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“A lezione di Costituzione”: seconda video-lezione

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Ecco il nuovo video del progetto “A lezione di Costituzione” a cura di Giuliana Sciaboni.

Protagonista di questa puntata è Secondo Marciani, di 92 anni.

Cliccando qui troverete la raccolta di "A lezione di Costituzione"

 

11 COMMENTS

  1. Le migliori parole a difesa della Costituzione le ha proferite il ministro Graziano Delrio nel 2006 a Reggio Emilia quando rivestiva la carica di primo cittadino. “La Costituzione è il patto su cui si basa la convivenza della nostra nazione. La Costituzione è moderna, non va cambiata ma difesa”. Non posso che ricordare e condividere queste lucide riflessioni.

    (Massimiliano Genitoni, M5S Castelnovo ne’ Monti))

    • Firma - GenitoniMassimiliano(M5SCastelnovone'Monti)
  2. Se non sbaglio il 2006 era l’anno in cui si tenne il referendum sulla riforma costituzionale predisposta allora dal centrodestra; riforma che non superò quella prova elettorale e contro la quale si schierarono all’epoca forze politiche e personalità che oggi sembrano invece aver cambiato idea, giacché sostengono che senza riforma ci aspetterebbero tempi abbastanza difficili (da quanto posso capirne, non mi pare una posizione molto coerente, ma tant’è!).

    (P.B.)

    • Firma - P.B.
  3. Tra le tante bufale del variegato fronte del “no” sfatiamo anche il mito che questa riforma è uguale a quella di Berlusconi, questi sono i poteri del premier previsti nelle due riforme, non vedete alcune piccole differenze? Riforma 2006: aumentano i poteri del “primo ministro”, che può licenziare i ministri, dirigere la loro politica (e non più soltanto coordinarla), sciogliere direttamente la Camera. Di fronte a questa decisione, i deputati della maggioranza hanno la facoltà di indicare un nuovo premier. Se invece la Camera vota una mozione di sfiducia contro il primo ministro, è previsto lo scioglimento automatico dell’assemblea. La sua di fatto è un’elezione diretta (anche se il suo nome non è stampato sulla scheda). Sulla base dei risultati delle elezioni il Presidente della Repubblica nomina primo ministro il leader della coalizione vincente. Per insediarsi non ha bisogno della fiducia della Camera. Riforma 2016: non vengono modificati i poteri del presidente del Consiglio.

    (Francesco Benassi, comitato “Basta un sì” – Baiso)

    • Firma - Francesco Benassi - Comitato Basta un SI - Baiso
  4. Con l’Italicum il partito che vince al ballottaggio, con base elettorale stimata intorno al 17 per cento degli aventi diritto (dati degli ultimi ballottaggi per le elezioni dei sindaci) diventa il dominus assoluto ed il capo di quel partito… già lo immaginiamo. Solo modalità diverse, il risultato è uguale. Difendiamo la Costituzione nata dalla Resistenza al fascismo e sicuramente non sbagliamo.

    (Luigi Bizzarri)

    • Firma - luigibizzarri
  5. C’è un aspetto pressoché ignorato nel dibattito, ma ben presente in chi ha proposto la riforma, tanto che lo si ritrova nella relazione di accompagnamento al disegno di legge: “l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie”. In parole povere, attraverso la modifica degli artt. 55 e 70, la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea diviene un contenuto super-tipizzato e dunque, potere-dovere immancabile, della più importante funzione sovrana dello Stato (quella legislativa): ergo, la sovranità italiana diventa, per esplicito precetto costituzionale, vincolata, per sempre, ad autolimitarsi attraverso l’adesione alla stessa UE che, per logica implicazione, diviene un obbligo costituzionalizzato. Questo significa che perderemo definitivamente ogni forma di sovranità politica ed economica, a favore di organismi non eletti e senza controlli democratici, quali sono la Commissione Europea e la BCE. Del resto, il lavoro legislativo degli ultimi anni (da Monti in avanti, con assoluta continuità di intenti) è stato funzionale al raggiungimento degli obbiettivi comunicati al governo (allora c’era Berlusconi) con la famosa “lettera” della BCE del 2011. La Costituzione vigente – non a caso osteggiata da J.P. Morgan, cioè le banche d’affari – è basata sul diritto al lavoro, cioè sulla massima occupazione come base per l’esercizio dei diritti fondamentali. Se, invece, ci piacciono le privatizzazioni, l’austerità, il taglio dei salari, dei servizi pubblici e delle pensioni, per essere concorrenziali, cioè favorire il capitale a spese del lavoro, allora possiamo tranquillamente abbandonare la Costituzione vecchia per la nuova. Storicamente, sono tutte politiche di destra; strano, che ad attuarle sia la cosiddetta sinistra. Poi, non lamentiamoci: le politiche di destra, anche se le fa la “sinistra”, alla lunga (cioè quando avremo il portafoglio vuoto e ci sarà la lotta tra poveri) favoriscono la destra. I segnali ci sono già tutti.

