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Portava i pantaloni rosa: schernito, deriso. Ora non c’è più

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Un ragazzo protesta con lo smalto rosa

Amanda Todd, pochi giorni fa si è tolta la vita in Canada, vittima di cyberbullismo. Due giorni fa Andrea a Roma viene trovato dal fratellino, appeso con una sciarpa al collo. A scuola pare fosse deriso perché portava lo smalto e i pantaloni rosa. Schernito, incompreso, rifiutato.

Le giovani vite che scompaiono, che si auto-eliminano non possono passare inosservate. Tali accadimenti tragici impongono una riflessione a genitori, educatori, compagni. La scuola è da sempre luogo di socialità, appena dopo la famiglia. E' lì che ci si misura con il gruppo, con successi, fallimenti, integrazione o esclusione. La scuola è termometro emotivo, cartina di tornasole per verificare se gli attaccamenti sviluppati in famiglia siano sicuri o disfunzionali.

Se il ragazzo ha avuto sostegno, amore, incoraggiamento da parte delle figure di accudimento, dice John Bowlby, egli si muoverà nel mondo con dei modelli operativi interni che gli permetteranno di instaurare rapporti affettivi basati sulla stima di sé e fiducia nell'Altro.

Se invece qualcosa non ha permesso che questa sicurezza interiore si sviluppasse, la fragilità diventa la caratteristica determinante dell'adolescente e poi dell'adulto. Di tale fragilità non si può dar solo la colpa ai genitori. Esiste una dotazione di base, il temperamento, che fa sì che fin da bambini reagiamo con modalità diversa al mondo esterno. Le tappe evolutive sono la risultante di meccanismi innati, contesti, processi educativi, situazioni, condizioni.

Di fatto ciò a cui assistiamo sbigottiti nelle scuole è da un lato una aggressività cieca e ripetuta da parte di alcuni e una ipersensibilità da parte di altri che non sanno reagire agli attacchi dei primi.

Quando un ragazzo subisce angherie in un contesto sociale, tutti gli spettatori sono responsabili.

Che venga preso in giro per la nazionalità, per la forma del corpo, per il ceto sociale o per l'identità sessuale, è a questo processo di separazione e esclusione che bisogna prestare attenzione. Dal momento che ci si mette su un confine che separa un NOI dal TU, c'è una coalizione immediata del branco verso la "vittima". E da un punto di vista psicologico nel contesto gruppale ci si de-responsabilizza, ci si può permettere un comportamento collettivo che altrimenti non si adotterebbe, e la vittima viene de-umanizzata, vista come un cliché non più come persona.

Il meccanismo di proiezione è pericoloso. Il gruppo dei bulli è altrettanto fragile e disabile quanto chi subisce. Le modalità sono opposte, gli uni aggrediscono per non vedere la propria disabilità, chi viene vessato, insultato e aggredito non riesce a denunciare, a ribellarsi o a difendersi. Per vergogna, per timore di peggiorare le cose, per sfiducia di poter essere protetto.

I genitori spesso non conoscono le fragilità dei figli. L'adolescenza è un periodo di luci e ombre, e a volte non si capiscono le ragioni di certe giornate buie.

Gli educatori, la rete sociale possono diventare gli occhi che guardano accanto alla famiglia. Spesso si sa che un ragazzo viene preso di mira, i compagni vedono, qualcuno assiste. Ma non si intromette, anche se disapprova.

Nel contesto scolastico non esiste solo la pagella del rendimento nelle singole materie. Bisogna includere un'educazione emotiva e affettiva, che è trasversale e va oltre la storia o la matematica.

Quando c'è qualcuno che sta male, che viene rifiutato, il sistema scolastico deve fermarsi e guardare. Sospendere il programma, e leggere quello che sotto gli occhi di tutti accade. Molte volte ci si dispensa dalla proprie responsabilità dicendo: "Beh, un po' poi se l'è cercata". E così secondo un certo modo di pensare il ragazzino omosessuale con lo smalto si cerca le prese in giro, allo stesso modo in cui la ragazza con la minigonna provoca lo stupratore. Ed è comodo attribuire la colpa alla vittima.

Ai genitori di Andrea non interessa nulla ora il 9 in latino. E nemmeno ai genitori di chi rideva.

Meglio ragazzi analfabeti che violenti.

Poiché l'aggressività, l'arroganza denotano analfabetismo emotivo. Ben più grave di quello scolastico.

