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Idee / “Verso un modello di scuola-azienda”

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Scuola

Ospitiamo il seguente contributo della nostra collaboratrice Giuliana Sciaboni.

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Approvata alla Camera la riforma proposta dal governo Renzi.

“La buona scuola” renziana. Tutto è iniziato con un sondaggio. Dalla parvenza di un semplice questionario online. Non ti piace lo stato in cui si trova attualmente la scuola? Sei un alunno o ex-alunno, genitore nonno o operaio? Cosa te ne pare? Cosa non va della nostra scuola? Dacci il tuo parere. Hai tempo fino al 15 novembre. Partecipa al questionario sul piano del governo. Ogni cittadino deve avere la possibilità di “esprimersi, per completarlo o integrarlo, insomma, per partecipare attivamente”. Ti ascolteremo. La miglioreremo.

Queste le premesse, pochi mesi orsono.

Si sa, le migliori intenzioni possono generare i più grandi disastri.

Un’ora di sport al giorno? Un’ora di danza, nuoto, canto corale o teatro? Scuole completamente informatizzate? Computer o tablet a disposizione di tutti, insegnanti e alunni? Nuove materie pratiche affiancate a quelle più tradizionalmente teoriche? Ceramica? Lavaorazione della carta? Laboratori artigianali o creativi? Potenziamento dell’inglese? Possibilità di scegliere più lingue? Pomeriggi aggiuntivi per approfondimenti o attività alternative? Riformulazione del monteore o del curriculo scolastico, POF o quant’altro?

Se ti aspettavi tutto questo, rimarrai profondamente deluso.

Quello che si configurava inizialmente come un sondaggio universale per il miglioramento di sostanza, contenuti, metodologie e materiali della scuola si è rivelata una riforma che va solo minimamente a toccare il curricolo (il "cosa", il "come" o il "con che mezzo"), per accentrarsi sull’aspetto puramente economico-finanziario della questione, la modalità di assunzioni – ed esclusioni – degli insegnanti, senza rivedere il contratto, per aggirare, sostanzialmente, le sanzioni minacciate dall’Europa, per anni e anni di sfruttamento dei precari, e tagliare, ulteriormente, sulla scuola italiana, finora una scuola democratica, libera, accessibile a tutti, gratuita e uguale per tutti.

Non sarà più così. Con l’approvazione degli articoli di questo disegno di legge ci avviamo verso la fine della scuola costituzionale, democratica, libera e uguale per tutti, verso un modello di scuola-azienza, come già sta succedendo nella sanità. Basta pensare alla terminologia: gli ospedali sono diventati “aziende sanitarie”. Non si tratta solo di un cambio di ‘nome’, si tratta di un cambio di rotta, sempre più orientati verso la privatizzazione, e, di conseguenza, l’esclusione di chi, poi, alla lunga, non potrà permetterselo.

Le premesse, ben calcolate a tavolino e volute, erano già chiare dall’origine.

Il premier ha lasciato passare e contribuito a diffondere un chiaro, e svilente, messaggio: la scuola italiana va male, se va male è colpa di chi la fa, in prima linea degli insegnanti, quindi gli insegnanti, migliaia e migliaia di insegnati su tutto il territorio nazionale, sono completamente incompetenti. Inutile gli studi universitari che hanno seguito, inutili gli anni di esperienza maturati lavorando concretamente nelle scuole, inutili poi anche tutti i corsi postlaurea di specializzazione e formazione – a spese proprie (di media sui 3000 euro all’anno) e a frequenza obbligatoria – e gli aggiornamenti che hanno seguito di anno in anno. Gli insegnanti italiani sono tutti incompetenti. La scelta del primo ministro ha contribuito ancor di più a incrementare la percezione comune negativa dell’immagine sociale della professione "insegnante", con lo scopo di sviare l’attenzione comune dai veri problemi che attanagliano il nostro – un tempo – “Bel Paese”.

