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Esperienze di caserma e di galera

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Roberto ZappaterraProponiamo il racconto di un pezzo di storia di vita (la sua) di Roberto Zappaterra, personaggio che in Appennino molti conoscono anche per una disavventura occorsagli in Grecia qualche anno fa.

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Queste poche righe non vogliono essere una guida per cercare in chi o in cosa credere ma il racconto di un paio di esperienze che ho vissuto in prima persona e che mi hanno aiutato a conoscere e a credere un po’ più in me stesso e meno in ciò a cui altri mi dicevano di dover credere.

* * *

E’ il novembre del 1980, ho compiuto 19 anni da poco, da un paio d’anni ho abbandonato gli studi per andare a lavorare come elettricista, vivo a Bologna con i miei genitori e due fratelli più piccoli di 17 e 6 anni. Un giorno come tanti rientro a casa dopo il lavoro e mia mamma mi consegna una cartolina verde, la leggo, è la chiamata al servizio militare. Subito mi sono sentito grande, adulto, da quel momento dovevo smettere di giocare, poco dopo mi sono reso conto che dovevo fare una cosa che fino ad allora non avevo mai fatto, stare lontano da casa da solo, gestirmi senza l’aiuto dei genitori e questa cosa un po’ mi spaventava.

Parto a metà novembre, destinazione Viterbo, aeronautica militare reparto V.A.M. Vigilanza aeroporti militari,  accompagnato alla stazione dai genitori, i fratelli e un paio di amici. Durante il viaggio conosco altri ragazzi che hanno la stessa destinazione e in loro non vedo l’ansia che provo io, l’essere lontani da casa sembra che non gli dia fastidio più di tanto.

Arrivati a Orte, dopo il treno si passa alla corriera che ci porta in caserma. Giunti nel tardo pomeriggio ci vengono assegnate le camerate e le brande, l’istruttore è molto arrogante e vedo che anche fra i miei compagni ce n’è qualcuno che si atteggia a “nonno" benchè sia appena arrivato, esattamente come me.

Osservo gli altri ragazzi e non mi sembrano così spaesati come mi sento io, o almeno questo è ciò che vedo. Riesco a dormire qualche ora.

Il giorno dopo sveglia alle 7, colazione in sala mensa e poi a prendere le divise, prima quella da “guerra" e subito dopo quella da “rappresentanza". Le giornate passano marciando e facendo turni di guardia, due o tre volte ci hanno portato a Falconara marittima a sparare, sveglia alle 5 per fare 230 km, praticamente facciamo un coast to coast passando per Terni, Spoleto Jesi… Tutta questa strada per andare su una spiaggia a sparare 10 proiettili col Mab (Moschetto automatico Beretta) e lanciare 4 granate da esercitazione.

Arriva così il periodo natalizio e il 23 dicembre ripartiamo per tornare a casa. Si rientra il 2 di gennaio 1981 e già comincio a sentire che qualcosa in me non va, sto male, non riesco ad accettare questa situazione in cui devo gestirmi da solo, circondato da molti sbruffoni e prepotenti. In un giorno telefono anche 4 o 5 volte a casa, così, solo per sentire la voce dei miei familiari.

A metà gennaio c’è la cerimonia del giuramento e i miei familiari sono venuti a trovarmi. E’ la fine di gennaio quando, facendo la doccia, mi accorgo che sul piatto galleggia qualcosa di scuro, mi passo la mano in testa e fra le dita mi rimane una copiosa ciocca di capelli. Riprovo: stesso risultato. Volevo mettermi a piangere. Dopo alcuni minuti in cui ho cercato di capire cosa fare, mi rivesto, in testa cerco di nascondere lo spazio che si era creato dalla mancanza di capelli con quelli che erano rimasti, vado in camerata e cerco un ragazzo che sapevo studiava medicina, gli spiego cosa mi sta succedendo e gli faccio vedere la testa priva, in alcuni punti, di capelli. Per prima cosa, mi dice, domani devi marcare visita, vai dal medico della caserma e vedi cosa ti dicono.

