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Le tante facce della violenza

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Schenetti
Marzia Schenetti

Le gambe di una donna, tacchi rossi, un tacco si storce, qualcosa s’incrina o si spezza, la donna non riesce a ritrovare il suo perfetto equilibrio. Una copertina efficace, dall’alto valore simbolico.

Tutto pronto per la pubblicazione del nuovo libro di Marzia Schenetti “Le gentildonne – dopo lo stalking”. Doveva uscire il 21 febbraio al BUK di Modena per la casa editrice "Il ciliegio", ma poi è successo qualcosa.

"Boicottaggio"?

“La mia casa editrice si è vista arrivare per e-mail una minaccia di diffida. Il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna, a nome dell’avvocato Susanna Zaccaria, la diffidava a pubblicare il mio nuovo libro”.

Avevi rapporti con il Coordinamento?

“No, ma con alcuni centri che ne fanno parte sì, come ‘La casa delle donne’ di Bologna e l’associazione ‘Non da sola’ di Reggio Emilia”.

Come ti spieghi questa "mossa"?

“Al tempo dello scandalo di ‘Mafia capitale’ e della notizia che alcuni centri antiviolenza per le loro campagne si erano appoggiate allo spettacolo di Serena Dandini, sponsorizzato dalla cooperativa  '29 giugno' di Buzzi, avevo rilasciato un’intervista, uscita il 10 dicembre sul quotidiano on-line Qelsi, in cui si parlava a 360 gradi del mondo associativo. Parlavo della poca trasparenza che purtroppo facilita lo sviluppo di interessi diversi e il poter mangiare sopra alle disgrazie sociali; in merito  anticipavo  l’uscita del mio prossimo libro. Oltre a replicare alla mia intervista con un comunicato sullo stesso giornale on-line, anche in un modo scorretto con dichiarazioni non veritiere volte a ledere la mia persona, il Coordinamento, allo stesso tempo, ha inviato una mail alla mia casa editrice, senza tenere conto di tre aspetti fondamentali: 1) la libertà di opinione e di dire la verità, non siamo diventati tutti ‘Charlie’ questo mese?; 2) il fatto che non possono conoscere i contenuti del libro, il che rende questa mossa una cosa di tipo evidentemente intimidatorio, perché mira a tarpare le ali a qualcosa e a qualcuno a prescindere, semplicemente perché non omologata e conforme ai loro interessi; 3) il libro è una storia di ricostruzione di una vittima di violenza e queste donne che si dicono democratiche, che si prodigano a tutela di altre donne, che si dicono pronte e aperte alle critiche e al miglioramento, mi hanno minacciato perché il libro non esca”.

Ma "Le gentildonne" che cos’è?

“'Le gentildonne' è il viaggio attraverso questi ultimi cinque anni, condivisi con altre donne; un racconto narrativo di cinque anni di lotta per ricostruire la mia vita”.

GentildonneCom’è strutturato il libro?

“Nei primi due capitoli voglio trasmettere l’idea dell’impatto sociale del tornare a una vita che era la propria, ma di fatto non lo è più, perché si ha il peso dell'etichetta ‘vittima’, che non permette non solo l'aiuto ma neppure alcuno sconto e tanto meno un riconoscimento della persona, oltre che della donna. Un capitolo tratta dei media, quello che puoi dire e non dire. All'interno di esso c'è l'autogol di Giletti, che probabilmente, pensando non fossi sufficientemente spettacolare per la sua trasmissione, si è lasciato andare ad un gesto evidentemente irrispettoso, ma che poi ha assunto addirittura, involontariamente, un significato comico, tanto è vero che circola liberamente in rete come testimonianza della dabbenaggine del presentatore. In un altro capitolo mi occupo della rete antiviolenza delle vittime e racconto tutte le mie utopie: quello che bisognava fare, quello che non c’era, i confronti, la necessità delle vittime di violenza... Poi dedico un capitolo alle istituzioni. Racconto nel quotidiano quello che è stato il mio rapporto con province, pari opportunità, incontri con le ‘signore bene’ delle istituzioni. In un capitolo affronto le associazioni e gli incontri con esse e un altro è dedicato ai ‘tipi’ umani. Poi c’è una svolta e dedico gli ultimi capitoli a cosa vale veramente la pena. Da una parte spiego perché molte volte non è valsa la pena lottare, sottolineando cosa mi è costato, a livello di sicurezza e di qualità della vita; e dall’altra parte perché tante volte ne è valsa invece la pena, sottolineando la differenza che sta non nel mondo associativo ma nelle persone. Persone che, seppur rare, fortunatamente esistono. Un ultimo capitolo verte sull’amore, ‘S'impara ad amare’, ed è basato su quello che è diventata per me l’essenza della vita. Chiude il libro ‘Lettere dal fronte’, lettere di donne con cui ho condiviso dolore e speranze”.