Ondate di profughi, rifugiati, naufragi, scafisti e terroristi, tragedie umanitarie, la guerra alle porte, al di là del mare. Immigrazione e integrazione. Disoccupazione alle stelle. Aumento dei suicidi per perdita di lavoro. Abbandono delle montagne e delle campagne. Famiglie sempre più disagiate. Anziani sempre più a rischio solitudine e povertà. Femminicidio, stupri e violenza crescenti. Inquinamento. Mafia. Corruzione. A Renzi sembra non interessare niente di tutto questo.

Il vero problema dell’Italia è “la scuola”, tradotto in altri termini: l’incompetenza degli insegnanti. Che siano poi plurilaureati, spesso multitasking, sottopagati rispetto al resto d’Europa e sfruttati per anni e anni di precariato senza nessun riconoscimento neppure sociale, chi se ne frega. La riforma della scuola salverà, magicamente, l’Italia dalla crisi, dal debito pubblico, dalla recesione. Salverà l’Italia.

In un delirio di onnipotenza, con fare plateale e teatrale, il premier beffeggia e scimmiotta gli insegnanti. Come un "mago della comunicazione" prende un gessetto, quasi una bacchetta magica, e tratteggia qualche – secondo lui – parola chiave su una vecchia, desueta lavagna nera: 1) alternanza scuola lavoro; 2) cultura umanista; 3) + soldi insegnanti; 4) autonomia; 5) continuità. E inonda le nostre case attraverso il web.

Per chi vive quotidianamente il mondo della scuola, non si sa se sia più grottesco, patetico o tragico. Basta lo sgradevole aspetto formale da lui scelto per fare inorridire.

E dopo che tutto il mondo della scuola si è ribellato, studenti, insegnanti, presidi e sindacati compresi, pressato dall’opinione pubblica, Renzi si degna di incontrare una piccola rappresentanza di studenti, insegnanti e sindacati. Li lascia parlare, ma, in realtà, non ascolta nessuno.

Non bastano le proteste di tutte le categorie coinvolte, le manifestazioni studentesche, gli scioperi di massa. Come un treno ad alta velocità, lui va avanti dritto, sparato, per la sua strada, portando il vessillo della “Buona Scuola”. Lui, il moschettiere della scuola italiana.

Quando, in realtà, la "vera scuola italiana", quella fatta di persone umane, con i loro pregi e i loro difetti, ma con una loro coscienza e l’impegno quotidiano che mettono in quello che fanno, non funziona poi così male, a guardarci dentro, entrandoci, senza soffermarsi alla superficie, alle dicerie, al "sentito dire", agli stereotipi.

La vera scuola italiana, quella di ogni giorno, fatta di quotidianità e di persone che quella quotidianità la vivono e non solo la osservano dall’esterno, è fatta di persone che cercano, con gli esigui mezzi e finanziamenti a disposizione, di dare il massimo. Di contribuire a creare cittadini critici, autonomi, attivi e responsabili, oltre che istruiti. Perché l’insegnamento non è solo trasmettere delle conoscenze con un libro o un computer o con o senza tablet, insegnare è educare, guidare, accompagnare nella crescita, è sviluppare delle competenze, è dialogare, far riflettere, è essere costantemente in relazione con qualcun altro, è confrontarsi, è mettere e mettersi costantemente in discussione.

Raggela l’intervento del premier a “Porta a porta”: “Vai a comprarti un libro o a vedere un concerto o una rappresentazione teatrale”, e poi “gli insegnanti devono accettare che è finito il tempo del 6 politico”. Sei politico per chi? Per i precari? Per chi ogni anno, fino a fine settembre, ha vissuto nell’incertezza della prossima chiamata, spesso con una famiglia da mantanere, e soldi da risparmiare per la prossima invenzione di un ministro, che ogni anno propone nuove modalità di assunzione, un concorso o un nuovo corso di abilitazione, a pagamento, chiaramente, e caro, e che poi si rivela completamente privo di valore l’anno dopo, con il prossimo ministro. E così via, all’infinito. Una vera presa per i fondelli per migliaia e migliaia di cittadini e insegnanti onesti e ligi al loro dovere e al loro compito educativo. Lascia di stucco anche la frase conclusiva: “L'Italia non sarà mai superpotenza della demografia, perché non facciamo tanti figli, non sarà mai superpotenza militare perché non siamo gli Stati Uniti, non sarà mai come la Cina a livello economico, ma possiamo essere una superpotenza a livello culturale, mettendo più soldi”. Incommentabile. Tutti i "cervelli" italiani, che possono e che riescono, fuggono all’estero. Non ci sono parole.

