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“In questi giorni parlavo con un fornaio ed ho appreso fatti che vanno ben oltre la normale immaginazione…”

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Capita a volte di parlare anche di questioni diverse dal proprio lavoro quotidiano e di imbattersi in dati concreti che meglio di ogni altro illustrano la nostra situazione. Parlare di crisi economica non basta più. Ora siamo all’emergenza che è un concetto ben più disperante.

In questi giorni parlavo con un fornaio ed ho appreso fatti che vanno ben oltre la normale immaginazione.

Mi ha parlato di persone che ormai inventano ogni assurdità pur di non pagare il sacchetto con il pane quotidiano; siamo arrivati anche alla scusa seguente “guardi… avevo gli spiccioli, ma ho notato che la tasca si è bucata e li ho persi… la prego, mi segni in conto che le porto domani i soldi”… Ovviamente quei soldi non sono mai arrivati e il fornaio sconsolato ha cominciato a capire che non poteva più credere a nessuno ed ha smesso di fare credito. Nella sua zona le persone hanno perso il lavoro e chi è fortunato lavora due giorni alla settimana.

Siamo nella nostra provincia, non siamo in Costa d’Avorio.

“Non segno più i conti”, mi ha confidato amareggiato, aggiungendo anche che lui il suo dipendente lo deve pagare e non può accampare nessuna scusante.

Lo stesso fornaio mi ha riferito delle vendite in forte calo non solo per il suo esercizio ma per tutti i suoi “concorrenti”, così come con estremo sconforto mi ha riferito dei suoi clienti – affezionati da anni – che con estrema amarezza si sono congedati perché la distanza chilometrica rendeva loro non più conveniente prendere la vettura (pagando benzina) per arrivare al suo forno.

Siamo arrivati al fondo, o quasi.

E di ripresa neanche a parlarne. O meglio, ne parlano ai piani alti delle istituzioni internazionali (non tutte a dire il vero), veleggiando in previsioni di “ripartenze” che onestamente non vedo.

Dati statistici di questi giorni parlano di mille imprese al mese dichiarate fallite a partire dal gennaio 2012. Il 39% in più dei dati già devastanti dell’anno 2009.

E dalla concretezza del mio fornaio mi dirigo all’alta analisi degli speculatori in materie prime.

Ed ecco che compare la “agflazione” che sta per “agricoltural inflation”.

Apprendo così (o meglio si rafforza la convinzione di quanto già temevo ed avevo scritto mesi fa) che nei primi mesi del 2013 avremo una forte impennata dei prezzi alimentari, aumenti anche del 15%.

Le materie prime interessate da questo aumento saranno quelle più usate nei mangimi animali (soia e mais) con effetti sul costo delle carni e del latte e affini; il tutto deriva dalla drammatica siccità che ha colpito in questa annata la cosiddetta corn belt (la cintura del grano) statunitense.

Gli speculatori ipotizzano anche che si ripeteranno gli interventi governativi di “blocchi alle esportazioni” come già accaduto nel 2007-2008 con i prezzi che salirono alle stelle anche in quel caso.

E ritorniamo ancora una volta al 2008, quando scoppiò la bolla finanziaria dei mutui subprime che ha devastato l’economia internazionale.

E come non bastasse questo scenario, oggi assistiamo anche ad un rinnovato aumento del credito erogato per i mutui immobiliari negli Stati uniti.

E’ l’effetto immediato del terzo QE (allentamento quantitativo, quantitative easing) deciso qualche settimana fa dalla Fed (la banca centrale Usa); la Fed acquisterà 40 miliardi di dollari al mese di obbligazioni garantite da mutui. Riparte dunque la spinta che ha portato alla più devastante crisi dopo quella del ’30. Si deve concludere che non abbiamo ancora imparato dai nostri errori.

Di certo gli Usa perseguono un obiettivo ben preciso: tenere debole il dollaro, così che il nostro euro “forte” strozzerà sempre più l’economia europea, soprattutto quella focalizzata sull’export (e l’Italia ne subirà i contraccolpi).

E continuano ad accavallarsi le teorie economiche, dalla “stabilizzazione automatica” (crisi economica fronteggiata dall’aumento del deficit statale, cioè aumento delle spese pubbliche per far fronte al ciclo economico negativo), alla “austerità espansionista” (ben vista dalla Germania e che teorizza che il rigore e la pulizia dei conti pubblici con conseguente riduzione del deficit ridarà fiducia e nuova spinta all’economia con aumento della spesa dei privati).

E in mezzo a tutto ciò… il mio fornaio ed il suo avventore con le “tasche bucate” che stavolta –però - non riuscirà più a rubare il sacchetto del pane.

9 COMMENTS

  1. Vi sono teorie molto puntuali, anche se al di fuori del coro “tradizionale”, che descrivono l’attuale situazione come effetto di una “spirale di deflazione economica imposta”, per fini che attengono alla riduzione del costo del lavoro (abbassamento stipendi salari) per una competitività da raggiungere qua, in Europa, senza più dover cercare manodopera delocalizzando in altri paesi, in altri continenti… Ovviamente non saremo noi persone comuni a guadagnarci, ma i soliti noti… Mi auguro solo di sbagliarmi… ne sarei lieta.

    (Rossella Ognibene)

    • Firma - rossellaognibene
  2. Gentile Rossella, ma perchè fa dei polpettoni indigeribili condendoli da frasi qualunquiste come “a guadagnarci saranno i soliti noti”? I soliti noti chi? In Italia il costo del lavoro per unità di prodotto è il più elevato tra gli stati europei. Al tempo stesso i salari italiani sono tra i più bassi a livello europeo. Perchè allora con salari così bassi (lasciamo perdere i paragoni con paesi emergenti) nessuno viene ad investire in Italia? Semplice, perchè c’è un mostro famelico che è lo Stato che succhia tutte le risorse e i denari erogando in cambio servizi scadenti. Guardiamo in casa nostra prima che agli scenari europei e scopriremo cos’è che non funziona e cosa serve per tornare a crescere.
    http://youtu.be/9GEpznLjQNg
    Salute.

    (R.S.)

    • Firma - R.S.
  3. non è mia abitudine rispondere a commenti che esordiscono nel modo che RS ha utilizzato…il problema non è solo lo Stato italiano..italia non è l’ombelico dl mondo….ma noi non lo abbiamo ancora capito
    (rossellaognibene)

    • Firma - rossellaognibene
  4. ma in ogni caso quando i soldi spariscono da una parte vuol dire che si sono riversati dall’altra: come il fogliame spostato da una parte all’altra dal vento nelle faggete vicino al crinale.
    Certamente le condizioni di equilibrio, più o meno precario, che l’Italia e tutto il cosiddetto Occidente, avevano raggiunto dopo la fine della seconda guerra mondiale sono cadute.
    Oggi c’è da affrontare di nuovo il problema delle spartizioni dei ricavi e delle regole.
    Sono temi che non si vorrebbero affrontare ricordando e dando per scontato che ciò che ci hanno trasmesso i vecchi sia ancora presente, ma il guaio è che non c’è quasi più nulla di tutto ciò.
    Da cui veramente c’è da rivedere molte cose e da ripartire da capo.
    (marco)

    • Firma - marco