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Il problema del consumo di suolo

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Negli anni '60 ogni abitante della Terra poteva contare, in media, su 0,4 ettari di suolo coltivabile, nel 2050 ne avrà a disposizione solo 0,16, tanto che ormai , parafrasando  il “picco del petrolio” si parla di “picco del suolo".

E’ sempre più evidente che la cementificazione, compattazione, contaminazione, erosione e depredamento del suolo sono un pericolo per la vita sulla terra: al momento questa minaccia grava soprattutto sul sud del mondo ma è chiaro che la distruzione, i conflitti di interessi per l’utilizzo del suolo (nutrimento, energia, edificazione, diminuzione di terreno fertile) in previsione dell’aumento della popolazione mondiale rappresentano una minaccia reale per tutto il pianeta.

E’ intorno a questo tema che la irriducibile delegazione di montanari, affascinati dal filo d’Arianna delle “utopie concrete” hanno raggiunto i “Colloqui di Dobbiaco" per l’annuale appuntamento con temi impegnativi e fuori dagli schemi  per vivere la rituale esperienza di rielaborazione e confronto.

Quali opportunità e prospettive si aprono nella lotta al consumo del suolo? Come si possono difendere i diritti delle popolazioni rurali preda del fenomeno del land grabbing soprattutto in Africa? Quale contributo può dare una politica attiva per la difesa del suolo allo sviluppo di filiere produttive ed economiche più ecologiche e sostenibili?

Il suolo, fondamento della nostra vita

Esordisce Winfried E.H. Blum, dell’Università di Vienna, descrivendo il suolo come non l’avevamo mai visto e immaginato, cioè un organismo perfetto in grado di generare biomassa, fungere da strato di filtro e massa d’accumulo, portatore di un patrimonio geogeno e culturale essenziale per lo studio della storia del territorio e delle generazioni che lo hanno popolato. Fornisce materie prime minerali ed è la base delle nostre infrastrutture umane. Ma i mutamenti in atto in tutto il pianeta fanno crescere la popolazione di 80/85 milioni di abitanti l’anno, ai quali si aggiungono 100 milioni di persone che abbandonano le campagne e si riversano nelle megalopoli. Cemento, asfalto ed altri materiali edili rendono il terreno impermeabile sottraendo superficie alla produzione di biomassa agricola e forestale. In Europa  perdiamo ogni anno 1000 kmq di suolo ed ogni giorno se ne  cementificano 2-300 km quadrati  al mondo. Nel 2050 appunto se non cambieremo strada non ci sarà suolo agricolo a sufficienza per produrre alimenti per gli abitanti della  Terra.

Piero Bevilacqua, storico e pubblicista presso l’Università La Sapienza di Roma, dopo aver rappresentato il suolo nel suo stretto legame con la storia ci ricorda che è dal medioevo che partono le pratiche di fertilizzazione della terra, che, attraverso le rotazioni e la concimazione naturale, definiscono l’agricoltura un’economia tendenzialmente ecocompatibile. Ma nei secoli successivi l’avvento della concimazione chimica rompe il circolo virtuoso dell’utilizzo di materiale organico e rigenerabile  e consegna l’agricoltura alla produzione industriale di merci agricole spostando la considerazione del terreno agricolo da organismo vivente, ecosistema complesso da cui sorge la vita, in supporto inerte su cui avviene la produzione in serie di beni agricoli. La concimazione chimica, i diserbanti, i pesticidi costituiscono un paradigma tecnico che tende a distruggere il terreno e la fertilità formatasi nei millenni. La logica stessa dello sviluppo capitalistico giunto alla fase attuale di crescita non si limita più a produrre merci utilizzando la materia prima proveniente dalle  miniere o dalla terra ma tende a ricavare profitto da ogni realtà vivente e a fare del territorio una merce sempre più intensamente utilizzata nel processo di valorizzazione del capitale. Appare quindi evidente che il capitale tende a consumare il suolo in maniera tendenzialmente illimitata e lo sviluppo, dunque, di cui ci raccontano meraviglie, costituisce forse la più grande minaccia per l’umanità negli anni a venire.