A scuola si tende a valutare il profitto scolastico come assoluto. La vita non è la pagella. La maleducazione è la vera disabilità dei nostri figli. Gli si chiede di eccellere in matematica e nello sport, poi se prende in giro il compagno di banco nessuno la segnala come insufficienza, se ridicolizza l'extracomunitario o sentenzia che la ragazzina con qualche chilo di troppo è goffa e invisibile, questo nessuno lo rimarca. Chiediamoci se i nostri figli a scuola oltre che a non avere insufficienze ridono, deridono o vengono sfottuti. Non minimizziamo dietro a un superficiale "sono ragazzi".

Ci troviamo spesso testimoni di atteggiamenti che discriminano invece di includere.

Ognuno di noi si interroghi quante volte ha sentito, e non solo a scuola, certe frasi, che suonano come etichette e poi come condanna: "sei uno sfigato!"

Siamo tutti "sfigati" se la generazione che abbiamo prodotto invece di crescere elimina il diverso.

 

16 COMMENTS

  1. Spero che i genitori del ragazzo non si colpevolizzino. Spero che chi l’ha deriso e schernito, invece, provi un senso di sgomento, se sa cosa vuol dire, di fronte a questa morte così tragica e così dolorosa per una società che permette che tutto questo accada. Davvero dobbiamo essere tutti belli, ricchi, con un buon lavoro, ottime amicizie, bella macchina, cellulare mega, magri, palestrati per essere “persone”? Forse sì, ma per tanti che emarginano ce ne sono altrettanti che educano ai sentimenti, sia all’interno delle famiglie che, spero, all’interno della scuola. Mi piange il cuore che questo ragazzo non abbia trovato una via di scampo, che indicibile sofferenza la sua! Concordo con lei quando afferma che non basta essere bravi a scuola se poi si è arroganti e prepotenti: la maleducazione deve essere condannata anche per chi è il più bravo della classe.

    (MC)

    • Firma - MC
  2. Prendo spunto da quanto scritto dalla Dott.ssa Canovi per raccontare un episodio del quale sono stata testimone. Salgo, come tutte le sere, sul pulmann che mi porta a casa, è tardo pomeriggio, umido e piovoso, prendo posto e mi accovaccio sul sedile per scaldarmi un po’ , lasciandomi cullare dal movimento della corriera. Qualche fermata più avanti salgono altre persone e tra queste una donna dall’aria dimessa, con una giacca verde e le ciabatte, e mi chiedo se non ha freddo. Si siede, ha lo sguardo assente, noi siamo, ai suoi occhi, invisibili: è immersa nel suo mondo.
    C’è un ragazzo che mi guarda e sbotta ” ma perchè fanno salire gente così, un altro autista l’altra volta l’ha lasciata a piedi”. Non sono rimasta indifferente, non ci sono riuscita e gli ho detto che da lui, che conosco, non mi aspettavo una frase del genere detta verso una persona con evidenti problemi, che non fa del male a nessuno e che non ha colpe se è malata. E’ solo diversa da lui e da noi. Chi l’ha pronunciata studia all’ università, e frequentarla non significa essere attenti e sensibili di fronte alla disabilità e alla diversità. Direi che davvero c’è da meditare.

    (MC)

    • Firma - MC
  3. Egregio direttore, ho letto l’articolo sul ragazzo suicidatosi perchè deriso dai compagni ecc. L’ho trovato veramente interessante vorrei con il vostro permesso farlo girare in tutte le scuole della mia città farlo leggere in classe ai professori ecc. Ogni giorno ci sono ragazzi che vengono presi in giro derisi, rifiutati, vedo molti disagi fra i giovani, bisogna fare qualcosa. Io vorrei iniziare con questo articolo e fare battaglia perchè queste cose non succedano, bisogna fare informazione in classe bisogna educarli al rispetto alla fratellanza.
    In attesa di una vostra risposta porgo cordiali saluti.

    (R.D)

    —–

    Diffonda pure l’articolo avendo cura di citare la fonte e l’autore. La ringraziamo, la sua richiesta ci onora.

    (red)

  4. A parole è molto semplice, siamo tutti tolleranti e buoni, ci scandalizzimo e condanniamo questi atteggiamenti solo quando ci scappa il morto!! ma nella vita quotidiana, con i nostri commenti o piccoli gesti siamo sicuri di essere tolleranti verso il “diverso”? Dovremmo riflettere e fare un esame di coscienza. Io sono del parere che siamo ancora un popolo pieno di pregiudizi e che la “diversità” ci fa molta paura.
    (MV)

