Home Società Tra zooeconomia e fede

Tra zooeconomia e fede

12
0

Fu proprio l’Associazione stampa reggiana "G. Bedeschi", 15 anni dopo, a consentirmi di incontrare nuovamente il professor Zucchi. Quel giorno, a lezione, la sua lezioni, tra colleghi e filari di vite, Giulio, Giulio Zucchi, mi riconobbe subito “Ma io e lei ci conosciamo… Lei è Aleotti, Arlotti…” “Certo professore, sono io e con grande piacere oggi la rivedo. Quanto tempo…”. Era stato mio relatore di laurea a Coviolo, sede distaccata dell’Università di Bologna: mai e poi mai avevamo smesso di darci del lei. Non avrei immaginato che quel corso di aggiornamento – e che corso – sarebbe stato il nostro saluto di commiato. Ma c’era piacere, del rivedersi, voglia reciproca di sapere l’uno dell’altro. La pensione, la vedovanza, i nuovi impegni, il mio dopo tesi (una tesi su Appennino e vacche rosse, certo), il desiderio di parlare e confrontarsi sull’economia, il ricordo del mio correlatore – Emiro Endrighi, “è molto che non lo vedo, come sta?” - . Un incontro imprevisto, una esperienza e un piacere di rara intensità, forse come quel sole marzolino che si insinuava tra i primi germogli della Rampata, l’azienda agricola che ci ospitava.

“Ho questo fastidioso male al ginocchio, fatico molto a camminare e stare in piedi”, mi aveva spiegato, non consapevole del male che in meno di un anno lo avrebbe rapito. Con fare di bene, invece, lo aveva rapito Alessandra, la collega che lo aveva invitato come relatore per noi giornalisti. Desiderosa, anche, di poterlo accompagnare alla stazione: suo tramite si era avviata al mondo dell’informazione scientifica. Lo stesso cui Giulio Zucchi mi aveva introdotto non sapendo, forse, che per entrambi sarebbe divenuto un mestiere. Ma sapeva cogliere. Come alle lezioni di economia, con quel piacere di argomentare, di mettersi in gioco, di essere contraddetto, proprio come ai tempi delle lezioni Universitarie. Erano lezioni di zooeconomia – materia da lui inventata e che oggi è oggetto di insegnamento su scala nazionale –: Giulio esponeva la sua tesi e, io più sfrontato di altri, lo contraddicevo. Con domande ora curiose di saperne di più, a volte strampalate, ora irriverenti ma… sempre puntualmente soddisfatte. Ecco perché lo scelsi come relatore e lui, gentilmente, scelse me. A lui – che all’epoca non usava i pc – il merito, prima ancora, di chiamarci a raccolta – eravamo un piccolo gruppo di studenti di Scienze della produzione animale – per raccomandarci di investire alcuni milioni di lire e comprare i primi Pc con sistema operativo Windows. Anzi, ci fece anche fare un corso. Era il 1994 e, il pc, da allora ha segnato anche la mia professione.

Nel 2016, a Bologna, la Chiesa di Sant’Eugenio, a lato dei portici che salgono faticosamente al Santuario di San Luca, si presenta come una chiesa moderna, con violente colate di cemento armato, altezze e inclinazioni vertiginose, ma anche come un luogo di culto mitigato dal bianco e dalla sobrietà degli arredamenti. Solo il Cristo spicca in mezzo a questo contrasto modernista. Chiara, Marco, Piero, Alfonso, Paolo… tra i fedeli ritrovo il manipolo di ricercatori e insegnanti di 20 anni fa, qualche capello grigio in più, il piacere di rinvenire uniti nel giorno del funerale. Proprio quando la bara, nella navata, appare vuota e il professor Giulio Zucchi lo ritrovo nelle parole di due persone. Quelle della nuora Lorenza, moglie del figlio Claudio, e del parroco don Mirko Corsini.

Giulio Zucchi
Giulio Zucchi

“Vede Arlotti – mi disse il professore una volta incalzato da una domanda che esulava dal rapporto universitario – io crederò in Dio quando lei me lo presenterà. E potrò conoscerlo di persona. O me ne darà la prova scientifica”. Una fede alla San Tommaso. “Da quando era rimasto vedovo, nel 2005, discutevamo spesso di fede – ci dirà la nuora Lorenza – e a tavola, essendo due caratteri forti, talvolta arrivavamo ad alzare il tono dell’argomentare! Io religiosa, lui su posizioni laiciste. Poi… qualche giorno fa la scoperta di uno dei tanti foglietti sui quali scriveva appunti. Con alcune considerazioni personali. Una tra queste: ‘Ma il tempo è Dio?’ firmato Giulio Zucchi”. “Era una persona alla ricerca che si faceva domande, a differenza degli stolti” dirà il parroco don Mirko nell'omelia, che, anche per questo, gli darà l’estrema unzione il giorno prima della morte. Ora il tempo è quello dell’insegnamento di un’economia più giusta dal cielo. Di quelle che sarebbero piaciute a lui. (G.A.)