Un "buon insegnante" non può essere giudicato da una persona che non vive quell’ambito lavorativo, che non sa cosa vuol dire "insegnare", né tantomeno da una sola persona. Un buon insegnante in una classe può non esserlo in un’altra, e quindi fare tesoro dell’esperienza negativa per migliorare se stesso. L’insegnamento non è una formula magica uguale per tutti, coinvolge molte persone, persone nella fase più delicata, quella della crescita, persone diverse l’una dall’altra, e ogni classe, costituita da persone diverse, è, a sua volta, diversa. Insegnare è, quindi e per forza, costantemente mettersi in gioco, cambiare. Non è imparare il modo giusto di inserire un pezzo nell’ingranaggio di un meccanismo. Questo gli insegnanti lo sanno e lo applicano già. Non c’è bisogno di un demagogo, che mira ad attirarsi consensi facendo ricadere tutti i mali e le colpe su una singola categoria, per dire all’insegnante come deve essere o cosa deve fare per migliorarsi, data la premessa che sia, comunque, incompetente.

Rispetto certi stati il nostro modello di scuola è persino un modello invidiabile, un modello di libertà e di possibilità di fare ed essere informazione, cultura, educazione, dialogo e cittadinanza attiva vera. Solotanto prendendo in considerazione la regione Emilia-Romagna ci sia accorge di quanti insegnanti e studenti vengano ogni anno da altri stati per studiare i nostri modelli di scuola, dall’infanzia all’università, e apprendere da noi altre possibilità.

Nell’opinione pubblica il governo ha cercato di far passare il messaggio che gli insegnanti siano preoccupati di essere valutati. Non è la valutazione a spaventare gli insegnanti, no. È la modalità di questa valutazione. Sarà una singola persona a valutare l’operato dell’insegnante? A decretare la sua "competenza" e di conseguenza i "premi" o le "punizioni"? Come potrà una singola persona valutare obiettivamente il suo operato?

Ancor più preoccupante, sarà il dirigente a scelgere i propri collaboratori e i docenti per incarichi triennali, con tutte le conseguenze che ne possono derivare: dalla libertà di insegnamento, fortemente compromessa – chi si opporrà all’opinione del dirigente?, chi oserà esprimere la propria opinione – ai soliti meccanismi di clientelismo che permeano già il resto degli ambienti lavorativi, da nord a sud, indistintamente, e da cui, finora, la scuola sembrava esimersi. Preferenze, favoritismi, amicizie, legami famigliari, clientelismi, si apre la strada a tutte queste eventualità, anche nel mondo della scuola. I dirigenti sono esseri umani, che possono nutrire delle simpatie, delle preferenze soggettive, è naturale.

Inoltre, anche quando il dirigente fosse il più neutrale ed equo dei dirigenti, come farà, nel nostro tessuto economico e sociale, così fortemente impregnato dalla criminalità organizzata, dal nord al sud, dal calcio alla politica, dai trasporti agli appalti per i lavori pubblici, a non subire le pressioni di chi esercita il controllo sociale del territorio? Sarà veramente in grado di prendere le proprie decisioni liberamente? Sarà tutelato? Come dovrà comportarsi di fronte a un’azienda, o un’organizzazione, che offre il proprio appoggio o una determinata cifra e in cambio propone la candidatura di un proprio "favorito" o conoscente o l’indirizzo delle attività progettuali? Potrà rifiutarsi senza perdere la possibilità di avere finanziamenti aggiuntivi per la scuola? Sarà veramente libero? Non siamo un paese nordico ed equo, come può essere la Germania, o la Norvegia. Siamo l’Italia.