    • Firma - MV
  5. Io penso, oltre alla tragedia, che nel mondo giovanile di oggi tendano a mancare figure di riferimento al di fuori della famiglia, che, a volte, può mostrarsi incompetente su tanti aspetti esistenziali. Un cantante un po’ dimesso, il compianto Stefano Rosso cantava: “ci hanno rubato la maestra, il prete e mamma, che ci han sempre detto calma, sei piccino e non hai età”. Credo che avesse ragione. Il vero male che porta alla deriva gli adolescenti, credo sia l’idea che “tutto è lecito”, idea che si rifà anche alla psicologia del gruppo, come giustamente dice la dott.sa. Canovi. Nel gruppo, la morale è dettata dal gruppo medesimo. Allora serve sì una persona – e mi rifaccio a un autore su cui forse la dott. può illuminarmi, Kohlberg – in cui la morale non sia fine al gruppo, nè alla comunità o società, ma ai valori tipo -io propongo-un prete, che crei una comunità propositiva di giovani.

    p.s.So già che un tale e miscredente dirà <>. Rispondo, non penso proprio.
    (mn)

    • Firma - mn
    • Gentile MN grazie per l’opportunità che ci offre di approfondire il discorso dei valori morali- Piaget aveva postulato che la morale nasce con il pensiero ipotetico deduttivo astratto verso i 12 anni di età. Il che significa iniziare a pensare non solo il concreto ma il “possibile”. All’inizio il bambino è in uno stato di anomia fino a 4 anni, poi adotta una morale eteronoma, realistica, ed infine una morale autonoma, relativistica.Successivamente Kohlberg ne continua la ricerca e divide la morale in pre-convenzionale, convenzionale e post-convenzionale. In entrambi gli autori vediamo che c’è un’evoluzione, un processo maturativo che non è solo cognitivo ma che coinvolge i valori. Lei cita bene “abbiamo perso la maestra, il prete” e le guide. Un altro autore Gustavo Pietropolli Charmet fa una approfondita trattazione dell’adolescenza e rimarca che la famiglia degli affetti è subentrata alla famiglia delle regole. Il codice paterno che incarna autorità e norme ora è diventato un doppione di quello materno accogliente, accondiscendente. Ne deriva che non ci sono sponde relazionali ferme e solide. I cosiddetti “paletti” chi li mette? Abbiamo perso ruoli e funzioni. Non per cattiveria, ma per transizione a mio avviso. E’ una fase di passaggio sociale, di trasformazione. Un momento “liquido”. Anche la scuola ha perso non i contenuti ma la forza di contenimento. La liquidità diventa difficilmente arginabile. A chi tocca risignificare, recuperare, ripensare? Lei propone un prete, ma anche la chiesa pare essere “allagata” in questo momento. Occorre spostarsi verso la terra ferma, e non transigere su alcune, poche regole: il rispetto per l’essere umano nella sua totalità, globalità, che venga da Nord, dal mare o dai monti. Presupporre e pensare l’Altro come capace di agire, proporre, incidere. Se noi ci pensiamo capaci reciprocamente ci rimanderemo stima e positività. La cultura dei pari ora è escludente, denigrante. Non si emerge perché si è “bravi a”, ma si emerge perché si deride di più. Siccome non ci si sente “bravi” si screditano gli altri, li si schiaccia di sotto, sminuendoli, prendendoli in giro, deridendoli, così è l’unica possibilità di svettare. Se invece un adolescente si sente “che va bene di suo” difficilmente andrà in giro a sputare giudizi sugli altri per nascondere la sua pochezza percepita che vuole nascondere dietro all’ arroganza. Osserviamo in giro: i bulletti urlano la loro insicurezza e il loro terrore di non contare ed essere invisibili. E per farsi vedere sono disposti a sopprimere il debole, senza accorgersi che in quella lotta hanno già perso loro per primi. I modelli nuovi sono da creare. Nel proporre una cultura della creatività e dell’accoglienza invece che della demenza.

      (Ameya G. Canovi)

    • Tutti. Non credo si possano costruire i valori e poi applicarli e proporli. Credo che la realtà sociale sia una narrazione corale co-costruita, che evolve e si negozia giorno per giorno e dove tutti hanno da aggiungere qualcosa. Chiunque si ponga nell’ottica “ti includo”e “ti valorizzo per il bello e il buono che fai”.