E’ giovedì, alle 8 sono in infermeria, mi visita un medico e mi dice che dovrò andare a Roma all’ospedale del Celio per un’altra visita. Per oggi sono stato dispensato dalle marce e da qualsiasi altra attività, ricordo che è stata una bella giornata; mentre gli altri colleghi marciavano io andavo in giro per la caserma senza uno scopo, senza nessuno che mi diceva cosa dovevo o non dovevo fare; se incontravo un graduato che mi chiedeva come mai non ero con gli altri bastava rispondere che ero dispensato e tutto finiva lì.

Il giorno dopo mi chiama l’istruttore del mio gruppo e mi comunica che alle 11 devo prendere la corriera che mi porterà a Roma. Preparo un po’ di cose e all’orario stabilito parto. In corriera sono solo con l’autista e con i miei pensieri, mi chiedevo cosa sarebbe successo, cerco di prevedere ciò che avrei vissuto facendomi dei film dove faccio succedere gli avvenimenti, pensando così di essere preparato agli eventi successivi. Arriviamo al Celio nel primo pomeriggio, trovo un ragazzo in divisa ad aspettarmi, mi accompagna in infermeria e lì un medico mi visita, mi chiede come sto e alla domanda "sei sicuro di non esserteli tagliati tu i capelli?" mi passo una mano in testa, gli porgo la ciocca e gli dico: "Secondo lei??". Mi dice che una visita più approfondita la farò lunedì mattina, mi fa accompagnare in una camerata che si trovava in un altro edificio, scelgo una branda e provo a dormire.

Dopo circa un’ora mi alzo e vado in giro per la caserma, la mia testa continua a preparare situazioni e discorsi, credo perchè non ero in grado di vivere eventi che non fossero preconfezionati, già conosciuti. Alle 7 vado in camerata, poco dopo arriva una suora che mi porge un vassoio con un po' di insalata, dei fagioli e una bottiglietta d’acqua. Dopo un paio d’ore mi metto a dormire. Per la prima volta da quando ero partito per il servizio militare ricordo di essere riuscito a dormire tutta la notte.

Alle 8,30 arriva la suora della sera prima, mi accompagna in mensa e lì faccio colazione, pane, marmellata e latte; nella sala ci sono altri 4 ragazzi seduti a un tavolo che parlano fra loro. Finita la colazione chiedo a che ora c’è il pranzo e ritorno a passeggiare all’interno dell’ospedale, ogni tanto mi fermo su una panchina e continuo a pensare a quello che sarebbe successo o poteva succedere. Mentre giro trovo una chiesetta, anche se avevo smesso da tempo di praticare e di pregare, entro e mi siedo un po’ in disparte. Mentre sto osservando l’interno mi rendo conto che ho cominciato a pregare, pregavo Dio che facesse finire questa situazione che non riuscivo più a sostenere, lo pregavo di farmi tornare a casa, dai miei genitori e dai miei amici. Non ricordo quanto tempo sia passato ma quando sono uscito stavo meglio, vedevo tutto positivo, le mie sensazioni erano positive.

A mezzogiorno vado in mensa, pasta al sugo, carne, verdura e frutta, molto meglio di quello che ci davano da mangiare a Viterbo. Passo il pomeriggio a camminare o sulla branda in camerata, alle 19 si cena e alle 21 a letto.

Lunedì, il giorno della visita, dopo la colazione vado in infermeria, prima di me ci sono due dei quattro ragazzi che si trovavano in mensa il giorno prima. Verso le 10 e 30 mi chiamano e dentro la stanza trovo il medico che mi ha visitato quando sono arrivato e un altro più anziano. Quest’ ultimo mi chiede come sto, se ho mangiato bene e dormito, poi mi domanda se il fatto di capelli mi era già successo in passato. Gli spiego che mi era successo una volta quando andavo alle scuole superiori, ma finita la scuola erano ricresciuti. Mi passa una mano nei capelli e una piccola ciocca gli rimane fra le dita, vedo che rimane un po' stupito, si siede e comincia a scrivere.

