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Dall’acqua un nuovo mestiere per le ex cave

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Catino naturale di una ex cava d’argilla

Prima Caronte, adesso è arrivato Polifemo. E poi caldo e ancora caldo. Da mesi non piove e man mano che un’estate 2017 imprevedibilmente torrida procede verso la sua gregoriana conclusione, i riflettori sulla grande sete patita anche in terra reggiana rischiano di spegnersi consegnando alle cronache notizie di molti danni economici e pochi disagi. Almeno fin qui.

Nella nostra provincia non si hanno notizie di rubinetti rimasti a secco, come invece è capitato in altre zone dell’Emilia; è possibile che le sorgenti reggiane siano più ricche, ma è onesto riconoscere che le brave maestranze di Iren-Ireti hanno fatto girare al meglio gli ottimi impianti a suo tempo realizzati da AGAC (roba d’altri tempi, si dirà).

Purtroppo l’acqua è mancata all’agricoltura, fabbrica a cielo aperto dell’italian style, con gravissimi problemi per le imprese, i cui effetti negativi sulla produttività delle colture potrebbero addirittura ripercuotersi anche sulle prossime annate agrarie, specie per quelle frutticole. C’è poco da fare: per produrre cibo l’acqua ci vuole; sicuramente meno che in passato, poiché l’impiego diffuso di nuove tecnologie per l’irrigazione consente di centellinarne ogni goccia, ma senza di essa fare agricoltura è impossibile. La natura è intransigente e impone le sue ferree regole.

E’ ragionevole la proposta avanzata dal Consorzio di Bonifica dell’Emilia Centrale, secondo la quale le cave d’argilla esaurite o dismesse potrebbero costituire validi serbatoi d’acqua. Risponde alla razionale e umana ambizione di gestire la risorsa idrica, trattenendola convenientemente nei periodi di abbondanza per rilasciarla gradualmente nelle fasi stagionali di maggior necessità e non solo per usi agricoli. Ad esempio, il Crostolo, nel suo tratto cittadino, con l’acqua, nel periodo estivo offrirebbe uno scenario ben diverso da quello desolante che oramai si protrae dalla primavera ed anche gli altri torrenti minori, ridotti a una sequenza di pozzanghere, garantirebbero un habitat migliore alla propria fauna ittica.

Certo, il progetto della “diga dei cent’anni”, di cui da oltre un secolo si continua a sostenerne la validità e da così tanto tempo si desidera costruire dalle parti di Vetto, in un sol colpo darebbe risposta alle esigenze idriche delle due province contermini sull’Enza ma il sostegno ad essa è puntualmente sospeso all’arrivo delle prime piogge.

Tra l’altro i benefici offerti dagli invasi proposti dal Consorzio non si limiterebbero al solo aumento della disponibilità d’acqua e al suo uso plurimo: civile, agricolo, industriale, ambientale. Potrebbero scaturire altre opportunità, ad esempio nel campo delle energie rinnovabili, delle attività ricreative ecc. Inoltre, se l’esperienza è buona consigliera, non va dimenticata la lezione dell’incendio boschivo sviluppatosi l’11 agosto scorso sul carpinetano Monte Valestra, per spegnere il quale i vigili del fuoco hanno impiego un elicottero che ha prelevato l’acqua raccolta in un “catino naturale” di una ex cava d’argilla (foto in apertura).

Che dire della qualità dell’ambiente? Si pensi alle valli del Secchia e del Tresinaro, soprattutto nell’area collinare e pedemontana, laddove molti poli estrattivi hanno per decenni rifornito il distretto ceramico reggiano-modenese. Sono state trasformate in piastrelle intere colline ed ora buona parte delle ex cave si trovano in stato di totale abbandono, dando origine a paesaggi lunari completamente avulsi dalla tipicità dei luoghi, verdi, integralmente coltivati a Parmigiano-Reggiano; per ripristinare la vegetazione su quelle argille occorrerebbero fertilizzazioni piuttosto impegnative, delle quali si parla da decenni.

Forse non tutti questi siti avranno le caratteristiche geologiche e orografiche per essere “invasate”. Al riguardo, impegnare un po’ di danaro da parte degli enti deputati (Regione in primis) per un adeguato approfondimento su cui sviluppare progetti concreti non sarebbe un cattivo affare.

C’è chi pronto a scommettere che l’andamento stagionale di quest’anno non è che un primo assaggio di quanto potrebbe ripetersi in futuro con maggior frequenza, a causa dei cambiamenti climatici indotti dai comportamenti di un homo che sullo sfruttamento delle risorse naturali si sta rivelando sempre meno sapiens.

