Home Economia Quale futuro per i contadini e per il (bel) Paese?

Quale futuro per i contadini e per il (bel) Paese?

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LocandinaLatte_05dic2015

La domanda è impellente, per tutti i reggiani.

Finita l’epoca dello sviluppo con il consumo di risorse illimitato (così abbiamo fatto), ci stiamo misurando con gli sgoccioli.

La Conferenza mondiale sul clima si svolge a Parigi e il luogo riassume in modo drammatico la necessità di compiere due svolte.

Il balzo compiuto in tre generazioni nell’impiego dell’energia fossile ha effetti inesorabili sui rapporti tra il pianeta e il sole, con l’aumento della temperatura, il disgelo, l’innalzamento del livello del mare e tante ripercussioni con danni sulla vita.

Dunque, si torna a discutere su impegni e tempi lunghi per cambiare i processi produttivi e i consumi, in modo da bruciare meno idrocarburi e ridurre le emissioni di anidride carbonica.

Più difficile da risolvere lo squilibrio tra società nel nord del mondo che col benessere diffuso hanno raggiunto le condizioni per la democrazia, e quelle di altri mondi che sotto hanno i giacimenti e sopra hanno rafforzato i regimi feudali, tribali o militari. Ricchezza prodotta nelle aree sviluppate è fluita sulle aree dei giacimenti rompendo le fragili economie locali e allontanando ancora di più dal potere il popolo delle donne e dei lavoratori con le mani. Ora alimenta e arma la guerra mondiale a pezzi (la definizione di Papa Francesco).

Cosa c’entra questo sommario riferimento alla globalizzazione col quadro nostrano?

La provincia reggiana è un emblema della capacità di distruggere risorse faticosamente accumulate e della cecità di fronte al cambiamento epocale.

Come nel caso del Concordia la cabina di comando rivolge appelli tranquillizzanti, qui inneggia all’Expo, al "calatravismo" e pretende l’ottimismo mentre affondano il sistema del primario, i quartieri industriali, la Fiera e altri preziosi centri di servizio per l’innovazione e il territorio.

La verità è che le uniche risorse reggiane sono la capacità di produrre con il primario e il manifatturiero, entrambi sorretti fino al passato recente dalle famiglie contadine. Loro sono nuovamente indispensabili per affrontare il cambiamento epocale, ma rischiano di non esserci mai più per colpa dei capitani della nave e a causa della collettività impaniata sullo schermo e nella rete.

La nostra provincia è prima in norditalia per il rapido e ingiustificato consumo di terreno agricolo ricavato da migliaia di anni di fatiche e non s’accorge che sta per essere dispersa la tradizione alimentare riconosciuta nel mondo col marchio del Parmigiano Reggiano.

Il sistema foraggio-formaggio è stato rinforzato passo dopo passo dalla popolazione rurale per rimediare alla fame che ha colpito tutta la provincia dopo l’Unità, poi la popolazione urbana è stata attirata da pulsioni nazionaliste, speculazioni edilizie e illusioni variopinte. Ora metà della superficie reggiana a foraggere è sparita, molta per sempre, forse si può recuperare un po’ di abbandono in Appennino.

Le riforme escludono gli ultimi custodi del territorio dalle decisioni per la collettività. La Denominazione di Origine Protetta viene violata con il mangime di altra origine al posto dell’erba. Il commercio, la promozione e la distribuzione di alimenti sfruttano il Parmigiano Reggiano come ingrediente, speculano sul prezzo e abbassano il valore nutriente.

Di tutto questo si discute sabato 5 dicembre, mattina e pomeriggio, presso l’Istituto Cervi a Gattatico, grazie all’iniziativa di Nicola Filippini, il giovane contadino-laureato che stando a Bruxelles ha collegato organizzazioni europee, italiane, reggiane. L’incontro consente a tutti di conoscere i cambiamenti decisi per il latte dall’UE, dai governi e riflettere sulle soluzioni per salvare le aziende che utilizzano il sole, unica fonte di energia rinnovabile. Reggono l’intera società e questa resta a galla se si cura della sua imbarcazione.

(Enrico Bussi, associazione "Rurali reggiani")

1 COMMENT

  1. Caro Enrico, condivido il tuo punto di vista. Il Parmigiano Reggiano, nella sua crisi, si è tirato dietro l’intero settore catalizzando anche l’uscita di scena dei giovani ed uccidendo il ricambio generazionale. Aggiungiamo anche una PAC sotto certi punti di vista incomprensibile, che considera un 40enne non abile ad entrare in agricoltura. Un mix micidiale.

    (Sincero)

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