Quando ha finito mi porge un foglio e mi dice: "Ti do 90 giorni di convalescenza, tu il servizio militare l’hai già finito, prepara la tua roba che torni a Viterbo, questo foglio lo consegni in caserma". Fa una telefonata e quando esco dopo aver ringraziato e salutato trovo un militare che mi accompagna in camerata e poi a prendere la corriera per rientrare. Anche al rientro sono solo e leggo e rileggo il foglio che mi aveva consegnato il medico, non riuscivo a capacitarmi del fatto che sarei tornato a casa per tre mesi. Arrivato a Viterbo trovo la camerata vuota, nei giorni che ero a Roma gli altri ragazzi sono partiti per le caserme di destinazione.

Il giorno dopo, finite le pratiche burocratiche, prendo la corriera e arrivo a Orte da dove con un treno arrivo a Bologna; non avevo avvertito i miei familiari, per cui quando sono arrivato c’è stata un po’ di sorpresa ma anche preoccupazione per la motivazione per cui ero rientrato. L’ultimo dei 90 giorni di convalescenza ho fatto una visita all’ospedale militare di Bologna dove mi hanno riformato.

* * *

Metà del mese di marzo 2006: mi trovo rinchiuso in carcere ad Amfissa, una località nella regione chiamata Sterea, nel centro nord della Grecia. Mi hanno arrestato il 26 febbraio al porto di Igoumenitsa perchè, durante una perquisizione sul camper con cui viaggiavo dal dicembre 2005, i doganieri hanno trovato dei cocci d’anfora che avevo recuperato durante una immersione, accusandomi così di traffico di reperti archeologici.

Dal giorno dell’arresto praticamente non ho dormito e ho mangiato quello che il sistema carcerario mi offriva. I primi giorni dormo per terra su un materasso sporco e puzzolente, dopo un paio di settimane un ragazzo è stato trasferito e così ho potuto prendere possesso di una branda. Non dormo ma almeno al mattino le guardie che fanno la conta per constatare se qualcuno è scappato non pestano il materasso. Ad aiutarmi fino dall’inizio di questa situazione ci sono Danilo e Corrado, i miei fratelli arrivati da Bologna, e Silvia, una mia amica di Castelnovo ne' Monti, comune del reggiano dove vivo e lavoro.

Le giornate sono scandite dalle pulizie alla mattina alle 8, il mangiare a mezzogiorno e la cena alle 19; nel resto della giornata il niente più assoluto, solo camminare avanti e indietro nel cortile e pensare, e pensieri ce ne sono tanti.

Ho potuto sperimentare il non avere un motivo per alzarsi al mattino, è alienante, frustrante e avvilente.

Mi sento completamente fuori luogo, gli altri ospiti hanno argomenti di cui parlare: droga, rapine, armi, armi con cui fare le rapine… In pratica continuano a organizzare la loro vita fuori dal carcere nel modo in cui li ha condotti qui e che, probabilmente, è anche l’unica che conoscono. Io, oltre al fatto che nessuno parla italiano a parte qualche albanese, ho argomenti totalmente diversi: i disabili, il lavoro, la subacquea…

Dormo poco, anche perchè nella camerata da 24 letti ci stiamo a volte anche in 40 e tutti fumano per cui l’aria è irrespirabile. Il mangiare viene dato con le mani, quasi mai indossando i guanti, dentro dei contenitori di plastica tipo Tupperware.

Un giorno Silvia mi dice che presto sarebbe passata una suora per parlare con me; aveva studiato in Italia per cui sapeva un po' di italiano e tempo prima aveva aiutato un altro ragazzo che si trovava in quel carcere per droga. Dopo qualche giorno mi chiamano in parlatorio, lì trovo una suora, fisico robusto, occhiali con montatura nera, tunica marron chiaro, un bel sorriso in un viso giovanile.

Ci presentiamo e ci sediamo. Comincia a farmi delle domande, tipo: come stai, da quanto tempo sei in prigione, se ci ero stato altre volte… Sarà stato il fatto che in pratica è da venti giorni che non dormo e tutto mi sembra così assurdo che ho cominciato a piangere, non riesco a trattenere le lacrime e non voglio neanche trattenerle. La suora si rende conto che sto male e non sa come aiutarmi, così mi dice: "Su, Roberto, non piangere, gli uomini non devono piangere!".