Di converso ci sono anche coloro che puntano alla roulette della casualità: le correnti d’aria africane avrebbero girato incidentalmente male e l’insopportabile canicola di quest’anno sarebbe statisticamente irripetibile. Poi Caronte starebbe per ridiscendere agli inferi in aeternum e il solitario Polifemo potrebbe venirci incontro, chiudere un occhio…. e durare meno del previsto. Chissà.

Terra (urbanizzazioni esageratamente speculative), aria (inquinamento eccessivo) acqua (sprechi inutili) e fuoco (appiccato colpevolmente ad arte): quattro magici elementi trattati dagli antichi con religioso rispetto, quanto indiscriminatamente depauperati dai contemporanei.

La scienza del buon senso suggerisce di intervenire e laddove si può sarà bene provvedere a qualche equilibrato rimedio.

La proposta del Consorzio non ha per ora raccolto pubblicamente molti consensi ma neppure si sono viste in giro rumorose levate di scudi. A occhio e croce sembra essere una buona idea: varrebbe la pena non accantonarla al primo acquazzone. Che prima o poi arriverà. Prima o poi.

(Roberto Lugli)

 

6 COMMENTS

  1. E’ un articolo molto interessante, sicuramente da approfondire da parte delle autorità competenti: sindaci, Provincie e Regione. Ma anche le associazioni di categoria, non solo montane, dovrebbero prendersi a carico dei vari aspetti del problema che sta emergendo già da alcuni anni a questa parte.

    (Loris da Febbio)

    • Firma - Loris da Febbio
  2. Un esempio l’invaso sulla Lonza presso Atticola, prodotto dalla cava di sabbia. L’ho scoperto casualmente l’anno scorso durante un’escursione e mi era apparsa da subito come una occasione mancata per il turismo. Oggi mi rendo conto che poteva essere sfruttata per contrastare la siccità, anche se una diga sarebbe molto più efficace. Se ne parla da più di un secolo, ma non si è mai fatto nulla in tal senso. Speriamo che adesso prevalga il buon senso e non insulse partigianerie

    (Maru)

    • Firma - MARU
  3. Ringrazio Roberto Lugli per aver richiamato il problema della carenza idrica sulla Valle dell’Enza, la culla del Parmigiano Reggiano e di tanti prodotti agricoli che hanno reso grande l’Italia nel mondo. Ad inizio secolo i Consorzi di Bonifica costruirono opere gigantesche; la diga di Vetto sarebbe un granello di sabbia al confronto, per garantire l’acqua a Parma, Reggio, Modena e Ferrara; veri fiumi artificiali e impianti di sollevamento a tutt’oggi i più potenti d’Europa, ma allora qualcuno pensava al bene di questi territori; da allora più nulla e fino ad oggi si è vissuto sugli allori. Ora i cambiamenti climatici ci fanno capire che se vogliamo che la nostra agricoltura sopravviva occorre intervenire con opere strutturali, piccole opere come la diga di Vetto in grado di fornire 93 milioni di metri cubi utili di acque limpide, nettamente insufficienti al fabbisogno idrico, ma pur sempre una riserva indispensabile; solo Parma necessità di circa 80 milioni di metri cubi. Questa necessità era già evidente nel 1987 quando il Ministero dell’Agricoltura la definì su decreto “urgente ed indifferibile” per le terre del Parmigiano Reggiano; l’opera fu progettata, finanziata, appaltata e iniziata, ma qualcuno riuscì a far sospendere i lavori, arrecando danni enormi all’agricoltura reggiana e parmense provocando lo spopolamento e il dissesto dei paesi montani. Ora, piuttosto che ammettere questo errore, si propongono cose inutili, assurde, come gli invasi sulle cave o un piccolo invaso alla Stretta delle Gazze che nessuno sa se è realizzabile o meno (quali sondaggi sono stati fatti?) e sicuramente costerebbe come o di più della diga di Vetto per non servire a nulla. In tutto il mondo si stanno costruendo dighe da decine di miliardi di metri cubi per conservare le acque nei periodi di abbondanza e qui si dice di no ad un piccolo invaso di 93 milioni di mc, un’opera definita sullo studio di impatto ambientale dieci volte più sicura rispetto alle dighe italiane. Continuiamo a sprecare le acque dell’Enza e continuiamo a pagare milioni di euro di danni per l’emergenza, continuiamo a produrre energia con il petrolio e continuiamo a consumare energia con gli impianti di sollevamento, continuiamo a far morire la montagna e la nostra agricoltura solo per non ammettere un errore e tutto questo nel silenzio delle grandi associazioni degli agricoltori. Nello stesso periodo, qui vicino a noi, dighe come Ridracoli, Bilancino e Montedoglio sono state fatte, sull’Enza si è detto “no” solo perchè la diga di Vetto avrebbe fatto della Valle dell’Enza la più importante valle dell’Emilia-Romagna, dava acqua ai rubinetti, all’Enza e al Crostolo in estate, acqua all’agricoltura, energia pulita, proteggeva la valle dalle alluvioni, risollevava le falde, lavoro, turismo e un futuro ai nostri comuni montani, ma sicuramente emergeva rispetto alle valli laterali e allora qualcuno si inventò anche le lontre per dire di “no” alla diga di Vetto; questo fa capire la serietà degli argomenti che portarono alla sospensione dei lavori. Mi fermo, andare avanti fa stare male me, chi ama queste terre, chi ama l’agricoltura reggiana e parmense e chi vorrebbe che terminasse sull’Enza lo spreco del bene più importante dell’umanità: l’acqua.

