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Corrado Tagliati, cinquant’anni di passione per l’Arte

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(Locandina de “Il paesaggio ritrovato”. Foto C. Casoli)

A poche ore dal termine della mostra personale di Corrado Tagliati “Il paesaggio ritrovato - dipinti e disegni 1962 - 2016” incontro l’autore delle numerose opere esposte al Palazzo Ducale di Castelnovo ne’ Monti, che mi concede un’intervista in esclusiva.

D. A quale età si è avvicinato al mondo dell’arte e grazie a chi o a quale circostanza?

R. A 16/17 anni, ho sempre avuto passione per l’arte, ma la famiglia mi convinse ad orientarmi verso un diploma più convenzionale rispetto ad una scuola d’arte; all’epoca frequentavo la scuola per Geometri a Parma ed ero ospitato presso un convitto, lì conobbi uno studente dell’Istituto d’Arte che in ragione dei suoi studi aveva ottenuto una stanzetta solo per sé nella quale poter svolgere i compiti a casa. Trovarmi in mezzo ai colori ed ai suoi lavori era già di per sé uno stimolo a provare a cimentarmi e non nascondo che in qualche occasione l’ho aiutato a portare a compimento alcuni dipinti introducendovi qualche suggerimento cromatico. In più frequentavo la splendida libreria Fiaccadori (libreria in Parma dal 1829, sita in strada Duomo, nel centro storico della città. N.d.A.) dove trovai, fra le altre, delle interessanti monografie su Modigliani e Mirò.

D. Ha compiuto degli studi regolari o da autodidatta?

R. Studi regolari no, fatta esclusione per la Prospettiva che per un geometra era il pane quotidiano. Da solo ho studiato Storia dell’Arte che mi ha sempre appassionato, dai grandi maestri del passato si ha molto da imparare, non ultimo che spesso sono stati essi stessi artisti di avanguardia e di rottura con la tradizione, anche se per noi non è facile immaginarlo. Uno per tutti?: Giotto.

D. La scelta della pittura, rispetto ad altre tecniche, da cosa è scaturita?

R. La pittura è la forma espressiva che mi è più congeniale, ho sperimentato anche la scultura, realizzandone di piccole per piacere personale. Spazio in tutte le tecniche: olio, tempera, acquarello; in un’unica occasione ho sperimentato il colore acrilico ma è stata un’incursione che non mi ha soddisfatto e che ho subito accantonato.

D. Quale è stato il percorso che l’ha condotta alla sua attuale forma espressiva?

(Osvaldo Licini, "Amalasunta")

R. Visitai la Biennale di Venezia, non ricordo se l’edizione del 1964 o del ’66, lì ebbi occasione di apprezzare i lavori di Osvaldo Licini e Fausto Melotti grazie ai quali osservai come il “reale” diveniva un “altrove”. Per meglio chiarire: la rappresentazione di qualcosa di esistente può essere interpretata e resa qualcosa di diverso, come vista attraverso un filtro, fino ad assumere toni surreali. Tanto è vero che titolo le mie opere, ma lo ritengo il mio punto di vista, chi osserva può vederci quello che vuole. “Prati di Sara”, presente in questa esposizione, non è la rappresentazione riconoscibile di quegli splendidi luoghi, ma ne cattura quelle che per me ne sono l’essenza, i colori, l’aria, i profumi e quando chi guarda il quadro li avverte significa che si è giunti all’empatia tra il pittore ed il fruitore.

D. La sua rappresentazione del mondo cosa descrive?

(Fausto Melotti, "Senza titolo")

R. Io sono innamorato della mia terra, l’Appennino, la Pietra spesso trovano posto nei miei lavori in modo riconoscibile. In altri casi li rappresento attraverso i colori: i marroni che evocano campi arati, i verdi dei prati e gli azzurri dei nostri cieli tersi. Spero che i sentimenti e la passione che nutro per i nostri luoghi traspaiano dai miei lavori.

D. Come nascono i suoi quadri?

R. Ogni mattina, da quindici anni, ancora prima di lavarmi i denti e di prendere il caffè traccio su un’agenda dei riquadri che sono l’idea di un lavoro, un embrione cui dare la possibilità di svilupparsi in un’opera compiuta. Un’idea di questo si può trarre dall’opera “Venticinque” esposta in questa mostra. Poi se l’idea viene sviluppata acquisisce una vita propria, definendo quasi da sé le dimensioni ideali nelle quali esprimersi e la tecnica che la rappresenterebbe al meglio. Un lavoro è finito quando le armonie che mi ero prefisso di realizzare trovano il loro equilibrio. A volte lavoro a due quadri, ma mai a più di due contemporaneamente, a seconda dell’ispirazione della giornata, così come capita che ne accantoni uno per un po’, in attesa che il dialogo tra noi riprenda e si sviluppi.

D. E se quello che fa non la soddisfa?

R. Lo distruggo, senza ripensamenti.

D. Che rapporto ha con le sue opere?

R. Quando mi guardo attorno e vedo tanti dei miei lavori, che coprono più di cinquant’anni della mia vita, è come se vedessi pagine di un diario segreto. Potrebbe non sembrare tale, dal momento che è esposto alla vista di chiunque voglia guardare, ma ogni olio, acquarello, porta con sé il ricordo dei momenti che ne hanno visto l’ideazione, il compimento. Momenti miei, che riguardano i miei sentimenti, magari ricordi di episodi familiari legati ai giorni nei quali dipingevo quel soggetto, momenti “scritti” nel quadro con l’inchiostro invisibile della memoria in un codice segreto del quale io solo possiedo la chiave. Pagine che talvolta si staccano e prendono strade lontane, acquisite da chi apprezza i miei lavori e desidera portare con sé un po’ di me.