Nicola Dall'Olio è  il regista del film “Il suolo minacciato” che rappresenta con feroce determinazione le "nuove foreste" di capannoni industriali che caratterizzano la via Emilia da Piacenza a Bologna in una sequenza efficace di monumenti spesso inutilizzati al cemento e alla sottrazione di terra fertile all’agricoltura proprio qui, nella Bella Emilia, che sacrifica con generosità la terra al capitale. Sarà interessante portare in montagna, a Castelnovo, questo documento crudo ed efficace.

Luca Mercalli, poi, con la consueta disinvoltura avvolge i partecipanti nella fluidità ed efficacia del suo intervento che pone l’accento sulla necessità di censire seriamente le terre fertili e di riconoscere il suolo come “bene comune” irrinunciabile e soprattutto garanzia del nostro futuro. Sul tema come si affronta l’emergenza suolo in Italia confessa l’arretratezza e la scarsa sensibilità al tema dei nostri politici ed amministratori locali segnalando comunque che , finalmente, nel luglio 2012 il ministro Catania ha presentato un  disegno di legge per la valorizzazione delle aree agricole ed il contenimento del consumo del suolo.

Sul peak soil, alimentare il mondo con suoli sempre più limitati, interviene Wilfried Bommert, giornalista e portavoce del World Food Institute di Berlino. La terra, dice Bommert, non serve più a sfamare l’umanità ma a dare profitto agli speculatori. La corsa all’accaparramento del suolo ancora disponibile è alimentata da quattro crisi globali interconnesse:  crisi dell’alimentazione mondiale, crisi dei mercati finanziari, crisi dell’energia e crisi del clima. I protagonisti sono da un lato i paesi costretti ad importare le proprie derrate alimentari, dall’altro i mercati finanziari i cui investitori alla ricerca di nuovi sbocchi per i loro capitali speculano sull’aumento dei prezzi dei terreni agricoli e dei generi alimentari. Le multinazionali energetiche poi puntano sempre di più sugli agrocarburanti per sottrarsi all’aumento del prezzo del petrolio. Questi quattro fattori hanno scatenato una vera e propria caccia ai terreni agricoli in tutto il pianeta e soprattutto nell’Asia sudorientale, Africa sub-sahariana e l’America del sud perché e chiaro a tutti che i profitti maggiori si ottengono, manco a dirlo, nei paesi più corrotti dove né le leggi nè le pubbliche autorità tutelano i diritti dei contadini, dei pastori e dei pescatori locali.

Al momento è assai probabile che la scarsità di generi alimentari e di suolo coltivabile aumenterà a causa della graduale scomparsa dei due fondamenti essenziali dell’alimentazione mondiale, le terre fertili e le riserve idriche.

Il disastro si può ancora sventare ma occorre elevare il suolo, come l’acqua e l’aria, al rango di “bene pubblico” gestibile ed amministrabile solo d’intesa con la collettività e nell’interesse di quest’ultima.

In prossimità della chiusura dei lavori della prima giornata Georg Meissner, sostenitore dell’agricoltura biodinamica, ci guida all’assaggio di prodotti naturali provenienti da terreni silicei o ricchi di calcio: l’acqua che sgorga dai due versanti opposti della valle, oppure il pinot e il farro che assumono sapori effettivamente differenti a seconda della terra che li ha alimentati o filtrati e, dulcis in fundo, un veloce assaggio della terra accompagnati dal rumore di sassi che, battuti tra loro confermano ancora una volta che ciò che abbiamo sotto ai piedi non è semplicemente terra e basta ma un organismo originale, complesso, differente, vivo ed indispensabile al nostro futuro.

Apre i lavori del 30 settembre Alberto Magnaghi, che descrive il territorio su cui viviamo un prodotto sociale per eccellenza che va dunque trattato come un “bene patrimoniale comune”. Quando parliamo di patrimonio territoriale parliamo di un insieme di beni che costituiscono un “capitale fisso sociale” articolato in due grandi categorie: beni materiali (paesaggi rurali storici,città, infrastrutture, bonifiche, canali, ecc. ecc., e beni cognitivi  (sapienze e saperi ambientali, saperi costruttivi,artigianali, rurali, ecc.).