Un libro bloccato sul nascere. Cosa pensi di fare?

“Uscirà lo stesso. L’ho inviato a varie case editrici e confido che qualcuna di queste abbia voglia di darmi voce. Nel frattempo stamperò almeno un centinaio di copie per la settimana dell’8 marzo, per gli eventi che erano già in programma”.

Nessuna minaccia ti ferma.

“No. Penso che sia un diritto imprescindibile il poter raccontare la propria storia. Ritengo di non offendere nessuno e se qualcuno si sente offeso, come dice Marzullo, deve farsi la domanda e darsi la risposta”.

Perché qualcuno si è sentito offeso, secondo te?

“Tutto quello che sta emergendo è che, come ho evidenziato nell’intervista, c’è un mondo in cui nessuno finora ha messo dito, un mondo che è diventato ‘intoccabile’. Gruppi nati negli anni ‘80 dalla volontà di donne di confrontarsi, anche e soprattutto attraverso le diversità e la critica, per crescere insieme. La postfazione al libro è scritta da Grazia Negrini, una donna tra le fondatrici storiche della 'Casa delle donne' di Bologna, che poi ne è uscita. La politica buona delle relazioni tra donne non prevede il tappare la bocca alle persone. In questi ultimi 15 anni si sono consolidati delle rendite di posizione e anche degli interessi personali, che  determinano uno scarso interesse a confrontarsi alla pari con le vittime e l'impulso a schiacciarle se non si comportano in modo conforme: una sorta di maschilismo all'interno delle associazioni storiche, ovviamente, e per fortuna, non tipico di tutte le appartenenti”.

Qual è lo scopo del libro?

“La ricerca di un confronto. Il libro nasce dal fatto che per anni ho, e abbiamo, cercato utopicamente rapporti, collaborazioni, tavoli di confronto tra le vittime di violenza e le associazioni. Le associazioni sono convinte di dare il massimo, ma le vittime si telefonano tra loro, perché non hanno risposte adeguate o non hanno affatto risposte. Io non ho mai avuto la possibilità di confronti né tanto meno risposte e ancora meno ho visto la volontà di partecipare ai nostri eventi. ll libro nasce con l’idea di arrivare finalmente, e obbligatoriamente, a un confronto, che, in verità, doveva essere costruttivo. La verità assoluta non ce l’ha nessuno. Caso mai la mia è stata una storia 'sfigata', come quella di molte donne che conosco, saranno state storie sfigate, ma se si nega il confronto allora qualcosa non va. C'è altro di mezzo...”.

Tu collabori con delle associazioni anti-violenta?

“Io ho rapporti a livello quotidiano con delle associazioni, ma si tratta di associazioni piccole, che soffrono della discriminazione dei grossi colossi. Piccole realtà destinate a chiudere, perché a loro non arrivano i fondi, non godono delle grandi sovvenzioni pubbliche e sono costrette a lottare per avere un piccolo spazio. Collaboro con associazioni che mettono alla base un rapporto alla pari tra donne, non un rapporto subalterno di servizio-utente. Questo fa la differenza”.