D. Cornice sì, cornice no: la cornice delimita uno spazio, a mio parere circoscrive l’attenzione del fruitore; la sua assenza, particolarmente nell’arte moderna dà l’impressione che la tela prosegua oltre il suo stesso perimetro, espandendo l’opera sulla superficie cui è appesa. Qual è la sua opinione in merito e la sua scelta?

R. Picasso affermava che la cornice mortifica il quadro, qualunque quadro; io in genere scelgo un semplice listello per circoscrivere un lavoro ma ritengo che ogni quadro abbia una necessità propria: alcuni si dilatano, altri hanno bisogno di essere delimitati per concentrare l’attenzione di chi guarda su un particolare.

D. Ritiene che l’Arte sia fine a se stessa o abbia anche una funzione sociale? Se sì quale?

(Max Beckmann)

R. Credo vi siano due tipi di arte, la mia, se di arte si tratta, è intimista, anche se cerco di promuovere un dialogo con il fruitore resta comunque l’espressione dei miei sentimenti e della mia storia personale. Poi c’è quella di provocazione e della quale ammiro particolarmente le opere di Max Beckmann.

D. Riconosco che è un pensiero un po’ cinico, dovuto ad esperienza personale, ma ritengo che mentre nell’arte classica (ma anche nella contemporanea figurativa) un pittore mediocre fosse chiaramente riconoscibile per l’imperizia della sua rappresentazione del vero, nell’arte moderna e astratta, se dotati di un po’ di “chiacchiera” si possa motivare e giustificare qualunque cosa; qual è la sua opinione in merito?

R. E’ vero, ma io sono convinto che se mi trovo davanti ad un lavoro che mira solo alla provocazione gratuita, senza un discorso serio che la motivi, o ad una mera operazione commerciale, sono in grado di smascherare la “bufala”.

D. Mi aggancio alle sue ultime parole per chiederle quale rapporto vi sia tra arte e commercio.

R. Io ho avuto la fortuna di avere un lavoro che mi consentisse di vivere, mentre l’arte era ed è una passione che coltivo nel tempo libero. Se questo può sembrare che mi abbia limitato, in realtà mi ha dato la libertà, che non ha prezzo, ma che in realtà si paga, di potermi muovere a piacimento. Non ho vincoli contrattuali con una galleria e non devo rispettare impegni e consegne che io stesso non abbia voluto e pianificato. Non passa giorno che non dipinga, ma lo faccio per scelta e per passione. Ogni giorno posso e scelgo di rinnovare, alimentare questa passione cui dedico il mio impegno, non per dover onorare un contratto come avviene quando entri nel meccanismo commerciale del mercato dell’arte, ma per me stesso. Potrei scegliere di cambiare il modo di esprimermi, senza dover tenere conto dell’approvazione della critica specializzata o della richiesta di mercato. E’ quello che mi permette di continuare a cercare in me stesso e di mostrare la mia visione del mondo a chiunque voglia percepirla.

D. La mostra che ha avuto luogo qui a Castelnovo ne’ Monti è ormai giunta al termine, quali impressioni ha tratto dai commenti dei visitatori, alcuni dei quali ha personalmente incontrato?

R. Ho avuto commenti lusinghieri e critiche positive, anche sui giornali, ma quelle che più mi hanno emozionato, non me ne vogliano gli altri, sono state le visite di alcune classi della scuola Primaria. Bimbi di 7/8 anni ai quali ho spiegato, spero bene, le ragioni per le quali i miei lavori sono come sono. Quello che più li ha colpiti ritrae un cielo rosso ed un paesaggio dai colori irreali nel quale trovano posto dei cavalli. Tutti mi sono cari per l’estremo affetto che mi hanno dimostrato. Una bimba nel mettere la propria firma sul libro visitatori ha aggiunto lo schizzo della testa di un cavallo, poi nel prendere commiato, mi è corsa incontro e mi ha abbracciato. E’ stato un momento davvero commovente ed indimenticabile.

D. A me piace pensare che, come asseriva Fëdor Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo”, non intendendo che bisogna circondarsi di cose belle, quanto vedere nella bellezza attorno a noi ciò che può salvarci dalla miseria dello spirito. Che ne pensa?

R. Sono d’accordo, per esempio riuscire a vedere le meraviglie della nostra terra, saperle apprezzare e trarne l’appagamento interiore che la bellezza suscita può dare sollievo dalle pochezze e dalle difficoltà che sono parte della vita.

D. Qualche anticipazione sui suoi progetti futuri?

R. Hanno richiesto dei miei lavori in Austria, dove spesso espongo, poi si vedrà!

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3 COMMENTS

  1. Rinnovo i miei complimenti a Corrado Tagliati. I suoi lavori sono emozionanti e visitare la mostra è stata un’esperienza coinvolgente, un vero piacere. In bocca al lupo per i suoi impegni futuri.

    (Giorgio Bertani)

    • Firma - Giorgio Bertani
  2. Sono commosso ed ammirato da tanta passione ed amore per l’arte e la bellezza espresse da Corrado nelle sue opere e ribadite nelle sue profonde riflessioni alle domande della intelligente e professionale intervista. Grazie.

    (Sergio Tagliati)

    • Firma - sergio tagliati