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Anche quando i libri costavano più di una casa fare il sacerdote non era facile…

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Riportiamo una interessantissima esposizione di Savino Rabotti, nostro collaboratore oltre che ricercatore e studioso di vicende locali, tenuta recentemente a Crovara di Vetto sulla formazione del clero locale tra il XVI e i XIX secolo in Appennino.

Un momento della relazione di Savino Rabotti a Crovara
Un momento della relazione di Savino Rabotti a Crovara

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FORMAZIONE  DEL  CLERO  LOCALE dal XVI al XIX secolo.

L’argomento meriterebbe un’analisi molto più approfondita che però non è possibile oggi per il tempo, né io sarei all’altezza di farlo. Mio scopo è quello di aprire uno spioncino per vedere quale era la situazione del clero nel nostro territorio nei secoli passati, fino ad oggi.

La formazione del clero è da sempre la prima preoccupazione dei pastori dediti al bene delle anime. Già nell’alto Medioevo molti vescovi impegnati attivavano delle Scholæ Presbyterorum presso il proprio palazzo. L’esigenza che il clero avesse una soda cultura e una condotta morale esemplare è andata via via aumentando fino a diventare, col Concilio di Trento (1563), una conditio sine qua non. O stai alle regole o non aspirare a diventare sacerdote.  Era ed è tuttora scontato che l’istruzione umanistica e la formazione interiore favoriscano il sacerdote nella propria missione. Un sacerdote colto e santo sa diffondere meglio il vangelo (con la parola e con l’esempio), riesce ad individuare eventuali devianze dottrinali, sa dove cercare gli argomenti probanti per difendere l’ortodossia. Nel campo della formazione, in passato, la parte del leone l’hanno fatta gli ordini religiosi, avvantaggiati dal voto di povertà grazie al quale ogni cosa diventava proprietà della comunità. Quindi i libri trascritti dagli amanuensi, comperati o avuti in regalo passavano automaticamente alla comunità, permettendo di realizzare biblioteche monumentali, e dando a tutti la possibilità di studiare. Teniamo presente che fin verso il 1500 costava più un libro che una casa.

Col ciclone della Riforma protestante (esplosa mercoledì 31 ottobre 1517 con l’affissione delle 95 tesi di Martin Lutero alla porta della Cattedrale di Wittenberg) e con la conseguente Controriforma, (concretata, dal punto di vista dottrinale, col Concilio di Trento (1545-1563), c’è un grande salto di qualità. Per ciò che riguarda la formazione del clero il Concilio, accogliendo i suggerimenti e l’esperienza di S. Carlo Borromeo, decide di istituire i Seminari Diocesani (decreto del 1563), e detta le norme per la formazione spirituale e culturale, e le regole per gli edifici adibiti a Seminario.

Il termine Seminario, dal latino Seminarium, significa  vivaio.

Il fervore suscitato dal Concilio produsse una notevole spinta positiva in tutta la Chiesa, all’interno degli ordini religiosi e del clero diocesano. In quel periodo sorsero tante congregazioni e furono fondati tanti seminari, alcuni dei quali, nel tempo, acquistarono grande prestigio grazie al valore del corpo insegnate.

MA QUASSÙ DA NOI  come andavano le cose?

Di giovani avviati alla carriera ecclesiastica ce n’erano tantissimi. Nei rapporti delle visite pastorali fino alla fine del 1800 c’è una voce ricorrente: in ogni parrocchia ci sono diversi sacerdoti e chierici. Di questi alcuni vivono in seminario, ma altri vivono in famiglia seppure a stretto contatto col loro parroco che diventa professore e direttore spirituale. Per esempio, nella parrocchia di S. Stefano, nel 1791, c’erano 7 sacerdoti, oltre al parroco, 2 chierici e un chierico a Rosano. Le due parrocchie erano unificate. C’è una spiegazione per quell’abbondanza di vocazioni, ma dobbiamo scendere nell’umano, nel materiale.

Domandiamoci:  chi poteva studiare nei secoli scorsi? I figli dei nobili ricchi, i figli dei grandi possidenti terrieri.

Per i primi (che non avevano problemi di soldi) la motivazione consisteva nell’evitare il frazionamento del patrimonio della famiglia. Passando alla carriera ecclesiastica il giovane non partecipava più alla suddivisione dell’asse paterno, anzi, poteva incrementarlo grazie alla perspicacia personale. Lo stesso discorso vale per i figli di terrieri quanto alla divisione del patrimonio. In più costoro avevano la possibilità di aiutare la famiglia se vincevano il concorso per una parrocchia ricca. E di più se riuscivano a fare carriera gerarchica. Comunque fosse, avevano accesso ad un livello di vita superiore. Insomma,  andavano a stare bene. Ci sono stati però dei casi in cui la parte dottrinale poteva passare in secondo piano, a vantaggio della “bontà” o “santità” interiore dell’individuo. In tal caso il vescovo faceva leva sul fatto che dove non arriva la scienza arriva la grazia divina, consapevole che lo Spirito soffia dove e quando vuole. Un recente esempio lo abbiamo con don Ugolini nella chiesa di San Giorgio di Sassuolo. Da sagrestano esemplare (ma poco colto) ha ottenuto di accedere al sacerdozio con una preparazione essenziale e personale. Ciò gli ha permesso di svolgere un apostolato particolare tramite il confessionale. Oggi è in corso il processo per la beatificazione.

