lo è: un quinto degli italiani ha più di 64 anni — si formano maggioranze ostili all’innovazione. In un Paese che oggi è due volte più ricco di mezzo secolo fa diminuisce la voglia d’inventarsi o cercarsi un lavoro dove c’è, mentre cresce l’aspirazione a trovarselo sotto casa. Un Paese con 206 abitanti per chilometro quadrato — sei volte di più che negli altri Paesi Ocse — è probabilmente un Paese divertente e animato da una vibrante vita culturale ed economica. Ma in un Paese densamente popolato aprire un negozio e realizzare un’infrastruttura è terribilmente complicato e costoso. E infatti oggi anche i distretti, per replicare il successo di ieri, spesso spostano all’estero in tutto o in parte le loro attività. L’Italia non è sempre stata un Paese Verde; ma oggi lo è e quindi fatica a crescere. Anche un Paese Verde potrebbe crescere, però. E potrebbe farlo nel mezzo della crisi dell’euro. A un paese vecchio, ricco e densamente popolato, infatti, non servono fiumi di denaro pubblico per crescere. La spesa pubblica è già più di metà del Pil e serve più a conservare l’esistente che a innovare e crescere. Per tornare a crescere, all’economia italiana servono le idee, non le grandi opere pubbliche. È la crescita soft che ci può salvare, non la crescita hard. Hard è la via dell’investimento in autostrade, edilizia e grandi opere. Insomma, la via cinese. Andava bene all’Italia del dopoguerra; oggi non funziona. È all’ombra delle grandi opere e delle variazioni ai piani regolatori controfirmate da amministratori locali compiacenti che si creano ricchezze dal nulla o meglio dalla prossimità al potere: è con la crescita hard che la malavita organizzata prospera più facilmente. I recenti terremoti hanno purtroppo dimostrato che l’Italia ha ancora bisogno di edifici anti-sismici. Ma la crescita hard è complicata in un Paese densamente popolato e ricco di particolarismi nel quale si perde spesso di vista la definizione di bene comune. Il rischio — molto concreto — è che un modello di crescita hard basato sulla spesa pubblica in infrastrutture ci faccia annegare in un mare di localismi e di corruzione. È la crescita soft la nostra speranza. Un Paese ricco come l’Italia ha il diritto e l’opportunità di mirare ad uno sviluppo basato sulla produzione e lo sfruttamento delle idee. È dalle idee che viene il meglio del Made in Italy. E le idee vengono fuori da più efficaci meccanismi di incentivo e di valutazione nei processi formativi, ancora prima che dall’aumento delle risorse pubbliche destinate a scuola, istruzione, formazione e innovazione. Studenti, diplomati e laureati che imparano dai loro docenti a sperimentare e a concepire il nuovo e non solo a studiare i libri dal paragrafo 1 al paragrafo 5 sono la base per la nascita delle idee e dell’innovazione sociale. Rappresentano la speranza dello sviluppo di un’imprenditorialità non basata sull’appartenenza familiare oltre che una sfida per la finanza e per le banche che va ben al di là delle preoccupazioni per i criteri di Basilea 3. E poi uno sviluppo soft, basato sulle idee, aiuterebbe a decongestionare e diminuire la densità delle nostre aree urbane. È difficile che un Paese vecchio, ricco e densamente popolato tiri fuori e apprezzi le nuove idee. Ma un Bel Paese Verde che impari ad apprezzare e a remunerare il nuovo può cavarsela anche in un momento in cui i soldi pubblici sono finiti. …..

    (Commento firmato)