È giusto che la scuola pubblica venga amministrata come un’azienda? La scuola pubblica, la formazione, l’educazione può essere un’azienda, un’officina? A questo punto forse era meglio concepirla come una bottega d’impronta medievale. Invece, allo stato attuale, è la legge del mercato che detta la legge e l’evoluzione – o involuzione – della scuola pubblica italiana.

Ed ecco l’autonomia, l’estensione dello “school bonus” alle scuole paritarie, la possibilità per tutti di “contribuire al miglioramento della scuola”. Che fine faranno le scuole delle zone più svantaggiate, come i territori di montagna, dove non ci sono grandi aziende e industrie, rispetto le scuole, come quelle di città, che potranno contare su maggiori risorse esterne, provenienti da attività limitrofe che contribuiranno al loro finanziamento? Perché poi la riforma della scuola pubblica deve prevedere di aumentare anche i contributi alle scuole private? Siamo chiaramente in un’ottica orientata alla privatizzazione del finanziameno. Chi elargirà più risorse determinerà le priorità di spese. Aumenterà il divario delle condizioni delle scuole, la differenza tra scuole di città e scuole di campagna, nord e sud, scuole di serie A e scuole di serie B. Chi potrà frequenterà le scuole migliori, chi non potrà le peggiori. Neanche la scuola dell’obbligo sarà più uguale per tutti.

E, collegato a questo, l’alternanza scuola-lavoro, il famoso "apprendistato": chi potrà garantire che gli apprendisti non vengano poi solo sfruttati dalle aziende e che i contratti di apprendistato diventino davvero opportunità lavorative per gli studenti, trasformandosi in contratti effettivi? E non sia invece un modo per reclutare manodopera a basso, o nullo, costo?

Card di 500 euro per l’aggiornamento dei prof., detrazione delle rette per la frequenza delle scuole paritarie (per un massimo di 400 euro all’anno per studente), costituzione di un fondo unico per l’edilizia scolastica. “Siamo il governo che più di tutti ha messo soldi sulla scuola”, dice ancora Renzi. E intanto, tra finanziare e def, non parla dei 450 milioni sottratti alla scuola.

Infine le assunzioni. Neanche le circa 100.000 assunzioni garantite dal governo sono bastate a bloccare le proteste. Questo perché dalle assunzioni restano esclusi migliaia di insegnanti, di ogni provenienza ed età, che finora hanno vissuto di supplenze, più o meno lunghe. E ora via le supplenze lunghe. Con un semplice colpo di spugna vengono cancellati migliaia di docenti precari, che di supplenze hanno vissuto per anni, sfruttati dal Ministero, per coprire posti vacanti e disponibili.

Insegnanti esclusi dalle graduatorie ad esaurimento (GaE), perché chiuse e impenetrabili da anni. Insegnati inseriti nelle graduatorie d’istituto (GI), in terza o seconda fascia, che hanno dedicato gli ultimi 6, 10, 15 anni all’insegnamento. Insegnanti che negli ultimi 3 anni hanno affrontato prove durissime di selezione per potersi iscrivere a corsi di abilitazione, i TFA. Altri che, dati gli anni di continuità lavorativa, hanno potuto intraprendere i percorsi di abilitazione ad accesso libero, i PAS. Entrambi – a frequenza obbligatoria e a pagamento –, creati dal precedente ministro per sostituire le vecchie SISS, sulla base del contingente effettivo dei posti disponibili, in funzione delle future ammissioni in ruolo. Doppia ingiustizia e prese in giro per tutti coloro che si sono abilitati con questi percorsi.

Hanno portato migliaia e migliaia di euro nelle casse dello stato. Tempo, energie e soldi sprecati invano, perché il valore di quei percorsi (molti attualmente in corso) è completamente vanificato, annullato. A cosa è servito abilitarsi per gli abilitati? Il loro titolo non serve, effettivamente, a niente. “L'errore compiuto dal legislatore di allora (cioè la Gelmini) di cui gli abilitati sono incolpevoli, è che al titolo abilitativo non è stato attribuito un valore concorsuale. Proporlo ora, come fa la Gelmini, è strumentale”, ha commentato l’on. Ghizzoni.