Subito non mi rendo conto di quello che ha detto e, quando realizzo, fra lo stupito e l’arrabbiato le ho risposto: "Suora, sono in prigione, non dormo da 20 giorni, il mangiare è uno schifo, non so neanche il motivo per cui si siano accaniti così contro di me e lei mi dice che non devo piangere? Ma perchè non va a quel paese?". La religiosa cerca di calmarmi continuando a parlare, alcune persone che hanno sentito e capito ciò che ho detto si mettono a ridere, altre chiedono di tradurre.

Sempre piangendo mi alzo ed esco dalla stanza, mi rendo conto che invece di tenere la testa bassa per non far vedere il viso bagnato dalle lacrime avanzo incrociando gli sguardi degli altri ospiti che mi lasciano passare, così arrivo in cortile, trovo un angolo fra due muri, mi raccolgo in posizione fetale e continuo a piangere.

Non so quanto tempo sia passato, ogni tanto qualcuno dei ragazzi veniva a chiedere se era tutto a posto, gli rispondevo "Ok!" e se ne andava. Mentre sono accovacciato con la testa fra le mani ho cominciato a pregare come mi era successo anni prima. Ma un attimo dopo ho pensato: "Non posso invocare Dio solo quando ho bisogno visto anche che non ci credo, proviamo a cavarcela da soli".

Finito di piangere, mi dirigo verso la camerata, mi metto ad analizzare la situazione e alla fine il ragionamento che ne è uscito e’ stato: "Sono qui dentro e non posso uscire, almeno per il momento, la mia testa è fuori con i miei mille progetti ma il corpo è qui, mettiamo la mia vita che è fuori dentro una scatola che riaprirò quando sarò uscito, troviamo il modo di rimanere in piedi senza troppi traumi e portiamo la testa qui dentro".

Credo che l’aver fatto questo ragionamento mi abbia aiutato a non suicidarmi. Così ho cominciato a organizzarmi la vita dentro il carcere. Per prima cosa con delle cassette di plastica prelevate dalla cucina ho costruito un comodino dove mettere dei libri e altre cose di fianco alla branda, al mattino ho chiesto di poter aiutare a lavare la camerata in questo modo avevo un impegno dalle 8 alle 8,30; questo mi costringeva ad alzarmi e fare colazione prima delle 8. Una cosa che mi ha aiutato molto è stato scrivere; scrivevo tutto ciò che vivevo e che succedeva all’interno del carcere: dalle risse fra gli ospiti, principalmente causate da droga non pagata, alle fogne che esplodono, dal mangiare che puzza alla genialità delle guardie durante la conta degli ospiti dentro la camerata: 25-30 minuti per contare 35-40 persone.

Gli ospiti vedevano che scrivevo e questo ha suscitato molta curiosità, così ho cominciato a raccogliere le storie di questi ragazzi finiti in galera principalmente per traffico e spaccio di droga e armi, rapine; da Peter che a 20 anni ha ucciso suo padre e doveva scontare ancora 10 anni a Chobane, padre di famiglia che ha rubato una pecora; da Pepa, 21 anni arrestato perchè a un posto di blocco non si è fermato e durante l’inseguimento è uscito di strada e una volta catturato in macchina la polizia ha trovato della droga così si è preso 10 anni, a Theodoras che a 19 anni hanno fermato con 20 chili di eroina; adesso ne ha 45 e fra un paio d’anni dovrebbe uscire.

Le storie di questi ragazzi le consegnavo a Danilo o a Silvia, le inviavano ai giornali che seguivano la mia vicenda e quando facevo vedere ai compagni di cella gli articoli con i loro nomi sui giornali italiani sembravano molto soddisfatti e credo tutto questo mi abbia aiutato nei rapporti interpersonali durante la mia permanenza in carcere.

Sono uscito di prigione il 10 maggio 2006.

