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La tratta d’Oriente. Quanto costa uno smartphone e, soprattutto, a chi

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La tratta d’Oriente.

Come quasi sempre la Tecnologia è un utile elemento di spunto per parlare di noi.

Questa volta andremo a ritroso, fino a toccare le prime leve della catena del valore del nostro compagno di vita, lo smartphone, daremo anche i numeri.

Questa settimana mi sono regalato l’ultimo nato di casa Samsung, un grandioso Galaxy Note 3, prezzo di listino in Italia: 729 €.

A pochi giorni dall’uscita sono riuscito ad accaparrarlo a “soli” 649 €, se non avete fretta, ora anche a 600.

Non c’è bisogno di essere esperti per ritenere che sia un prezzo folle, ma non è il solo a toccare queste vette, iPhone lo supera nelle versioni più costose.

I 600 euro sono ormai “normalità” per un top di gamma.

Costa come un notebook e pesa un quinto, ma non nascondiamoci dietro alla miniaturizzazione, non è sufficiente a portarlo a questi raffronti.

Eppure si vende, la scorsa edizione 30 milioni di pezzi, per non parlare di altri modelli e marche.

Teniamo a mente che nel mondo si spendono più di 600 euro per uno smartphone, ci servirà ricordarlo in seguito.

Dove si producono questi oggetti di culto?

Dove possono costare meno, quindi in Oriente: Corea, Vietnam, Cina, India…

Quando si deve ricorrere a questi paesi? Quando la produzione occidentale ha toccato il fondo e non riesce più a contenere i costi per assicurarsi un guadagno.

In Oriente la materia prima non costa poco, quasi come da noi, costa però meno la trasformazione, per cui i macchinari con cui produrre, i semilavorati, i componenti che servono. La manodopera, sostanzialmente.

Prendiamo tre prodotti: un paio di jeans, un paio di scarpe sportive, uno smartphone.

Un jeans credo che richieda circa 15 minuti per essere realizzato, si parte dal tessuto, con macchinari abbastanza economici di supporto.

Un paio di scarpe sportive potrebbe richiedere 30 minuti, con maggiori investimenti, però.

Uno smartphone richiede secondo me 70 minuti per essere assemblato e testato.

FABBRICAMediamente i lavoratori dei paesi citati percepiscono una paga mensile che possiamo fissare sui 150 €, in verità sono spesso meno. Lavorano più di 8 ore, consideriamo 10 al giorno (spesso arrivano a 14), il motivo è che alloggiano nei locali della ditta, per cui diventa quasi un obbligo stare più tempo sul posto di lavoro, non saprebbero che altro fare.

Con questi numeri possiamo calcolare quanto costa un’ora di queste sfortunate persone.

Costo = 150 € / 20 (gg nel mese) / 10 (ore) = 0,75 €/h (meno di 1 € all’ora) = 0,0125 €/min (arrotondiamo per comodità a 1 centesimo al minuto).

In Italia un operaio specializzato costa sui 18 € all’ora. C’è un rapporto di 1 a 25.

Bancarella nella periferia industriale di una metropoli indiana (foto F. Casoli)
Bancarella nella periferia industriale di una metropoli indiana (foto F. Casoli)

Un collega che soggiorna spesso in India (molto più di me), presso uno stabilimento del gruppo per cui lavoriamo, aspetta quelle occasioni per andare dal barbiere, spende 1 € (barba, shampoo e capelli), in Italia io ne spendo 20 e la barba  me la faccio da solo.

Capiamo, allora, perché si produce così lontano?

Fin qui nulla di nuovo.

Torniamo ai tre oggetti.

Un jeans costa 15 minuti di manodopera: 0,15 €. L’intero prodotto all'azienda costerà circa 6 €.

Un paio di scarpe richiede 30 minuti, quindi 0,30 € di manodopera. Al produttore costa complessivamente circa 8 €.

Uno smartphone avrà bisogno di 70 minuti, pari a 0,70 € di costo manodopera. L’intero prodotto (top di gamma) costa circa 190 €.

Io mi chiedo, con questi dati, come possa essere possibile che si perpetui un vero e proprio sfruttamento della manodopera in questi paesi, con turni massacranti, pause inesistenti, condizioni pessime dal punto di vista della sicurezza e igiene.

Potrei essere smentito su queste cifre ma, se anche tutto costasse il triplo, il discorso sarebbe sempre lo stesso.

Banalmente, che differenza ci sarebbe se si pagasse il doppio un operaio?

0,15 euro in più di costo in un jeans che alla fine si vende a 70 euro, una sciocchezza per chi lo smercia e lo compra, mentre cambierebbe la vita del lavoratore.

0,70 euro in più per lo smartphone, non posso pensare che non si potrebbero ripartire tra i molteplici passaggi e lo stesso cliente finale. Chi se ne accorgerebbe? Tanto più che tra 6 mesi lo stesso telefono, che oggi pago 649 €, si troverà a 400 €, senza che nessuno ci rimetta un centesimo.