Per progettare nuovi modelli di valorizzazione patrimoniale del territorio come bene comune non è più sufficiente considerare il territorio come bene pubblico (che lo stato, le regioni possono vendere per fare cassa), ma occorre che sia considerato come un bene comune che non può essere venduto nè usucapito. I beni demaniali e gli usi civici residui, invertendo la deriva dell’alienazione e della privatizzazione, potrebbero essere valorizzati come laboratori sperimentali per forme collettive di ripopolamento rurale stante il problema principale di questa prospettata “inversione di tendenza” che trova l’ostacolo di una sommatoria di interessi individuali in una società individualistica di consumatori.

Gundula Prokop risponde alla domanda come opporsi alla cementificazione sintetizzando le linee guida della Commissione Europea in prevenire, limitare e compensare. Prevenire con la tutela dei suoli e paesaggi di elevato valore ambientale, incentivare l’addensamento urbanistico, dare la precedenza all’utilizzo di arre già edificate, migliorare la vita nei centri abitati. Limitare, tenere conto della qualità del suolo nella progettazione, ridurre l’ingombro dei corpi di fabbrica. Compensarecol favorire forme alternative di utilizzo del territorio, prescrivere interventi compensativi adeguati.

Conferma che una proposta della Commissione agli stati membri di un blocco di nuove edificazioni accompagnate da consumo di territorio fertile  è stata bocciata da diversi paesi (Germania, Austria, Francia) con la motivazione che le proprie leggi nazionale erano già sufficientemente avanzate nella difesa del suolo (sic).

Chiude i lavori Franz Tutzer, che sottolinea che la nostra società di oggi ha dimenticato oppure rimosso il suolo dal proprio pensiero. La mancanza di cultura del suolo è un ritardo che trascende dalla  formazione che generalmente ci viene impartita e si incardina alla carenza di iniziativa personale, all’autoformazione e all’autonomia dell’individuo. La cultura ce la dobbiamo formare noi lavorando per cercare il nostro modo specifico di stare al mondo. Sprona quindi i giovani a non aspettarsi formazione e istruzione dalla scuola come surrogati della cultura ma ad interrogarsi sul vero, cruciale ruolo dell’agricoltura che attraverso una nuova lettura né industriale né capitalistica deve far riconoscere l’importanza cruciale del suolo. Ricostruire il percorso fra il suolo e l’arte con l’obiettivo  di recuperare il ritardo di una società che ha dimenticato e rimosso il suolo e quindi il proprio fondamento.

Si chiude qui, con un simpatico buffet nella graziosa stazione dei treni di Dobbiaco, questo appuntamento che mette in movimento le gambe ed il cervello intorno ad un tema non facile ma di grande attualità. Soddisfatti e orgogliosi della numerosa partecipazione di giovani a questa esperienza ci auguriamo di approfondire alcuni argomenti durante l’inverno in montagna. Certo è che da oggi guarderemo alla “terra” con occhi differenti.

(Federico Tamburini)

3 COMMENTS

  1. Gentile Signor Tamburini, ben più vicino a Lei, e molto tempo prima, avrebbe potuto trovare le stesse “idee” sul consumo del territorio. Credo si trovino nell’introduzione al primo Piano Regolatore del suo comune di residenza. Mi pare fosse opera dell’architetto reggiano Osvaldo Piacentini.

    (Cooperazione)

    • Firma - Cooperazione
  2. Ringrazio “Cooperazione” per il suggerimento.
    Se è negli anni ’60 che Osvaldo Piacentini passa alla concezione di una urbanistica rivolta all’ambiente e attenta al territorio inteso come risorsa “finita” da tutelare è pur vero che gli amministratori che si sono succeduti non ne hanno tenuto minimamente conto . Il livello di consumo del territorio è sotto gli occhi di tutti e parla da solo.
    Cordialmente.

    (Federico Tamburini)

    • Firma - FedericoTamburini