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Il cappellano montanaro del papa era… un prete povero (che dava ai poveri)

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Don Savino Bonicelli nella sua Villa Minozzo: alcune immagini d'epoca

di Giuliana Sciaboni

VILLA MINOZZO (4 gennaio 2013) - Domenica 6 gennaio, la parrocchia di Villa Minozzo, in collaborazione con l’associazione Villacultura e la corale ‘Il gigante’, ha organizzato una giornata in ricordo di don Savino Bonicelli, a trent’anni dalla sua scomparsa, per dare testimonianza della figura di questo pastore tanto caro nel comune.

Si inizierà alle 10.30 con la celebrazione della santa messa nella chiesa parrocchiale, animata dalla corale ‘Il Gigante’ e dall’ensemble musicale ‘I fiati di Villa’, che eseguiranno pastorali, mottetti e la messa in italiano composti da monsignor Savino Bonicelli. A seguire, alle 16,00, nel teatro ‘I Mantellini’ si terrà ‘Omaggio a don Savino’, con letture a cura di B. Valdesalici, M. Malvolti e G. Sciaboni, e musiche intonate da ‘Il quartetto vocale’ (Maria Ielli, Morena Vellani,  Andrea Caselli e Fabio Migliari), ‘I fiati di Villa’ (Enrico Albertini, Omar Campi, Sara Margini e Gianluca Togninelli) e la corale ‘Il gigante’. Per celebrare la ricorrenza, il consiglio pastorale ha raccolto anche fotografie e ricordi della sua presenza e attività nel comune nell’opuscolo ‘Don Savino un prete ... troppo buono’. 

“Cari amici di Villa, il primo ottobre scorso – scriveva don Savino nel gennaio del ’69, per la celebrazione del 40° del suo sacerdozio –, ho rinunciato ad essere il vostro Parroco, dopo 24 anni e 2 mesi di un servizio pastorale pieno di tante consolazioni e di tante tribolazioni, di tante gioie e di tante illusioni. L’unica cosa di cui posso vantarmi è che vi ho sempre voluto sinceramente bene, bene a tutti, specialmente ai fanciulli. Le opere che ho intraprese non mi sono sempre riuscite, se si eccettua la costruzione del campo sportivo e poche altre. Non mi è riuscito il cinema parrocchiale, non mi è riuscita la costruzione di una sala parrocchiale, non mi è riuscita la cooperativa. Ciò nonostante voi mi avete voluto molto bene, perché avete capito che don Savino è solo capace di voler bene, di essere ‘troppo buono’, e di questo non me ne pento”.

E in molti parlano di questo suo voler bene, del suo essere ‘troppo buono’. “A tanti anni di distanza – rivela fra Francesco Marchesi –, ciò che di più ammiro di don Savino è la sua povertà, il suo distacco dai soldi e dalle cose, la sua generosità, il suo amore per la gente di Villa, per le singole famiglie, specialmente per le più povere. Una volta mi diede un sacchetto di ‘pan cumpre’ (pane bianco) da portare a mia mamma, la quale mi disse che non avrei dovuto accettarlo, perché don Savino era più povero di noi”. E ricorda che, con grandi sacrifici, don Savino costruì il cinema e il campo sportivo, e comprò la televisione, “a tutto provvedeva don Savino che, per mandare avanti le varie iniziative, si privava di tutto. Basta pensare che non riuscì mai a comprarsi un’auto, anche quando ormai tutti in paese ne avevano una”.

Don Savino in altri momenti con la sua comunità

Padre Pietro Zobbi lo ricorda per le stesse qualità: “Di don Savino m’impressionava il suo stile umile, semplice e povero. Un uomo molto vicino alla gente, sensibile alle necessità dei più poveri e alle opere di carità (nel dopoguerra la povertà si toccava con mano). A questo proposito, ricordo una frase che circolava: ‘Da via tutto, non sa fare i suoi interessi...’. E quella che voleva essere una critica, diventava così il miglior elogio”.

Sottolinea anche Marco Fiocchi: “Quando si parlava della sua situazione economica si sentiva dire che era sempre in ‘bolletta’ e questo pregio gli era cucito addosso come esempio concreto di chi sceglie di donare agli altri ciò che possiede, nella totale condivisione. Don Savino prete dal cuore grande e pieno di bontà, persona colta con molti carismi e ‘talenti’ aveva sempre saputo conservare quella semplicità e umiltà che appartengono alle persone straordinarie”.