    (Giorgio Bertani)

    • Firma - GiorgioBertani
  6. Lasciando stare le tesi complottistiche che tanto piacciono a chi vota “no”, le assicuro che la nuova riforma costituzionale non è stata scritta da J.P. Morgan, ma da deputati e senatori secondo le regole dell’attuale Costituzione, invece le faccio notare che il colpevole dei cataclismi reali o immaginari da lei indicati è molto più italiano e si chiama debito pubblico, che a Costituzione vigente ha raggiunto il 130% del pil ipotecando il futuro di tutti noi.

    (Francesco Benassi, comitato “Basta un sì” – Baiso)

    • Firma - Francesco Benassi - Comitato Basta un SI - Baiso
    • Tacciare di “complottista” o “populista” o altre variegate definizioni di solito serve ad evitare di rispondere sul merito. Non ho detto che J.P. Morgan “ha scritto”, ho detto che ha “osteggiato” la vigente Costituzione. L’articolo relativo si trova in rete, in originale o in traduzione italiana. E’ un fatto, non una opinione. I cataclismi di cui ho parlato, purtroppo, non sono immaginari: sono reali e già in atto, a partire dal 2011 (governo Monti) e successive “riforme” (vedi Jobs Act). Questo referendum è, di fatto, un referendum sulla BCE e sulle politiche da esse suggerite, che vanno contro gli interessi di questo Paese che, faccio notare, è in recessione appunto dal 2011, unico in Europa assieme alla Greca, anch’essa oggetto delle carezzevoli politiche della BCE. Il problema dell’Italia non è il debito pubblico – questo lo dicono, oggi, anche le istituzioni europee – ma il debito privato (la crisi bancaria non suggerisce nulla, al proposito?) dovuto all’impatto negativo dell’Euro (un cambio fisso sopravvalutato) sulla nostra economia manifatturiera. Quanto al 130% del pil, faccio notare che è un rapporto. Se il pil crescesse (cosa che non può accadere con l’Euro, a meno di non ridurre i salari a valori bulgari), il rapporto calerebbe. Tra l’altro, faccio notare che il rapporto è peggiorato dopo le scelte di politica economica di Monti, che ha fatto calare il pil riportando l’Italia in recessione (basta osservare uno qualunque dei grafici disponibili sulla rete). Del resto, lo spread era salito proprio per via del debito privato, ovvero a causa della bilancia dei pagamenti con la Germania, fortemente negativa (eh, già: per noi l’Euro corrisponde ad una Lira sopravvalutata, quindi favorevole a comprare dall’estero; purtroppo non è utile a vendere altrettanto bene, e quindi compriamo a debito, da qui la salita dello spread). Ma, tranquilli, è solo complottismo.

      (Giorgio Bertani)

      • Firma - Giorgio Bertani
    • Tra l’altro, giusto per rispondere nel merito alla questione “debito pubblico”, faccio presente che il debito pubblico italiano ha iniziato a salire negli anni ’80, dopo il cosiddetto “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia; ovvero, quando la Banca d’Italia, diventata autonoma dal governo, ha smesso di finanziare la spesa pubblica emettendo moneta. A quel punto la spesa pubblica è stata finanziata reperendo soldi sul mercato privato, a caro prezzo, facendo salire la spesa per interessi. Ricordo che l’Italia, praticamente unica nel panorama europeo, ha da anni un consistente avanzo primario (cioè incassa di tasse più di quanto spende) al netto della spesa per interessi (che è quella che fa salire il debito pubblico). Incassare più di quanto si spende vuol dire austerità. Prima del “divorzio” la spesa pubblica veniva finanziata a tassi reali addirittura negativi. Inoltre, avendo scelto di entrare nello SME (il nonno dell’Euro), l’Italia doveva sostenere il valore della valuta per rimanere nella banda di oscillazione, anche in questo caso facendo salire la pesa per interessi. Oggi la banca autonoma è la BCE e, per l’Italia, il problema è sempre il medesimo. Il problema del debito pubblico non è il suo valore assoluto, ma la sua percentuale sul pil; questa si riduce aumentando il pil, cioè con la crescita economica. All’interno dell’Euro l’Italia può crescere solo tagliando i salari. Ma in questo caso crescerebbero solo le esportazioni e, con salari bassi, crollerebbe ulteriormente la domanda interna, facendo chiudere tutte le attività non basate sull’esportazione. Chi ci guadagna, in questo caso, mi sembra chiaro: il capitale, a spese del lavoro; cioè, aumentano le disuguaglianze sociali. Dove portano le disuguaglianze sociali mi sembra altrettanto chiaro. D’altra parte questa è l’economia di mercato fortemente competitiva, prendendo la definizione del trattato di Maastricht. Questo referendum è, di fatto, un referendum sulla BCE.