Approvato anche l'articolo 14 del Ddl scuola. Si pone un limite ai contratti dei docenti e del personale Ata per la copertura dei posti vacanti e disponibili: questi non potranno superare i 36 mesi. Una norma retroattiva, non per questo meno pericolosa, meno anticostituzionale.

Migliaia di insegnanti, dall’entrata in vigore della riforma, raggiunti i 36 mesi di supplenza, non potranno più essere assunti per supplenze. Come a dire, "Hai esperienza? Sei abilitato? Peggio per te! Non puoi più lavorare nel tuo campo. Sei escluso, sei eliminato". Cosa faranno persone che hanno dedicato tutti o gli ultimi hanno della propria vita allo studio e all’insegnamento? Tra i precari ci sono anche persone di 40, 50 anni, rimasti in condizioni di precariato per anni e anni. Come potranno reinventarsi e candidarsi per altre professioni? E, soprattutto, chi assumerà un cinquantenne che non ha alcuna esperienza al di fuori del mondo della scuola?

Questo pare il punto più discriminante e anticostituzionale in assoluto di tutta la riforma. Negare a persone che hanno maturato esperienza, e/o che si sono abilitate, la possibilità di lavorare nel campo in cui hanno investito soldi, impegno, dedizione, tempo – anni – ed energie.

La "vera" scuola italiana – fino a ieri – era fatta da studenti, docenti e dirigenti, che lavoravano insieme, collaborando, consultandosi e confrontandosi, per uno scopo comune, in un clima di completa cooperazione. La “Buona Scuola” di Renzi, configurandosi come scuola-azienda, apre le porte alla competitività.

E chi è stato incaricato di disegnare la riforma? Docenti, studenti, dirigenti, sindacati? No, di certo. Nemmeno una piccola rappresentanza. Si parla tanto di "competenze degli insegnanti", ma chi ha sondato le reali "competenze" di chi ha proposto questo immenso cambiamento?

Quello che sconcerta è che quella che non doveva essere una riforma della scuola e invece è la più grande riforma della scuola degli ultimi trent’anni? Un cambiamento davvero epocale.

Una riforma però fatta su presupposti sbagliati. Fatta passare nell’opinione pubblica come necessaria per arginare l’incompetenza degli insegnanti. Quando i veri incompetenti, spesso privi di titoli e addirittura privi di laurea, risiedono proprio ai vertici, in Parlamento. Chi valuta le loro competenze? Chi li controlla? Chi li esamina? Chi si accerta della loro formazione continuativa? Loro sono gli "intoccabili". Una piccola oligarchia che detiene tutti i diritti, nessun dovere. Sempre scaglionati. Tagliano gli stipendi a tutti, ma non i loro. Riformano le pensioni di tutti, ma non le loro. Si arrogano il diritto di giudicare chi è competente e chi no sui più vasti ambiti lavorativi, ma non sono giudicati da nessuno. Ultimamente non vengono neanche più eletti.

Siamo al terzo presidente del consiglio non eletto. E il non-eletto, momentaneo premier si arroga il diritto di portare avanti la più grande riforma della scuola, facendocela passare come l’atto imprescindibile e risolutivo di ogni problematica sociale ed economica del nostro paese.

Quello che sconcerta è che in molti avevano creduto in lui. Per il fatto di essere relativamente un volto nuovo e giovane della politica, con addirittura una moglie insegnante. Peggio non poteva capitare.

Con una serie di articoli acostituzionali, un premier non eletto dal popolo sta decidendo per tutti.

Questo è un attacco alla libertà di insegnamento e di pensiero, al diritto del lavoro, è il primo attacco alla nostra Costituzione, alla democrazia. Siamo alla fine della nostra cara, vecchia e malata democrazia. Stiamo tornando, ignari e accondiscendenti, a uno stato di dittatura non dichiarata, camuffata da democrazia. La dittatura degli interessi economici che schiacciano, indifferentemente, tutto.

