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“Prima di cadere giù”, un altro racconto di Gabriele Agostinelli vince

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Gabriele Agostinelli, giovane scrittore

Gabriele Agostinelli, 19 anni, studente della classe 5B dell'Istituto Alberghiero dell'IIS di Castelnovo Monti ha vinto il suo terzo premio letterario. Questa la motivazione del Comune di Riolunato che gli ha assegnato il primo premio:" Racconto di un tenero rapporto tra fratello e sorella, un legame forte ed indissolubile, che diventa baluardo a difesa della drammaticità dell'epilogo, nel quale l'iniziale spensieratezza lascia il posto alla 'gravità' del finale."

Pensavo che questa non sarebbe stata un’intervista come molte altre. E pensavo bene.

Ci sono sguardi diversi, e occhi diversi. Cerco di affacciarmi a Gabriele dimenticando lo studente, per conoscere il giovane scrittore. Come mestiere, oltre che a insegnare, ascolto storie. E questa è una storia.

 Ciao Gabriele…

Ciao Ameya…

 (Sorridiamo, davvero.)

 Tutto bene?

 Direi più che bene!

 (Noto che  ha un tatuaggio sul polso della mano destra. Nuovo?)

 Allora siamo ancora qua, come direbbe Vasco. Hai vinto un altro premio. (ndr vedi articolo correlato)

 Eh già, come direbbe Vasco.

 È il terzo, vero?

A quanto pare… il primo ad Aprile, sulla targa c’è scritto “Cenacolo Artistico Roberto Micheloni Cinque Terre – Golfo dei poeti 2013 Sezione Giovani: 1° Premio racconto inedito”, sembra una cosa importante. Il secondo è il “We Write”, sul quale tu mi hai fatto un’intervista per Redacon. E questo è il terzo: “Il Trebbo” che è alla sua 9° edizione e si svolge a Riolunato, in provincia di Modena. La premiazione si è tenuta presso il Teatro comunale domenica 6 Ottobre. Nella categoria Giovani si legge il titolo della mia opera e il mio nome al 1° posto…

Quale è stata la tua reazione appena l’hai saputo?

Ho sorriso e ho creduto che quella fosse la bellezza, quella vera. Della vita, quella vera. Poi ho creduto che alla fine non conta nulla se sono arrivato primo, perché non mi sento mai davvero arrivato, e perché quelle cose, quelle storie, le scriverei lo stesso, anche se non piacessero a nessuno.

Ma a qualcuno piacciono.

Forse sì…

E del primo concorso che hai vinto cosa ci puoi raccontare?

Che non me lo aspettavo davvero. Avevo partecipato per gioco, grazie ad Armido Malvolti. Poi un bel giorno ho saputo di aver vinto. A consegnarmi il premio c’era Alessandro Quasimodo, figlio di Salvatore. Quello del premio Nobel. Qualche giorno dopo “Il Resto del Carlino” intitolava: Golfo dei poeti, sbancano gli scrittori reggiani -  In dodici al premio nazionale di poesia e narrativa. Agostinelli, ‘rivelazione’, ha 18 anni. E continuavano dicendo che ero la “rivelazione dell’anno”. Non c’ho creduto.

E perché?

Perché non è un premio a renderti migliore, a far sì che il mondo possa accorgersi di te. Ho visto molta ipocrisia nella gente, in quel momento. Non ero più bello o più simpatico del giorno prima. Solo che ora la gente mi guardava in un modo diverso. Insomma, in fondo ero sempre lo stesso studente che quando faceva il liceo prendeva 6½ nei temi di Italiano, e che quando è passato all’alberghiero aveva Francese sotto nel primo quadrimestre. Lo stesso che alle medie si è beccato una sospensione e alle superiori si è fatto bocciare il primo anno. Qualche riconoscimento non ti fa migliore.

Quindi non sei proprio un bravo ragazzo?

(Penso che ne ho conosciuti parecchi di ragazzi che non venivano definiti bravi. Ne ho conosciuti di ogni tipo di studenti. Alcuni restano nel cuore sempre. Altri vedi che si faranno del male, anche se speri di no. Altri ancora insegnano tanto. Tanti ti viene un sorriso nel cuore a pensarli, li continui a cercare nei corridoi anche l'anno dopo il diploma, e ti dispiace quando se ne vanno anche se sai che è giusto così, chiedi notizie di loro in giro, restano tuoi  "alunni" anche quando li vedi con il passeggino e i primi capelli grigi. Torniamo a Gabriele...)

