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Racconti d’Appennino 8 / “Cadono i fichi…”

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Seduta sotto la pergola. Penso. Ha cominciato ad annuvolarsi e tira un po' di vento che fa cadere i fichi dall'albero sopra il canniccio di bambù steso a mo' di tetto. La luce debole del sole filtra a striscioline rendendo rigata la tovaglia ancora apparecchiata. Sul lungo tavolo c'é di tutto: sassi del fiume, mandorle acerbe, pigne, due pere e delle lanterne pronte per la sera. Da qui riesco a vedere le bandierine tibetane di Fausto che parlano di mondi lontani e ancora piú in là, le colline.

Giornata di attesa oggi. Stato d'animo incerto in questa sospensione. Difficile programmare qualcosa. Aspetto un pezzo di famiglia e un amico, per il 15 agosto insieme. Ma per un po' sono ancora sola e questo mi piace. Un po' naufraga, un po' eremita. Bevo un caffé. Pensieri che si alternano a ricordi di altre vacanze, sovrapponendosi. Mi piaceva alzarmi molto presto al mattino e godere di quella libertà che una grande città, come Milano, non concede. Facevo pianissimo per non svegliare nessuno e finivo di vestirmi sotto al portico. Avevo una bicicletta, da poco senza ruotine, con cui scendevo in paese a tutta velocità perché era discesa che faceva volare. Capelli al vento, anche se corti. La nostra casa era in cima a una salita ripidissima proprio per questo definita "l'arrabbiata". Mugello 1970. Non frenavo più sulla strada bianca, troppe volte lo avevo fatto e ricordo ancora il bruciore delle ginocchia scorticate dai sassi. Arrivavo a Scarperia dove girellavo nella quiete del primo mattino aspettando l'apertura dei negozi. Per strada solo i bottegai. Il casalinghi a metà paese, una sorta di emporio che aveva veramente di tutto, cominciava ad esibire la sua merce agganciandola tutto intorno alla porta e sulla facciata della casa. Davanti alla latteria piastrellata di bianco, un furgone scaricava tolle di latte provenienti dalle stalle circostanti, mentre la lattaia all'interno componeva una piramide ordinata  di bottiglie di vetro vuote da litro e da mezzo. Tappi bianchi per chiuderle. Il ciabattino, nel suo nero bugigattolo tappezzato di scarpe, già picchiava su tacchi nuovi. Ogni luogo un odore.  A poco a poco, il paese si animava. Fermento.  Donne con borsetti in mano e borse di paglia, facevano la spesa per poi rientrare a casa e cucinare in fretta perché a mezzogiorno in punto scattava il coprifuoco. Deserto. Guardavo tutto e tutto mi sembrava nuovo e sconosciuto, diverso e affascinante. Poi mi dirigevo dalla burbera Palmira che aveva un bar pasticceria. Prendevo un bombolone o una schiacciatina lasciando da pagare. Tornavo verso casa, questa volta spingendo la bicicletta sull'impossibile salita. Le tende di tela blu del fienile sventolavano, lasciando intravedere mio padre dipingere. Intorno a lui il suo universo di tele, cavalletti, pigmenti, barattoli e pennelli, colori, c'era d'api e trementina. Indelebile il ricordo di quegli odori fantastici. Era assorto, posseduto, distratto. A volte entravo e non mi vedeva. Lo salutavo e lui rispondeva "come dici?"... Allora capivo e lo lasciavo. La casa era vuota... La mamma amava andare a fare la spesa a Borgo San Lorenzo, perché era più grande e meno provinciale di Scarperia - diceva - con negozi più moderni e un bellissimo mercato settimanale. Partiva con la sua 500 color zafferano e i sedili di pelle rossa. Finestrini e tettuccio aperti. Mi accorgevo  a distanza del suo rientro perché cambiava facendo la doppietta e si sentiva benissimo nel silenzio della campagna. Allora correvo ad apparecchiare la tavola. Daniele, mio fratello  più piccolo, era con lei e Elisa la più grande, era in  colonia. Giocavo sola sul lato della casa che dava verso il bosco. Avevo mille Barbie con mille vestitini e anche se avevo il divieto di toccarle in sua assenza, usavo anche quelle di mia sorella. A volte la Patrizia, la figlia dei contadini vicini, veniva a chiamarmi, ma con lei non si giocava alle bambole. Si andava per campi, correndo e saltellando su grandi zolle di terra scura. Senso di libertà assoluta in quegli spazi aperti... : altro tempo, altro Appennino. Luogo speciale, luogo di un'infanzia felice, non del tutto perduta.  :-)) buon tempo.

(Paola Savi)

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