Un uomo semplice, devoto, umile, mite, generoso, altruista, sempre disponibile, ma anche un prete simpatico e sbadato, noto per le sue dimenticanze, distrazioni e una quantità incredibile di buffi aneddoti, come questo:

In piazza la corriera sta per partire per Reggio. L’autista ancora a terra chiacchiera con don Bonicelli, poi lo saluta e sale sulla corriera, la corriera parte e don Bonicelli, che è rimasto a terra, si guarda in giro e...:”Povra mi ca gh’iva d’andar a Regg!”. 

Don Savino era anche un insegnante competente e un musicista talentuoso, dotato di un grande estro compositivo, “era nato con la musica nel cuore, nella testa e nelle mani”, secondo mons. Guerrino Orlandini. Si racconta che quando ancora era in seminario aveva disegnato una tastiera sul tavolo di studio e si divertiva a suonare ‘immaginando’ i suoni. Molte sono le composizioni musicali da lui create e rimaste inedite nell’archivio parrocchiale di Villa.

“Quando suonava lui, mi creda, era un’altra cosa – ricordava l’insegnante di Costabona Maria Bertolini Fiorini durante una trasmissione andata in onda su Telelupo nell ’83 –, e sembrava di vivere in un altro mondo”.

Scrive di lui Andrea Caselli: “La musica era la sua vita e credo che se avesse continuato gli studi romani, lo avremmo sicuramente ritrovato in ambiti importanti nel panorama musicale del tempo”.

Ma le cose andarono diversamente. Nel ’44 don Savino fu mandato a Villa, dove svolse la sua missione per 24 anni, con fede e amore, rimanendo nei cuori e nei ricordi di tutti quelli che lo hanno conosciuto e svolgendo una funzione veramente importante per la popolazione locale, come evidenzia Danilo Morini: “E così il mite insegnante di musica e di matematica presso il seminario di Marola si trovò nel bel mezzo dei momenti più tragici che Villa Minozzo abbia mai vissuto nella sua secolare storia e costituì assieme alle quattro suore ‘chieppine’ l’unica vera autorità morale e nel contempo efficiente rimasta a soccorrere i parrocchiani”.

 

Nato a Costabona il 14 luglio 1903, da Luciano e Attilia Costi, Savino Bonicelli entrò nel seminario di Marola nel 1916, quando divampò la guerra. Proseguì gli studi liceali e teologici nel seminario di San Rocco di Reggio, terminandoli ad Albinea. Il 24 marzo 1928, la vigilia dell’Annunciazione, ricevette l’ordinazione sacerdotale dal vescovo Brettoni. Per i tre mesi estivi fu inviato come vicario a San Prospero di Correggio, poi ricevette l’incarico di insegnante di musica ad Albinea e a Marola, dove risiedeva e aveva anche l’incarico dell’insegnamento della matematica. Dato il suo estro e talento musicale fu inviato al ‘Pontifico istituto di musica sacra’ di Roma, dove poté completare la sua formazione musicale, conseguendo il diploma di ‘Magistero per la musica gregoriana’, con lode. Nel luglio del ’44, dopo la partenza di don Luigi Manfredi, fu mandato a Villa Minozzo, dove fu nominato economo spirituale e poi, nel ’45, prevosto. Negli anni burrascosi della guerra partigiana assistette agli episodi più tragici e cruenti, restando sempre vicino alla popolazione, prestando soccorso e portando conforto e sollievo. Nel ’59 iniziò a insegnare religione nella scuola di avviamento professionale di Villa. Nel ’63 fu nominato arciprete e iniziò a insegnare educazione musicale nella scuola media ‘Galileo Galilei’. Il 17 maggio 1977, con una bolla papale, fu nominato monsignore col titolo di ‘Cappellano del Papa’. Nel ’68, dopo 40 anni di sacerdozio e 24 di servizio a Villa, rinunciò alla parrocchia, rimanendo ospite del nuovo parroco, don Giuseppe Corradini, continuando però a prestare la propria attività nella corale parrocchiale e nel ministero sacerdotale. Morì il 7 gennaio 1983.