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Il cibo siamo noi. Un intervento di Enrico Bussi

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Enrico Bussi
Enrico Bussi

Sabato 29 novembre scorso, alle 17, la gente è in fila e il Teatro Ariosto diventa stracolmo per ascoltare il dialogo sul diritto al cibo tra Enzo Bianchi priore di Bose e Carlin Petrini cofondatore di Slow Food e di Terra Madre.

L’incontro organizzato da “REP 2014- La Repubblica delle idee” viene condotto dalla giornalista Simonetta Fiori e s’intitola "Dà loro il nostro pane quotidiano".

Carlin Petrini parla dello scandalo della fame, del Land grabbing, cioè, 84 milioni di ettari comprati da Cina, India, Arabia per produrre energia verde in Africa e la conseguente espulsione di popoli nei Paesi che non riconoscono ai contadini il diritto di proprietà.

Questa parte di popolazione non ha la condizione che li parifica agli altri e i capi tribù, i governanti in base alle regole sul diritto di proprietà vendono la terra (a chi li corrompe).

Si rivelano delle favole le teorizzazioni sulla bellezza del modo di esistere naturale e semplice, senza la proprietà e con l’uso comune delle risorse.

Sono realtà le due schiavitù, donna sottomessa e famiglie indifese, le morti, l’emigrazione.

Enzo Bianchi mette in risalto lo spreco di pane degli italiani, i milanesi ne buttano 184 quintali al giorno, il triplo di tedeschi e francesi.

Manca la cultura del valore del lavoro manuale collocato nella sfera delle condizioni umilianti da cui liberarsi.

Non ci si abbassa a recuperare, è roba da accattoni il gesto di prendere dal piatto e di mettere da parte.

Gli italiani erano più poveri e sono diventati consumisti ciechi, più stupidi degli altri.

Carlin Petrini sottolinea che nei confronti del cibo compriamo guardando a quanto costa e non quanto vale.

Ma la riduzione dei costi comporta di sfruttare sempre di più le risorse e ci mette di fronte alla scarsità, ai limiti nella disponibilità sino all’emblematico conflitto per l’acqua tra Israele e Palestina.

Anche il Parmigiano Reggiano è in crisi, venduto a un prezzo inferiore alla mozzarella, e c’è bisogno di educazione alimentare, di riconoscere la sapienza contadina, di riscoprire la valorialità.

A proposito di importanza dell’acqua e di scala dei valori, negli anni ’80 la dirigenza reggiana ha messo in primo piano la difesa della marmotta per osteggiare la diga di Vetto, adesso la stessa dirigenza gioca col lupo importato dalla Francia che mangia non solo marmotte dal crinale alla val d’Enza e propone di superare la ‘monocoltura’ del Parmigiano Reggiano puntando su funghi e zafferano.

Dimentica l’erba, la risorsa principale utilizzata solo dai contadini con erbivori-latte-formaggio e pianifica la costruzione del megamagazzino per alloggiare 500.000 forme di prodotto simile importato.

Enzo Bianchi descrive il suo mondo, la formazione, il rapporto tra nonni e nipoti, il regalo di un piccolo orticello, l’interesse da bambino a coltivare il terreno con le proprie mani, una dedizione mantenuta anche da monaco.

Per evitare la distruzione dei suoli agricoli propone un diverso modo di educare per far crescere la cultura.

Presentare la storia dell’uso della terra e far conoscere la storia di un cibo.

Dare ai giovani la consapevolezza dell’ecosistema coltivato da dodicimila anni, dello stretto legame tra l’alimento e le nostre azioni.

Comprendere la dipendenza tra il periodo dell’anno e i suoi frutti per gustare la stagionalità.

Soppesare il lavoro, i mezzi utilizzati, le risorse messe a disposizione dell’uomo.

Apprezzare la gratuità e il dono.

Applausi calorosi ai contadini e presa di coscienza della loro espulsione in terra reggiana con i favori alla Grande Distribuzione, al consumo di suoli agricoli, ai cinque grandiosi accumuli di rifiuti cittadini che scolano sull’acqua, sui campi coltivati, sul cibo di alta qualità.

Non a caso la città spiega nel suo sito come si cura di Agricoltura, Alimentazione, Ambiente e ci manca la quarta A: spiegare quanto e come spende per Ammazzare le tre A.

(Enrico Bussi)