Beh, questo non è un problema. Non essere un bravo ragazzo non significa non essere una brava persona.

Hai avuto più successi, ne senti il prezzo?

(Ride)

Non so… ma di certo non sono una Rockstar!

Che significa essere una “Rockstar”?

Abbiamo tutti quest’idea radicata che i personaggi famosi, alla fine, possono fare ciò che vogliono. A me non sembra che sia così. Prendi ad esempio Kurt Cobain, cantante e chitarrista dei Nirvana, che si strafaceva di eroina dalla mattina alla sera, non è finito bene. O Jim Carrey, che ora non se lo fila più nessuno per i suoi problemi con la droga. Alla fine, il problema, sembra sempre essere la droga. Quella e molte altre cose che arrivano con il successo e con i soldi.

E tu che fine farai?

Io non sono nessuno, a dire il vero. Non mi pongo questi problemi.

(Fa uno di quei sorrisi maliziosi che vogliono dire più di mille parole)

Ora parlaci di questo concorso e di questo racconto.

Ho partecipato perché mi è arrivata un’e-mail da Maria Teresa Pantani (che fra l’altro si è classificata 2° nella sezione Poesia Adulti con “Piccolità” e 3° nella sezione Premio Città di Riolunato con “Ritratto di montagna”) con il bando del concorso. Avevo voglia di mettermi in gioco con un racconto a cui tengo molto. Prima di cadere giù. L’ho scritto per una persona davvero importante. E quando ne parliamo, io e lei, le dico sempre che, anche se l’ho scritto io, è roba sua.

Affronta una tematica molto dura, cruda.

Racconta di Gloria e Cristiano, due fratelli parecchio legati che si trovano a vivere una situazione spiacevole, come può essere quella del divorzio. Parla della loro adolescenza e del rapporto con i loro genitori. E parla di tutta quella violenza che può venire fuori da certi contesti.

Perché hai deciso questo tema?

Perché ci sono volte in cui restare con gli occhi chiusi e tapparsi le orecchie e strillare fino a non sentire più niente non serve. Perché ci sono parecchi ragazzi che vivono situazioni del genere e non hanno né il coraggio né la voglia di parlarne. Io non sono il portavoce di nessuno, solo mi limito a cercare le cose nascoste dentro e fuori di me e a raccontarle. Le racconto perché quando lo faccio posso vivere e respirare in un modo diverso, anche se solo per una pagina. Questo mi piace. Quel racconto è stato scritto per una persona. C’è un motivo a questo mio scrivere.

Non pensavi, scrivendolo, che per certi aspetti avresti potuto essere censurato? Lo hai fatto leggere a qualcuno prima?

Non lo ha letto nessuno, a parte la giuria,  Armido Malvolti un po' di tempo fa, e la ragazza per cui è stato scritto. Io ci lascio tutto, quella è la sua forma originale, ha vinto perché era così.

Come hai festeggiato la tua vittoria?

Alla sera, con un mio amico che si chiama Zac, siamo andati a fare un giro a Modena, e già che c’eravamo abbiamo guardato che c’era al Cinema: “La Grande Bellezza”, di Paolo Sorrentino. Un gran bel film, davvero. Mette a nudo la mediocrità della borghesia italiana. Da applausi.

Progetti?

Beh, ora scrivo qualche volta qualche cosa per MontePiano, insieme a Emanuele Ferrari. Devo molto a quell’uomo. Credo che la nostra sia qualcosa di più che semplice amicizia. Tipo essere fratelli di generazioni diverse. E i fratelli e gli amici sono importanti. Ce ne sono un paio con cui condivido le cose migliori e le cose peggiori di me. Si chiamano Andrea e Devid con la e al posto della a. Beh, ora con Devid stiamo facendo questa cosa qua che ci scambiamo le cose più importanti che abbiamo. Io i libri lui i film. Ho pensato che alla fine tutto è arte, e il cinema è parecchio arte. Ho pensato che volevo saperne di più. Così, ora, in un paio di settimane, mi sono guardato una decina di film. Tutti da Oscar, perché Devid guarda cose di qualità. E ora posso quasi dire che Sean Penn è il mio attore preferito, e Quentin Tarantino il mio regista preferito. Poi c’è la musica e il gruppo: “Burning Lips”; ci stiamo dando da fare, abbiamo suonato alla Notte Rosa e stiamo preparando un paio di concerti con i ragazzi del Centro Giovani. E infine c’è la maturità quest’anno. Dopo andrò a Bologna, credo. Università, spero.