Sembra poi una strana coincidenza, poco credibile, che la riforma della scuola passa alla Camera e improvvisamente, o quasi magicamente, mentre fino a ieri andava tutto male, ora ai telegiornali si parla di "fine della recessione" e di "crescita" in generale, quasi come a voler convincerci che il governo va nella "direzione giusta".

Riforma della scuola. C’è ben altro, in questo stato, da dover cambiare dalle radici e da "reificare", da salvare. C’è, in primis, la politica attuale, fatta di politici che una volta raggiunta la poltrona non l’abbandonano più, stipendi parlamentari esagerati, vitalizi spropositati, baby-pensionati d’oro con indennità parlamentari che si aggirano sui 5000 euro al mese, e poi agevolazioni, sconti, convenzioni, privilegi su ogni fronte, dai trasporti, ai negozi, agli appartamenti. Politici che ostentano solo privilegi, nessun dovere, nessuna remora morale davanti alle restrizioni e difficoltà del resto del popolo.

Se avesse voluto dimostrarsi veramente una figura politica nuova, il ministro del consiglio sarebbe dovuto partire con un bel sondaggio online – e relativa riforma, ormai necessaria – su “La Buona Politica”, anziché partire da “La Buona Scuola”.

Con domande del tipo: “Quanti degli attuali parlamentari terresti?”, “Quali competenze deve avere un parlamentare?”, “E in generale un politico?”, “Quali corsi di formazione deve fare?”, “Quanto deve percepire come tetto massimo?”, “Quanto deve restare in carica?”, “Deve recepire un vitalizio?”, “Cosa deve fare per migliorare?”, ecc. ecc.

Porsi, in primis, queste domande, e poi risolvere le questioni sociali ed economiche più impellenti, avrebbe, forse, fatto di lui davvero l’uomo nuovo della politica, il "risolutore", o "salvatore", di tante criticità del nostro – un tempo – “Bel Paese”.

7 COMMENTS

  1. Solo da aggiungere: abbiamo tutti i media contro, i giornali e relativi giornalisti, i telegiornali compatti, i talk- show, perfino la radio. Non ce la possiamo fare. Solo chi ha lavorato e lavora nella scuola può comprendere.

    (Un insegnante)

    • Firma - Un insegnante
  2. In Italia le riforme non devono essere fatte. Siamo un popolo benestante e se qualcuno prova a disturbarci dobbiamo reagire, protestare. La crisi c’è ma non ci riguarda, è un problema degli altri. Ai nostri giovani non interessa niente, l’importante è non disturbarli, se hanno il lavoro bene, altrimenti meglio così, tanto ci sono i genitori o i nonni. Questa è una fotografia del nostro paese (o, meglio, di come alcuni lo vorrebbero). Renzi cerca di cambiarlo, di migliorarlo ma tutti gli danno contro (tutti coloro che non capiscono).

    (R.G.)

    • Firma - R.G.
  3. Renzi cerca di migliorare il Paese? Renzi cerca di far vedere che il Governo fa qualcosa, facendo il peggio che potesse fare, cioè far annegare anche la scuola pubblica costituzionale italiana nel disastroso mare dell’interesse economico, della privatizzazione e competizione e della mancanza di diritti costituzionali! Intanto la EU ha bocciato la norma sull’IVA con il rischio di un buco da 700 milioni e Renzi dice: “Sono molto tranquillo… stiamo ragionando dove prenderli”. Perché non li prende dagli evasori fiscali? Perché no si abbassa lo stipendio? Perché non elimina i privilegi dei parlamentari? Lui vuole migliorare cosa? Le sue finanze, indebolendo ancor di più il popolo italiano. Oggi i telegiornali hanno trasmesso anche le sue ultime, eloquenti parole: “Mi piacerebbe arrivare un giorno al sindacato unico”. Inequivocabile. Dice tutto. E dice tutto anche la risposta della Camusso: “Il sindacato unico è una concezione che esiste solo nei regimi totalitari”. Se avesse parlato o agito così Berlusconi sarebbe stato linciato. Invece lui si permette di tutto. Siamo già in un regime totalitario, dove a comandare sono gli interessi bancari, mentre la classe media, un tempo la maggior parte degli italiani, si assottiglia sempre più e, proporzionalmente, aumenta sempre più il divario tra ricchissimi e poveri, sempre più poveri. E’ ora di smascherarlo e rimandarlo a casa!