      (AGC)

  6. Purtroppo mi sembra di vivere, in parte, un deja vù di accadimenti successi in montagna tempo fa e di cui bisognerebbe mantenere un ricordo vivo e pungente nella coscienza di ognuno di noi. E’ vero: la diversità spaventa molti, ma è dalla divulgazione di conoscenza, che è alla base della tolleranza, che si può permettere ai giovani di vedere il mondo da prospettive “diverse”, appunto. Conoscenza che comprenda la cultura materiale in senso ampio e generale, ma anche la cultura del rispetto dell’essere umano con tutte le sue potenzialità e i suoi grandi limiti. Personalmente ritengo che ognuno sia libero, nella sua vita, di fare le scelte che maggiormente lo facciano sentire realizzato, sicuramente compiendo anche errori nel suo difficile percorso, ma purchè sia, appunto, un suo percorso e non quello di altri. Tenendo ben presente che esiste un limite assoluto e invalicabile nel suo cammino che è rappresentati dal rispetto della libertà altrui, anche quando non condivisa o compresa. E considerando che la diversità può essere spunto per un costruttivo confronto con “l’altro” a volte così diverso, ma che tante volte può arricchire le nostra interpretazione della vita.

    (Monica Benassi)

    • Firma - monicabenassi
  7. La vita di un ragazzo e stata spezzata a causa di coetanei vigliacchi e balordi molto forti se sono in branco e cacasotti quando si trovano da soli. Purtroppo la colpa è anche delle famiglie in cui vivono che non hanno insegnato il rispetto per il prossimo.

    (Bruno Liborio)

    • Firma - BrunoLiborio
  8. “Meglio ragazzi analfabeti che violenti”. Mutatis mutandis è quello che ho detto io nelle varie classi nella quali insegno. Purtroppo la scuola si preoccupa troppo di insegnare e non di far crescere il ragazzo/a come persona. Dalle notizie lette in questi giorni sembra che Andrea si sia suicidato dopo che anche un insegnante lo aveva ripreso in classe per lo smalto rosa.

    (Massimo Nunnari)

    • Firma - Massimo
  9. Signor Liborio, purtroppo mi tocca ammettere che ha detto la verità. E anche che ha anticipato il pensiero di molti. Purtroppo l’insegnante non ha avuto la sensibilità dell’educatore. Lo doveva riprendere in sede separata e chiedere… e se aveva bisogno di parlare. Purtroppo il mondo si sta evolvendo… in peggio! A scuola con me c’era un ragazzo con problemi di salute che spesso faceva delle “asinate”. Mia madre mi ha detto che forse era aggressivo perchè nessuno lo voleva. E di chiamarlo a casa per stare in compagnia. E poi che se sapeva che lo trattavo male, mi strappava le orecchie!!! Non dobbiamo deridere chi è diverso, perchè un domani lo stesso problema potremmo averlo in famiglia. E allora cosa faremmo? Chiediamo clemenza agli altri? Cerchiamo di capirli perchè gli altri siamo anche noi per qualcuno!!! Riposi in pace povero angelo!

    ([email protected])

  10. diverso,da chi,da cosa,sempre con sto diverso,ma.tutti partiamo cosi,tutti quindi abbiamo ideee ben chiare e chiaro il concetto che esiste una molteplicita’,una massa di eguali.assurdo.societa’,convivenza,citta’,paese.regole.regole giuste e per tutti.tutti dobbiamo rispettarle e dare il ns contributo perche’ il tutto cerchi di andare per il meglio.poi,poi la liberta’,l’unicita’ dell’individuo.colori,sapori,passatempi,religioni,tendenze sessuali,li deve esplodere la personalita’,l’essere…il problema non esiste piu’ l’individuo…a no,mi corregg,esiste,da il meglio di se quando scoppiano casi ecclatanti come questo,li si,che siamo e diamo il meglio di noi.notizia,apparire,commentare,farsene caso o addirittura dare consigli e insegnare.stop.viviamo,costruiamo,diamo esempi,pian piano qualcosa succede,stop col delegare tutto a professionisti,del vivere.
    (massimo)

    • Firma - massimo
  11. Posso dirla tutta? Io contesto il termine “diversità”, almeno nella maniera in cui se ne fa uso. E’ discriminante anche perchè, sostanzialmente, siamo tutti diversi, l’uno dall’altro. Penso sia piu’ giusto parlare di rispetto reciproco, rispetto del’altro, dell’ universo che ogni singola persona rappresenta
    (Dominik)

    • Firma - Dominik
  12. Posso dirla tutta anch’io? Il termine “diverso” per me e’ un termine utilizzato in matematica ma la nostra societa’ perbenista e perfetta lo vuole utilizzare per
    parlare di qualcuno che non ha le idee, la religione, l’alimentazione o qualsiasi altra cosa uguale alla massa. Ebbene, io preferisco alla grande questi
    “diversi” ma che sono pieni di idee creative, di sentimenti autentici e di rispetto per il prossimo. Di ipocrisia, falsita’ ed ignoranza ormai ne abbiamo sopra ai capelli!!!!
    Saluti
    (Betti)

    • Firma - luigizannini