Nell’ottobre 2010 ho tolto il piccolo crocifisso d’oro regalatomi dai miei genitori che portavo appeso alla catenina. Devo ammettere che subito ho pensato: "Chissà cosa mi succederà. Sono convinto che non è successo niente che non sarebbe successo se avessi al collo ancora il crocifisso".

Questo racconto altro non è che il resoconto di due esperienze che ho vissuto e che mi hanno insegnato ad essere consapevole di me stesso, dei miei limiti e delle mie capacità. Ho smesso di credere in Dio, ho assoluto rispetto di chi ci crede e non voglio convincere nessuno a smettere di credere; ma sono anche convinto che quando crediamo in qualcosa, in questo caso in Dio, nella religione e nella chiesa, è perchè qualcuno ci ha detto che bisogna crederci, mentre bisognerebbe cominciare dalla famiglia: sono i genitori che dovrebbero insegnare ai figli a non lasciarsi condizionare, a saper scegliere.

(Roberto Zappaterra)

 

13 COMMENTS

  1. Io sono stato ateo per cinque anni. Ho vissuto da inferno, poi ho capito che senza la fede non riuscivo ad andare avanti. Inoltre mi ingannavo di trovare risposte, perchè di fatto mi ero sempre più buttato giù ed ero di quelli che a parole “amano la vita”, a fatti non vedono l’ora che sia finita. Tantomeno avevo delle ragioni per potermi guardare allo specchio, visto che ero diventato più una bestia che un uomo. Le risposte ai miei problemi me le ha date un ragazzo poverissimo ex drogato ed ex divorziato. No, io non credo per tradizione. Impossibile. Mio padre era sindacalista e pieno di dubbi. Credo persino che la gente che avevo attorno mi abbia trascinato nell’ateismo. A partire dalle compagnie di amici. Comunque, per prima cosa bisogna accettare la vita per quello che è e non cercare di rispondere a tutto. Ci fa uomini il fatto di mettere davanti a noi chi abbiamo di fronte e non sempre le nostre miserie. Così, credo, ci accorgiamo di non essere diversi dagli altri. Tutti soffriamo e anche in modi dolorosi, tanto più se ci nascondiamo in noi stessi.

    (Marco Notari)

    • Firma - MarcoNotari
    • Ha ragione signor Berra, dovrebbero insegnare anche a non fumare, a non drogarsi, a non passare col rosso, ad allacciarsi le cinture e a non stuprare e potrei continuare… Dovrebbero insegnare anche a non dare niente per scontato e a non giudicare senza conoscere, ma purtroppo questo è uno sport molto in voga soprattutto fra gli adulti. Vede, penso che potrebbe parlare di “rubare” se fossi entrato in un museo con un mitra spianato per prelevare dei cocci, pronto a far fuori chi mi avesse ostacolato; mi dispiace per lei, non è andata cosi, ho fatto uno sbaglio senza considerarne le conseguenze, tutto qui. In più la giustizia greca, votata quasi totalmente alla corruzione, se ne è approfittata, a partire dagli avvocati in su; poi lei è libero di pensarla come vuole. Inoltre, secondo me, non credo sia questa la sede e l’articolo per discutere su questo argomento.

      (Roberto Zappaterra)

      • Firma - zappaterraroberto
  2. Grande Zappa! Grazie per aver condiviso questo pezzo della tua vita. Credo che il vero Spirito non si trovi nelle persone, nelle cose, nei luoghi e cercarlo lì a volte possa essere fuorviante. Credo si trovi nel posto più difficile in cui cercare, dentro di noi. Spero di leggere ancora i tuoi scritti.

    (Francesco Colli)

    • Firma - Francesco Colli
  3. Con tutto il rispetto per queste eperienze, ma il messaggio che passa sembra collocarsi nella tematica credere in Dio oppure no. Cioè si affrontano le situazioni e vicissitudini osservandoci dall’interno solo ed esclusivamente abbandonando il supporto religioso. Perchè? Come ribadisce lei, si crede sul presupposto consigliato da altri.

    (Liberopensante)

    • Firma - liberopensante