E quanto dobbiamo aspettare per il tuo primo libro?

Come mai tutta questa fretta?

Se la ride fra sé e sé e ci salutiamo e lo sappiamo che tanto, presto, ci si rivede.

Ecco il racconto vincitore, avvertiamo il lettore che, per alcuni suoi contenuti espliciti, qualcuno potrebbe esserne urtato.

* * *

Prima di cadere giù

 

Il suo gioco preferito consisteva nel nascondersi fra gli alberi dei boschi e non farsi trovare più.

Era brava, era la migliore. Aspettava il momento giusto rannicchiata su se stessa e poi correva veloce gridando liberi tutti. Gli amici esultavano, perché se non toccava a loro contare era per merito suo.

Gloria aveva un fratello più piccolo, Cristiano.

Cristiano aveva in testa tante di quelle idee che era impossibile capirle tutte. Il suo sogno era diventare un astronauta, andare sulla luna e portarsene a casa un pezzo. Una roccia.

Regalarlo a papà e a mamma.

Ma papà e mamma non stavano più insieme, quindi avrebbe dovuto prenderne un paio: una per ciascuno. Gloria non avrebbe fatto un regalo a nessuno dei due; voleva essere cattiva con loro quanto loro lo erano stati con lei.

I bambini hanno bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi prima di cadere giù.

Una volta aveva detto ti odio a sua mamma, gliel’aveva detto piangendo.

Avevano litigato di brutto quel giorno ed era scappata da nonna, il suo riparo, il suo conforto.

Ci aveva messo alcuni giorni a decidere di tornare a casa, ma ciò non cambiò le cose.

Mamma e papà erano come sempre, divisi come sempre.

Sembrava che fra loro ci fosse un divario immenso, un muro indistruttibile che il tempo aveva contribuito a edificare, mattone dopo mattone.

«Perché è successo?»

«Perché le cose succedono e basta.»

«Mamma, le cose non succedono e basta, le cose succedono se le facciamo succedere.»

Mamma non seppe cosa rispondere e non fece nulla di più che stringerla fra le sue braccia.

I giorni passavano, la distanza aumentava.

Gloria andava bene a scuola, se la cavava con l’Italiano ed era la più brava in Inglese.

Cristiano era semplicemente un genio: un genio della Matematica, della Scienza, della Letteratura; un genio e basta.

Un insegnante disse a suo padre perché non lo iscriviamo alla Normale di Pisa? Ci hanno studiato Carducci, Fermi, Ciampi, e me lo lasci dire, suo figlio potrebbe fare altrettanto.

Fece una faccia così, ci rifletté su qualche giorno poi chiese a Cristiano cosa ne pensasse.

«Voglio rimanere qui con te, papà. Voglio solo rimanere qui con te.» aveva risposto.

Mamma si era ri-fidanzata come un’adolescente smorfiosa.

Il suo tipo era uno un po’ strano con i capelli corti e la barba ispida.

Sembrava uno cattivo, un malvagio dei cartoni animati.

A Gloria non piaceva proprio. Anzi, iniziò addirittura a odiarlo.

Lo scrutava schifata in ogni movimento e per nulla al mondo avrebbe permesso a quella cosa di entrare nella sua casa, la sua culla, la navicella spaziale di suo fratello.

Si portò via mamma, si portò via anche quel pezzetto che le spettava di diritto.

La vedeva ogni tanto; e quel tanto non sarebbe bastato mai.

Una volta avevano bisticciato, per colpa sua.

«Tua figlia non si può permettere di trattarmi così! Chi si crede di essere?»

«Le devi portare rispetto!»

«E lei non mi deve portare rispetto?»

«Ma riesci a capire quello che sta passando?»

«Non ti sei resa conto che quella ragazzina non fa altro che metterci l’uno contro l’altra? Sei davvero così stupida?!»

Mamma lo guardò male, gli stampò uno schiaffo in faccia.

Lui fece altrettanto, solo un po’ più forte.

Il giorno successivo era il giorno di Gloria e Cristiano, avrebbero dormito da lei, era meglio chiarire prima che fosse troppo tardi.

«Mamma, lo sai che non lo sopporto, perché non torni con papà?»

«Sì, perché non torni con papà?»

Cristiano raffigurava il padre come i fumetti raffigurano gli eroi e quando ne parlava gli brillavano gli occhi. Era una cosa magica, il suo papà.