MA ENTRARE IN SEMINARIO comportava una spesa consistente.

Ancora ai miei tempi circolava una battuta significativa: per andare a Marola ci vuole la dote di una sposa. Quindi chi voleva avviarsi al sacerdozio ma non disponeva di capitali sufficienti si arrangiava appoggiandosi al parroco per le lezioni e cercando testi di seconda o terza mano sui quali studiare. Tra i libri che verranno esposti al museo ce n’è uno con tracce di almeno tre passaggi di proprietà. Altra difficoltà: la sovrabbondanza di sacerdoti comportava il rischio di non potere avere una parrocchia da gestire. In tal caso il sacerdote si appoggiava ai propri parenti, officiando l’oratorio di famiglia o quello del borgo, con una grande quantità di messe e uffici per i defunti e industriandosi a fare il contabile o il maestro.

A Castellaro un sacerdote in famiglia c’è stato almeno dalla fine del 1500 fino al 1860. La famiglia Rossi ha dato, negli ultimi due secoli, almeno tre sacerdoti, tra cui un parroco di Scurano.

A Pineto (sec. XVII) un sacerdote locale chiede di potersi costruire un oratorio perché aveva problemi di deambulazione e la strada per arrivare a S. Stefano diventava troppo dura e pericolosa, specie d’inverno.

Lo stesso è per un sacerdote di Casalecchio che, anche lui, chiede di potere costruire un oratorio privato perché arrivare a Crovara tutti i giorni era  per lui molto difficoltoso.

Quando uno di questi sacerdoti di famiglia invecchiava preparava un nipote a succedergli, impartendogli lezioni private fin dove gli era possibile. Però tutti questi “seminaristi a domicilio” ad un certo punto dovevano poi entrare in un Seminario vero per la preparazione immediata agli ordini minori e maggiori, fino al sacerdozio. Oppure in un convento, come pare di capire per don Luigi Rabotti.  E quando si avvicinava il momento dell’ordinazione dovevano scegliersi un tutor,  un sacerdote che garantisse di fronte al vescovo sulla preparazione dell’aspirante. Tra i miei pochi documenti di famiglia uno attesta che S.  E. Francesco Maria D’Este ordina sacerdote Don Luigi Rabotti (siamo nel 1807) nella cappella del palazzo vescovile, “dopo aver avuto buona testimonianza sull’età, la condotta, la dottrina” dai sacerdoti don Francesco Davalli e don Giovanni Battista Ferrari, poi lo autorizza a celebrare la prima messa nella chiesa dei cappuccini. E, come destinazione immediata, lo assegna alla parrocchia nativa (S. Stefano di Rosano), cui inservire tenebitur  per le funzioni.  Quindi nessun altro incarico.

MATERIE DI FORMAZIONE.

Formazione interiore:   preghiera quotidiana, meditazione quotidiana, esame di coscienza tutte le sere, ritiro mensile, esercizi spirituali annuali (tre o sette giorni).  Confessione settimanale, Comunione quotidiana.

Formazione teologica:  il corso di Teologia durava 4 anni, poi si potevano aggiungere specializzazioni e lauree presso atenei qualificati e su argomenti diversi  (Dogmatica, Morale, Patristica, studi Biblici, ecc).

Preparazione giuridica:  studio approfondito del Diritto canonico, conoscenza del  Diritto civile, conoscenza dei  Concordati fra i vari Stati e il Vaticano.

Formazione umanistica: conoscenza perfetta del latino, fino a pensare in latino, e del greco antico (compresa metrica e prosodia); nozioni di Oratoria (Retorica); corsi di filosofia propedeutica (Scolastica); corsi di apologetica.

AMBIENTI  DI  FORMAZIONE.

Nel Medioevo:  le Scholæ presbyterorum, poi i Seminari (minore e maggiore) per il clero diocesano, i Collegi per gli ordini religiosi (Probandato, poi Noviziato e Professato).

CONCLUSIONI.

La vita del sacerdote non è mai stata facile se l’interessato intendeva essere coerente con l’impegno preso: non era facile prepararsi alla missione,  non era e non è facile vivere la propria vocazione. Si frapponevano: ostacoli materiali per potere studiare, come abbiamo visto, e difficoltà materiali e spirituali dopo, nella vita di sacerdote, dovute a cause economiche (rendite scadenti se non nulle), solitudine, con tutto ciò che questa comporta (tentazioni legate alla povertà e anche alla vita sentimentale), diffidenza della gente, pronta a criticare, restia a collaborare.

Per riferirci solo a Crovara, lo possono testimoniare i parrocchiani, e l’abbiamo costatato anche noi che eravamo solo degli amici, quale tipo di vita era costretto a condurre Don Angelo. Una vita di solitudine e poca risposta da parte della popolazione. Ed era Don Angelo, per nostra fortuna!

Un ultimo appunto: nei circa due secoli di vita il seminario di Marola non è stato solo una fucina di sacerdoti. Ha formato anche tante personalità della cultura montanara, politici e professionisti. Cito solo, come esempio, Pasquale Marconi.