Ho ipotizzato il raddoppio della paga perché è un facile calcolo, ma potrebbe essere altro, per esempio essere speso a migliorare gli alloggi, la copertura assicurativa, la sicurezza sul lavoro, ridurre l’inquinamento industriale…

Abitazione indiana di medio livello, nella periferia industriale di una grande metropoli
Abitazione indiana di medio livello, nella periferia industriale di una grande metropoli (foto F. Casoli)

Ovviamente dobbiamo fare i conti con il livello attuale di attesa di quelle popolazioni, mangiare costa pochi centesimi di euro, vestirsi anche, non hanno spese di alloggi, utenze, servizi, comunque sono costi veramente irrisori. Tuttavia riconoscere loro una paga superiore consentirebbe di ridurre le concentrazioni di reddito e consentire un più rapido e uniforme sviluppo economico e sociale, a vantaggio collettivo.

Nelle grandi città si vedono situazioni di grande contrasto, la maggior parte delle persone sta per strada, si ritrova intorno a bancarelle posticce o bar scalcagnati fino a tarda notte, fa lavori occasionali, prestazioni di manodopera qua e là.

Bar indiano (foto F. Casoli)
Bar indiano (foto F. Casoli)

Tutto questo significa che si spreme quello che è più facile da prosciugare, mentre fiumi di sprechi e inefficienze, scorrono indisturbati negli uffici, parcelle di consulenti, avvocati, commercialisti, negli inutili e innumerevoli passaggi prima di arrivare negli scaffali dei negozi. In almeno due passaggi non si tocca e vede la merce, eppure chi la gestisce vuole guadagnarci anche lui, e bene.

Tutto questo è come se volessi negare ai miei figli le caramelle (ne mangeranno quattro al giorno tra tutti e due) per risparmiare sul bilancio familiare, mentre io consumassi tre pasti al giorno a base di caviale, ostriche e Dom Pérignon.

E non pensiate che questo paradosso, questa tratta d’Oriente, non sia a casa nostra.

Prendete una grande fabbrica di automobili, fate i conti di quanto tempo serva per assemblarne una.

Io ricordo circa 40 ore per una Maserati, escluso il motore, oggi molte parti sono assemblate da robot, per cui una vettura di classe media, ben rifinita, potrebbe costare 28 ore di montaggio.

A 18 euro all’ora sono circa 500 euro di costo manodopera.

Potrebbe cambiare la vita di questa azienda se l’operaio facesse 8 ore in più al mese, riducendo la pausa e con la stessa paga mensile?

8 ore su 160 fatte in un mese, sono il 5%, significa che una automobile costerebbe 25 euro in meno.

La si vende a 20.000 €, sarebbero quei 25 € che farebbero la differenza?

Io dico di no.

Noi non siamo disposti a rinunciare a nulla, già se ci chiedessero di fare più ore a pari stipendio saremmo tutti pronti a scendere in piazza, come potrebbe essere diverso?

Henry Ford, che nella seconda decade del 1900 inventò le catene di montaggio (oggi linee di assemblaggio), avendo ridotto drasticamente i tempi di produzione razionalizzando le attività, concesse ai lavoratori un raddoppio della paga, poi dei sostegni sociali.

Oggi avviene il contrario, forse lui sapeva ridurre i costi dove era più difficile farlo, ma più giusto?

E’ forse l’IMU che ci cambia la vita?

O lo sarebbe avere una aliquota di tassazione inferiore del 10%, assegni familiari maggiori, più asili, medici che sono disponibili 8 ore al giorno in ambulatorio, che visitano anche a casa, assistenza 24 ore su 24 agli anziani, gratuita, in strutture moderne ed efficienti…?

Questo sistema industriale ed economico ha generato degli squilibri enormi, noi siamo vittime dello stesso mostro che abbiamo creato, perdiamo il lavoro per darlo ad altri che vengono sfruttati come noi non possiamo più tollerare, in una spirale senza uscita. Tra venti anni “loro” saranno molto più ricchi di adesso, percepiranno lo stesso nostro stipendio (pensate che i dipendenti di medio e alto livello, diciamo dagli impiegati in su, ricevono aumenti annui di stipendio pari al 20-30%, la domanda è elevata, per cui l’offerta chiede e ottiene). Tra venti anni quei paesi verranno da noi a produrre a basso costo, invertendo le parti. Nel frattempo avremo perso quello che abbiamo imparato in un secolo di industrializzazione? Se sarà così non avremo nulla di più di loro e soccomberemo. C’è tanto da fare, a cominciare con l’investire sui giovani, migliorando la qualità gli studi, investendo in ricerca e innovazione…

Se in Oriente ci guardano dalla parte dove sorge il sole, anche noi siamo orientali, la tratta d’Oriente fa il giro del mondo.