«Non è semplice per nessuno, ma vedrete, il meglio arriverà.»

«No, mamma, il meglio non arriverà se lui ti riempie di schiaffi.»

Mamma si tastò il viso con lo sguardo perso nel vuoto, non era stata in grado di coprire il livido con il trucco. Non era stata neppure in grado di essere una madre perfetta.

Aveva perso.

«Stasera vi mangiate una pizza da soli, voi tre, e cercate di chiarire, ok?»

No, non era per nulla ok, ma Gloria e Cristiano non seppero opporsi.

A cena l’unico suono udibile era quello dei respiri fra un boccone e l’altro.

Nessuno disse una parola.

Cristiano si era perso dentro la sua mente a contare tutti i numeri primi che ricordava, e quando non se li ricordava per bene li divideva per capire se lo fossero o meno. Una cosa era chiara, il numero primo più grande che conosceva aveva 909526 cifre. Non era semplice rammentarne tutta la sequenza, ma se sbagliava la ripeteva da capo.

Gloria, intanto, osservava gli oggetti di quella casa; non l’avrebbe mai sentita sua.

Neanche se mamma e lui si fossero sposati.

Finita la pizza la guardò dritto negli occhi e lei non scostò lo sguardo, impassibile.

«Dobbiamo parlare.» gli disse.

«Ok, ma solo tu ed io.»

«Perché? C’è anche Cri.» ma Cristiano non li ascoltava.

«Solo tu ed io o niente.» Gloria non aveva paura di lui.

«Come preferisci.»

Sorrise, soddisfatto.

«Cri, noi dobbiamo parlare un attimo, tu aspettaci qui.»

Cristiano annuì soltanto, era troppo preso a non perdere il conto di tutte quelle cifre.

La accompagnò nella camera matrimoniale, dove dormiva anche mamma.

Chiuse la porta. Delicatamente.

«Siediti pure.»

Lei rimase comunque in piedi.

Lui si sedette e si accese una sigaretta.

Le lenzuola del letto erano candide e pulite, mamma usava cambiarle spesso, questo lo sapeva bene. Come sapeva bene ogni sua abitudine.

«Allora, cosa volevi dirmi?»

Gloria esitò.

«Che hai fatto a mamma?»

«Ti riferisci al livido? Lo vuoi sapere? Lo vuoi davvero sapere? È colpa tua.»

«Colpa mia? Cosa stai dicendo? Tu l’hai picchiata, tu l’hai picchiata!»

«Calmati…bimba.»

Si avvicinò. Gloria era come immobile.

Avrebbe dovuto scappare, ma il suo corpo non reagiva.

Le accarezzò il viso.

Si accostò al suo orecchio e sussurrò pian piano: «È colpa tua, sì, è colpa tua se sei così carina. L’ho capito sai, l’ho capito da come mi guardi che ti piaccio da impazzire. Perché non lo dici una volta per tutte? Fuggiamo via, io e te, fuggiamo via.»

Gloria non disse proprio nulla.

La baciò appena sotto il collo, la prese per mano, lei lo seguì, inerme e apatica.

La sdraiò sul letto, le sbaciucchiò il ventre, la barba le pungeva l’epidermide.

Gloria chiuse gli occhi, per non vedere.

Le sbottonò i jeans, lentamente. Le calò le mutandine rosa, con cautela.

La lingua era ruvida lì in mezzo, la graffiava tutta. Le venne da fare pipì. E pianse.

Aveva freddo ora, aveva tremendamente freddo, ora.

Il corpo non era più suo. La pelle, la sua finta pelle.

«Ti piace questo gioco?»

No. Non le piaceva questo gioco, non le piaceva affatto.

La porta si spalancò, all’improvviso.

Gli occhi di Cristiano entrarono in quelli di Gloria.

La gravità non esisteva più, come per gli astronauti.

Gabriele Agostinelli

6 COMMENTS

  1. Un racconto, brevi frasi che trasmettono emozioni. Ci sono autori che scrivono fiumi di parole che non lasciano nulla. Invece tu hai questa dote, quella di arrivare dritto al cuore del lettore. Le fondamenta sono ottime e l’ambizione sarà un elemento fondamentale per costruire. Primo mattone: il diploma, mi raccomando! Se pubblicherai qualche altro racconto, in attesa del libro, ti leggerò volentieri.

    (Una lettrice)

    • Firma - unalettrice