    (Lino Franzini)

    • Firma - Franzini Lino
  4. Oggi non riprendere i lavori della diga di Vetto è da Striscia la notizia, pagare milioni di euro di danni per la mancanza d’acqua all’agricoltura e buttarla via tutto l’anno sta a dimostrare come stanno andando le cose in Italia, meglio sarebbe dire in Emilia. Oltre alla ricchezza che darebbe a tutti questo invaso, la sua linearità lungo l’asta dell’Enza e la sua lunghezza consentirebbe il rifornimento in volo dei Canadair per spegnere gli incendi sul nostro appennino Tosco-emiliano; sarebbe l’unico delle province emiliane a consentirlo. Alcuni giorni fa mi è stato detto che un Canadair per spegnere un incendio sull’appennino reggiano andava a rifornirsi di acqua nel mare della Romagna, più di un’ora tra andare e venire; mi raccontavano che quando arrivava l’incendio aveva ripreso tutta la sua forza di prima e i costi chi li paga, Pantalone?

    (Pierluigi)

    • Firma - Pierluigi
  5. Da alcuni anni sento parlare che i lavori della diga di Vetto partirono e poi furono sospesi per motivi dichiarati tutti ingiustificati dalla Cassazione; e allora mi chiedo: perchè non sono ripartiti? Vista l’utilità dell’opera, i danni arrecati all’agricoltura per questa mancata ripresa dei lavori chi li paga? Ma gli ambientalisti cosa ci stanno a fare se non sostengono quest’opera, se è vero che garantirebbe acqua all’Enza e al Crostolo tutto l’anno? Il Crostolo in estate in secca è una cosa spaventosa; oltre a questo leggo che ridurrebbe l’inquinamento, che produrrebbe energia pulita, che i cittadini di Reggio Emilia e Parma potrebbero andare a passeggiare lungo il lago, che sarebbe una risorsa idrica per gli animali, una vera oasi; che si potrebbe creare un parco per le visite didattiche e tanto altro; inoltre al mondo ambientale sprecare tutta quest’acqua e vedere morire tutti i pesci dell’Enza non importa nulla? Se tutte le sicurezze sono state verificate perchè i lavori non ripartono?, vogliamo veramente fare morire la valle dell’Enza? Ogni scelta comporta dei pro e dei contro ma a me sembra che per la diga di Vetto i contro sono solo sciocchezze rispetto ai grandi benefici che darebbe a tutti; a meno che l’ottusità non porti al solito no o ad insinuare pericoli che a Vetto è stato ribadito che non ci sono.

    (Laura)

    • Firma - Laura
  6. Concordo pienamente con quanto scritto dal signor Lino Franzini. In ogni parte del mondo, anche nei Paesi considerati “ricchi d’acqua”, ho visto grandissima attenzione a preservare riserve idriche per l’estate e per le future generazioni. Gli stessi invasi ovunque rappresentano anche degli straordinari motori turistici, ed è a piena evidenza di quanto ne avremmo bisogno. L’aver bloccato la costruzione della diga di Vetto è stato un errore madornale delle amministrazioni di allora (che sono poi le stesse di oggi…) che testimonia l’incapacità di guardare al futuro. Strade, servizi, digital divide, sviluppo turistico hanno avuto stessa sorte causato dal gruppetto di comando ideologicamente rattrappito in un profondo e sterile passato ideologico, ossequioso dei propri interessi ed asservito agli ordini delle “centrali di comando”. Penso che la ricchezza dei territori serviti a valle dall’invaso potrebbe consentire anche investimenti privati, almeno fino a che i cittadini non riusciranno a togliersi di dosso queste storiche inettitudini amministrative locali.

    (F.D.)

    • Firma - F.D.