Un caro saluto

Francesco Casoli

9 COMMENTS

  1. Caro Francesco, il tuo intervento lascia intendere come nel tuo essere dirigente permanga uno spirito di equità che non dovrebbe scomparire mano a mano che si sale nella scala gerarchica. Purtroppo non sempre è così, fintanto che si è tutti uguali si cerca di avere gli stessi vantaggi, via via che si sale mors tua vita mea. Così, quando si raggiunge il vertice l’unica preoccupazione, l’unico moto proprio, è rendere conto al Consiglio di Amministrazione e agli azionisti che pagano lauti emolumenti per garantirsi il massimo guadagno. Cosa cambiano pochi centesimi elargiti ad un operaio? In realtà moltissimo, basti pensare agli aumenti irrisori (parliamo talvolta di 1, 2 centesimi) applicati sulle bollette dalle aziende che erogano servizi dei quali non possiamo fare a meno (energia elettrica, gas). Minuscoli importi che su milioni di bollette hanno un ritorno significativo per le aziende. Purtroppo sono convinta che se non accoglieremo l’appello di Papa Francesco che ci esorta a ripudiare il dio danaro avremo poche speranze di un lavoro più umano ed equo. Mai sentito di un Amministratore Delegato o di un Direttore Generale che motivi al Consiglio i mancati guadagni come voce “solidarietà”. Quella resta una voce da mettere nella colonna del bilancio per scaricare le spese…

    (Cristina Maria Francesca)

    • Vedi, è tutto molto semplice, limpido, i gradi li hai per due ragioni, una esclude l’altra:
      – te li meriti;
      – te li hanno dati (e basta).
      Nel primo caso devi essere credibile, pertanto devi sapere più di chi sei chiamato a gestire, devi avere fatto quello che fanno, saper dire loro come farlo meglio, in una sola parola, INSEGNARE. In questo caso se hai i gradi è perché i tuoi collaboratori te lo hanno permesso, senza di loro non saresti nulla. A loro devi quello che sei, per cui devi essere loro grato e rispettarli. I lavoratori di officina sono i peggiori giudici (in severità) che tu possa incontrare nella vita!
      Nel secondo caso hai le stellette e basta, un regalo fortunato che hai ricevuto da un altrettanto sprovveduto donatore. Spesso basta avere studiato per averli, la peggior disgrazia che ti possa capitare (avere i gradi solo perché hai una laurea)! In questo caso devi appartenere alla cupola, sotto, la gente che lavora non ti conosce, non ti rispetta e non gli servi a nulla.
      Il rispetto e la gratitudine sono come la ricetta del pane, semplice e sfama sempre tutti.

      (Francesco Casoli)

      • Firma - FrancescoCasoli
  2. Una nota doverosa. Ho menzionato che il costo di uno smartphone è di 190 euro, ovviamente parliamo del costo puro di componenti e manodopera, sono escluse tutte le spese, affatto trascurabili, per lo sviluppo, gli investimenti in impianti per produrlo, gestione degli aggiornamenti, marketing, pubblicità… Di tutto la manodopera rappresenta ancora meno che 0,70 € su 190, per cui il paradosso illustrato, acquista ancora più valore e drammaticità.

    (Francesco Casoli)

    • Firma - FrancescoCasoli
  3. Concordo pienamente con il signor Casoli. E’ un vergognoso sfruttamento della popolazione locale ma nessuno fa niente per abolirla e per migliorare le condizioni di questi poveri cristi. Io ho visto l’India per lavoro e posso testimoniare che c’è da vergognarsi al vedere il loro tenore di vita. Facciamo però qualcosa per loro, ma che cosa?

    (Enzo Fontana)

  4. Concordo con molti dei punti che hai spiegato, non molto con quello dei 25 euro in meno sui 20.000 euro dell’automobile. Con 1 milione di auto vendute sarebbero 25 milioni di euro, sai quanti stipendi ci paghi con tutti quei soldi? Con uno stipendio da 1.200 euro più altrettanti di contributi, ecc., ecc., con 25 milioni di euro si pagherebbero 10.400 mensilità.

    (A.B.)

    • Firma - A.B.
    • Attenzione, se ragioniamo così potremmo dire che per assumere il doppio dei dipendenti paghiamo tutti quelli che ci sono già la metà, facciamo esattamente il ragionamento che voglio evitare.
      Il punto di vista che propongo è diverso: sono i 25 euro su un prodotto che vendo a 20.000 la salvezza del margine? E’ l’1 per mille, le aziende devono avere guadagni lordi con percentuali a due cifre, quindi lo 0,1% che sarebbero i 25 euro rubati al dipendente non possono essere l’ago che decide se si tiene aperti e si è competitivi, oppure se si chiude bottega. Un grande gruppo automobilistico, che non menziono, ma che rappresenta lo standard di tanti, ha letteralmente messo alla fame il proprio indotto facendolo crescere simbioticamente ad esso, sfruttando la inevitabile posizione dominante, dandogli l’appena sufficiente per sopravvivere, spesso comprando i fornitori perché ormai alle corde, ovviamente per due soldi. Parliamo di chi produce scocche, interni, componentistica…, non certo gruppi del calibro di Michelin, Goodyear, Bosch, ecc…

      (Francesco Casoli)

      • Firma - FrancescoCasoli