    (G.S.)

    • Firma - g.s.
  4. Le riforme. Le “riforme strutturali”, per la precisione. Le “riforme strutturali” sono un eufemismo sotto il quale si nasconde la demolizione dei diritti e delle tutele dello stato sociale. In piena crisi finanziaria, qualche anno fa, la famosa Jp Morgan, storica società finanziaria (con banca inclusa) statunitense, ha scritto nero su bianco quella che sembra essere la ricetta del grande capitale finanziario per gli stati dell’Eurozona. Il suo consiglio ai governi nazionali d’Europa per sopravvivere alla crisi del debito era: liberatevi al più presto delle vostre costituzioni antifasciste. Le costituzioni “socialiste” prevedono troppi diritti per i lavoratori e lasciano troppi margini di protesta ai cittadini. Oggi, Ainis, sul Corriere, scrive che “in questi tempi di crisi, anche la vecchia separazione dei poteri è diventata un lusso”. La “crisi” economica sta diventando una crisi di democrazia. La “riforma” della scuola non è che un tassello delle “riforme strutturali”: lavoro, pensioni, stato sociale. In arrivo, la sanità (la chiusura di Ostetricia al Sant’Anna, per esempio). Diventa precario anche l’insegnante a tempo indeterminato (attraverso il meccanismo dell’albo regionale e la chiamata del Preside); la precarizzazione serve a ricattare i lavoratori e quindi abbassare i salari. Abbassare i salari è il solo modo di rendere concorrenziale il Paese in un contesto di moneta unica (l’Euro). Questo è il quadro di riferimento “strutturale”. Gli slogan – valutazione! merito! – sono propaganda. La realtà è che l’Italia è l’unico paese europeo in cui gli investimenti sul sistema di istruzione sono calati, rispetto al 2005. L’Italia ha smesso di investire sull’Istruzione (in termini di percentuale sul PIL) dal 1992, con governi di sinistra, mica di destra (ricordate il “prelievo” sui conti correnti?). Quando avremo finito di fare le urgentissime “riforme strutturali” l’Italia sarà una provincia sottosviluppata della Germania. Ma, del resto, queste scelte “ce le impone la crisi”!

    (Commento firmato)

    • Firma - commento firmato
  5. Mi scusi “R.G.”, intanto mi sorge un dubbio: il contributo della signora Sciaboni che ha commentato (dettagliato, forse un po’ lungo ma..) lo ha letto? Si può non essere d’accordo su alcuni aspetti ma non concludere che il popolo non capisce gli sforzi del nostro Renzi! Mercoledì si è compiuto un grave attacco alla Scuola pubblica, al mondo dell’educazione inclusiva, alla scuola “di tutti e di ciascuno”. Ebbene, è giusto poter non essere d’accordo su alcuni passaggi, ma è sacrosanto dovere, soprattutto per chi nella scuola opera e si spende ogni giorno, sottolineare i pasticci che si stanno attuando: “Nulla è più terribile di un’ignoranza attiva” diceva Goethe. La invito a riflettere e a leggere nel dettaglio il DDL!

    (Gemma Spadacini)

    • Firma - Gemma Spadacini
  6. “Un “regime occulto” che ha investito anni e anni di energie e menzogne, per arrivare finalmente e subdolamente al “potere” (il vero potere appartiene a chi sa e conosce: “Padre perdona loro perchè non sanno quello che fanno!”) dopo aver demolito, tra le altre realtà, l’ente preposto alla creazione e formazione di menti libere, consapevoli e critiche deve ora porre mano ad una “riforma” che dia vita ad un “ente” preposto alla “creazione e formazione” di menti limitate, inconsapevoli e acritiche. Più potere dunque ai quadri di regime! Rassegnatevi e sperate nel Vico!” “Vir bonus dicendi peritus” (Quintiliano)

    (Quintiliano)

    • Firma - Quintiliano