      (Giorgio Bertani)

      • Firma - Giorgio Bertani
  7. Innanzitutto, nel mio precedente commento ho richiamato la riforma costituzionale del centro-destra per significare che più d’uno di coloro che adesso considerano quella attuale ineludibile, pena il frenare lo sviluppo del Paese, era all’epoca di opinione ben diversa, per non dire opposta (il che mi suona francamente un po’ contraddittorio). Non mi sembra poi di aver detto, e neppure sottinteso, che le due riforme, ossia quella di oggi e quella di allora, sono uguali, e quindi nessuna “bufala” da parte mia, almeno io credo. So bene che la riforma costituzionale di dieci anni fa prevedeva il cosiddetto “premierato forte”, con determinate prerogative in capo al Primo Ministro che avevano lo scopo di favorire la governabilità, e vi erano pure incluse misure “antiribaltone”, si proponeva cioè due obiettivi che mi paiono abbastanza sentiti e condivisibili (anche se quella revisione costituzionale non superò la prova referendaria del 2006).

    (P.B.)

    • Firma - P.B.
  8. No, la riforma non è stata scritta da J.P. Morgan, ma da senatori e deputati eletti secondo una legge elettorale che, secondo le motivazioni delle Consulta che quella legge ha bocciato, può produrre: “una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica”. Certo, questo parlamento è legittimo, perché la sentenza non è retroattiva, infatti, la stessa Consulta puntualizza: “Il principio fondamentale della continuità dello Stato non è un’astrazione”. La domanda allora è un’altra: a ‘sta gente, deputati e senatori, prodotto di una grave alterazione della rappresentanza democratica, lasciamo riformare una Costituzione?

    (mv)

    • Firma - mv
  9. Archiviate le inesistenti “bufale” dei sostenitori del “no” – mi conceda questa espressione il rappresentante del comitato “Basta un sì” di Baiso – non mi sembra neppure che pullulino le “tesi complottistiche”, sempre con riferimento alle fila dei simpatizzanti per il “no”. Oggettivamente, se stiamo a quanto ci è dato di leggere ed ascoltare, direi che lo “spettro” che viene più spesso agitato è semmai di segno opposto, ossia quello che attribuisce all’eventuale successo dei “no” una molteplicità di imprevisti o “incidenti di percorso”, dalla instabilità politica, al “precipitare” delle borse e al “subbuglio” dei mercati, fino ai timori per la tenuta del sistema bancario. C’è chi vede in tali “suggestioni” il proposito di “cavalcare la paura”, da parte di chi le alimenta, ma al di là della terminologia, e dei punti di vista, suona comunque abbastanza strano che tutte queste varie e diverse “fibrillazioni” non siano state evocate prima del referendum 2006, nel caso avessero per l’appunto prevalso i “no”. Ed in effetti così avvenne, anche con una percentuale piuttosto alta a favore dei “no”, senza che allora sia capitato alcunché di “rovinoso”, e non si vede perché mai non possa essere altrettanto anche adesso, qualora l’esito delle urne ripetesse quello di dieci anni fa. A meno che tra i fautori del “sì” vi sia chi immagina che intorno al “sì” possa prendere forma il cosiddetto Partito della Nazione – sto ovviamente esprimendo una semplice ed opinabile ipotesi – perché se così fosse l’appuntamento del 4 dicembre assumerebbe un altro significato, si configurerebbe cioè come un confronto di natura essenzialmente politica, assumendone di riflesso i toni e la competitività.

    (P.B.)

    • Firma - P.B.